Chiara Camoni: un’opera pulsante di vita. La mostra all’Hangar Bicocca come specchio e riflesso del nostro essere

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Mentre cammino verso l’esposizione di Chiara Camoni “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” all’Hangar Bicocca, visitabile fino al 21 luglio 2024, mi risuona nella mente una poesia di Chandra Candiani che recita così: vai nel bosco e lasciati amare/l’anima si rompe per nulla/c’è bellezza e addio in ogni cosa. Conta sul nulla. Il sentimento di una meraviglia soffusa abita già il mio corpo, ma l’incastro di luce e materia che mi accoglie amplia il sentimento e mi induce all’estasi visiva. Il disegno sotteso all’opera è evidente all’occhio attento: la mostra si struttura secondo una architettura radiale che richiama l’antico giardino rinascimentale, ma non solo, con un centro focale interno, di raccolta di energie quadripartite, che si irradiano nell’ampia sala mediante i fasci conduttori costituiti dalle opere Serpenti e Serpentesse. Esse accompagnano il passo gentile nella scoperta di immagini, messaggi e antichi richiami incastonati nella pietra e nella sottile lavorazione materica che contraddistingue l’opera di Chiara Camoni.

Qual è il confine tra oggetto e opera d’arte? Tra la ritualità domestica di una vita silente e l’invenzione autentica di un amore profondo? È possibile creare senza che ci sia un sostrato di fondo, la ripetizione formale, in grado di supportare e sopportare il peso di un’idea, di una sensazione, di un dialogo inespresso? L’artista orienta la propria opera in direzione di tali questioni filosofiche e artistiche che da secoli interessano i mondi dell’arte e propone una propria personalissima chiave di lettura nell’analisi del rapporto con l’altro. Il recupero del mondo vegetale e animale, compagno dell’agire umano e dell’atto creativo-esperienziale (che la cultura occidentale di derivazione cartesiana ha cercato di sopprimere a causa di un razionalismo sterile), sugella la definizione fondativa dell’essenza stessa del nostro “essere”.

Mediante un processo di zoomimes figurativa e sensoriale, l’artista trova forme materiche in grado di racchiudere al proprio interno il nostro germe di nascita, l’antico richiamo della Terra, il linguaggio ancestrale del nostro passato. Comune ad ogni cosa il proprio essere frammento: nella caducità della vita, che elimina qualsiasi distinzione fra me e l’altro, la speranza e l’amore si originano dall’agire collettivo: nel rapporto interpersonale è racchiuso il nostro “senso”. La comunanza permette di soffrire e godere del respiro di vita comune alla pianta, al fiore, alla pietra, all’erba, al minerale, al legno, al lupo, al gufo, a me, donna. La serie delle Sorelle si presenta quale gruppo scultoreo declinato in differenti forme: figure di donne, che assumono posture differenti, le quali giocano con il chiaroscuro dell’architettura in cui sono poste, con volti zoomorfici, ridenti, a tratti oscuri e ieratici.

L’atto creativo da cui hanno origine risente dell’aura mistica che attornia le stesse figure: il recupero del materiale di scarto, la costruzione-combinazione sottile la cui gestualità appare, cangiante, quasi che il plasma dell’opera continui ad essere modellato nel silenzio-grido che tali strutture sono in grado di produrre. Il fuoco, gli elementi della natura, il recupero-creazione della materia secondo processi organici, la manualità di un’arte antica presente nella nostra storia da millenni. La ceramica diventa il conduttore e catalizzare della riflessione sul proprio sé che ha origine nella nostra coscienza (e qui il ricordo di Carla Lonzi è evidente).

Il seguire, passo dopo passo, la ritualità processuale e teatrale che sacralizza il nostro risveglio quotidiano, le nostre pratiche di analisi e comprensione del mondo. L’archeologia, la materia pura, il fiore caduco nel suo essere frammento, morte e nascita del nostro respiro: sono tutte presenze che Chiara Camoni chiama a sé, secondo differenti tecniche ibridative, mettendo in luce la necessità di eliminare la categorizzazione fra le pratiche artistiche, cosicché si possa davvero accogliere la fusione metamorfica che ogni sguardo reciproco è in grado di suscitare. Mediante l’utilizzo della stampa diretta di fiori tintori l’artista crea due strutture circolari che sembrano ricordare le antiche danze di richiamo spirituale che hanno abitato qualsiasi tradizione culturale dagli albori dell’umanità.

La seta si muove nel dialogo con l’aria che penetra nella stanza: chi sono io nel mio radicamento dell’oggi? Lo spirito di una connessione metafisica e oltre temporale mi accoglie. Qual è dunque il mio confine? La storia dell’arte è la storia delle cose (l’assunto di Kubler è avanguardista in tale senso): l’opera di Chiara Camoni evidenzia la necessità di una riconfigurazione dell’atto stesso di scrittura critica-creativa, abbandonando il panorama antropocentrico che eleva il solo intelletto umano quale strumento unico di analisi del mondo. Solidarietà, collettività, emancipazione femminile sono i termini medianti i quali si può comprendere il posizionamento sociale di quest’opera, in cui l’atto creativo si rimodella e ha origine dalla relazione con l’altro, ove le presenze femminili, nel dialogo intra-extra uterino, ci sussurrano Sorellanza. Il sentimento comune di un abbraccio lunare, che si raduna attorno alla tessitura, alla contaminazione materica, agli ambienti domestici presentati, che permette di accogliere, di accettare, di gioire del nostro essere: richiamo mitico-ancestrale. Per cui, lasciate che sia l’arte a parlare, lasciate che l’abbraccio dell’opera di Chiara Camoni vi porti nelle radici-profondità del vostro essere.

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