Ciavoliello, Fuori dal coro: ecco l’arte libera dalle ideologie degli anni ’70

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Luciano Fabro aveva inaugurato gli anni Settanta gridando al popolo: “Cittadini, consideratemi irresponsabile di quanto succede!”.

Non: “Studenti e operai, consideratemi unito nella lotta, avanti popolo!”.

Era il 1970 e l’artista affida a una registrazione sintonizzata come un disco rotto, in una installazione a Montepulciano, l’affermazione della propria perentoria e irresoluta estraneità – come artista, prima che come coscienza umana – ai fatti politici che stanno squassando la Nazione. Non solo quella dei nativi italiani, anche le altre, un po’ ovunque, nella parte di globo che si riconosce nel cosiddetto Occidente evoluto, incluse le colonie amerindie, che avevano già avviato le loro rivoluzioni, quelle sì, autentiche, già da un paio di decenni. L’emisfero australe, pur conoscendo una buona fetta di progresso, anche cinquant’anni fa, non ha invece sensibilmente partecipato ai cori cosiddetti “rivoluzionari” che il mondo giovanile intonava, da Harvard alla Sorbona. E anche dentro e fuori le accademie e gli studi d’arte.

Fuori dal coro è per l’appunto il titolo del bel saggio, collettaneo di scritti sparsi propri, di Giulio Ciavoliello (Fuori dal coro – L’arte libera dalle ideologie al tempo della contestazione, Ed. Marinotti, 160 pagg., 22 euro), estratto ragionato di una serie di testi elaborati in archi temporali non definiti, ma relativi al decennio che ha contrassegnato la storia recente con il sigillo della cosiddetta rivoluzione proletaria. Detto per inciso, tanto per capirci, quando i leader del Maggio francese invitarono Fidel Castro a Parigi e gli chiesero che cosa ne pensasse della seconda Rivoluzione francese, egli rispose che veramente lui riconosceva una sola Rivoluzione Francese, quella del 1789, e che al massimo vi riconosceva una sola similitudine contemporanea, in quella cubana.

Ebbene, forse, Ciavoliello, nella sua silloge, finalmente radunata in volume per i tipi di Marinotti, ci vuole riportare a uno stato di realtà, lo stesso che indicava il lidér maximo caraibico: bene fece la squadriglia – inclita, per il vero – degli artisti operanti a cavallo e prima delle rivoluzioni, periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, che hanno dato come frutti permanenti l’Ancién règime dello status quo, ancora più rigido e tirannico dello status quo ante, a defilarsi dal dover essere della maggioranza dei loro colleghi, quasi tutti conformi agli ordini e ai contrordini dei compagni, e a decidere responsabilmente di voler essere “irresponsabili”, ovvero non tenuti a rispondere per conto di nessun altro, se non di se stessi, degli errori di prospettiva e di campo che gli altri decisero – non davvero decidendo, casomai decadendo, annotiamo umilmente – di sbandierare coraggiosamente (così era ed è chiamato l’atteggiamento protervo dei finti eroi, da coloro che protervamente si illudono di essere parimenti, veracemente eroici, magnificandoli).

Giulio Ciavoliello

Nel computo dell’autore sugli “eroi” del disimpegno e della deresponsabilizzazione sociale e politica corrente nel decennio considerato compaiono mostri sacri che hanno tuttavia conseguito celebrità, non mutuata dall’asservimento al dogma.

Ciavoliello, sia specificato, non ne parla in questi termini crudi, lo facciamo noi al suo posto, per giustificata, doverosa declinazione critica. Lui, anzi, l’autore, argomenta con un piglio storico critico esatto e rigoroso, talvolta addirittura inibitore della verità sacrosanta che informa il saggio. Perciò traduciamo liberamente, ma fedelmente riveliamo gli intenti del libro.

Troviamo, fra costoro, oltre a Fabro, Alighiero Boetti, che inesorabilmente il mercato – certo, passata la sbornia della Rivoluzione – ha lanciato tra le più inarrivabili vette, e che onestamente rispondeva, a chi gli chiedeva quanta parte di impegno politico vi fosse nella sua arte: “Non ho vissuto né situazioni socioculturali né politiche. Me ne interesso a livello di cittadino, non di artista”. Ecco l’emblema del libro: alcuni artisti di quegli anni furono e rimasero solo artisti, non furono politicamente corretti.

Alighiero Boetti

Come Boetti anche Carla Lonzi, o l’ineffabile Pino Pascali, omologo in arte di un mito assurto a divinazione contemporanea, nella cultura popolare, come Rino Gaetano, e Giulio Paolini, che per primo esponeva quadri al contrario, pratica su cui oggi il Prado di Madrid costruisce un evento di cancel culture istituzionale, non dichiarato. Paolini si dichiarava, invece, non antipolitico, ma principalmente artista. E poi, infine, ultimo ma non ultimo, Salvo, inguaribile narcisista che non ha potuto eludere la ricerca su sé stesso nemmeno sotto il tiro dei cannoni della Rivoluzione.

L’autore racconta le trame fitte e sottili di un periodo complicato, talmente complicato che è difficile da comprendere ora, figuriamoci allora, un momento storico votato alla perdita dei sensi e dei significati, sia pure ispirato a un dogma che si moltiplicava in centomila. Insomma, un periodo difficile, dal quale Ciavoliello desume trame che ci parevano dimenticate, ma che riaffiorano come ricordi compressi, di quelli che scovati, messi assieme, e fatti brillare, come dicono gli artificieri, esplodono come luci di verità sepolte.

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