Berlinde De Bruyckere in mostra alla Fondazione Sandretto

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Berlinde De Bruyckere in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è un’occasione valida per #occupysandretto

Già dall’ affluenza dell’opening era intuibile che Aletheia, la mostra in corso alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo fino al 15 Marzo 2020, sarebbe stata una bomba. A 10 minuti dall’apertura gli spazi della Fondazione Sandretto erano letteralmente invasi da appassionati, curiosi, giovani e meno giovani, tutti riuniti, in occasione dell’art week torinese, per vedere la monografica dedicata a Berlinde De Bruyckere (Gand, 1964), a cura di Irene Calderoni. Berlinde De Bruyckere è un artista belga che ha esposto nelle più prestigiose sedi internazionali. Celebre è stata la sua partecipazione alla 55a Biennale di Venezia nel 2013, dove, in rappresentanza del Padiglione Belgio, ha svelato la sua opera monumentale “Kreupelhout – Cripplewood“, in collaborazione con il romanziere premio Nobel J.M. Coetzee.

Berlinde De Bruyckere è nota per le sue opere dal forte impatto emotivo, che rispecchiano la sua urgenza di indagare temi universali quali il corpo sofferente, il dolore, la memoria, la necessità di superamento e trasformazione. Fortemente influenzata dalla storia dell’arte e dalla mitologia, così come dalla realtà quotidiana di strutture sociali in collasso, la De Bruyckere crea opere che, attraverso la propria materialità, invitano a riflettere sulla condizione umana. Quando la padrona di casa, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, mi chiese un parere sulla mostra in occasione dell’inaugurazione, risposi: “E’ una mostra spiazzante: la violenza delle opere genera uno shock emozionale, che invita il visitatore a riflettere su tematiche molto profonde e per niente scontate. Sembra di stare in un film di Kubrik!”. Dopo un sorriso cortese, Patrizia Sandretto aggiunse: “Ho voluto fare questa mostra perché volevo dare un messaggio forte, che riguardasse la nostra epoca e la nostra società. Trovo che sia una mostra molto attuale e che possa aiutare il pubblico a farsi delle domande sul presente e sulla realtà che ci circonda”. Capiamo insieme, dunque, in cosa consiste la mostra e quale messaggio vuole trasmettere.

“Aletheia”, in greco antico, significa svelamento, rivelazione, verità. Il filosofo Martin Heidegger riprese questo temine per evidenziare, non ciò che é evidente come presenza, la verità di fatto, ma qualche cosa che deve essere ricercato e svelato dall’uomo stesso. La verità secondo Berlinde de Bruyckere non è mai quella che appare e richiede la partecipazione attiva dell’uomo per poterla comprendere. Le sue sculture, infatti, non sono mai immediate e riconoscibili a colpo d’occhio. Per levare il velo di Maya che le avvolge bisogna fermarsi, osservarle nel dettaglio, toccarle, percepirle e interrogarsi sul loro significato. Da qui l’invito al visitatore a rallentare per analizzare il suo presente e riflettere sulla propria esistenza. Berlinde de Bruyckere rappresenta la verità nuda e cruda, nella sua materialità più atroce, ma anche più sacra. La mostra trae ispirazione da un luogo che l’artista ha visitato nel passato recente, e che da allora ha influenzato tutta la sua pratica artistica: un laboratorio per la lavorazione delle pelli ad Anderlecht, in Belgio. Qui le pelli degli animali, appena strappate, vengono impilate su larghi bancali e ricoperte di sale, per preservarle in funzione di trattamenti successivi. Sulla base di questo ricordo, Berlinde de Bruyckere ha rievocato per gli spazi della Fondazione, il mattatoio belga, attraverso una serie di sculture monumentali costituite da pelli animali, stracci, stoffe, ossa e tronchi che evocano immagini potenti e sensazioni estreme. Da locus amoenus la Fondazione Sandretto viene trasformata in un luogo ripugnante, capace, tuttavia, di evocare un’idea di sacralità in relazione ai resti degli animali scuoiati.

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Le pelli, vere protagoniste della mostra, sono sottoposte dall’artista a una serie di differenti operazioni: calco e riproduzione in cera, piegatura, drappeggiatura, costrizione e deformazione. La pelle animale, evocatrice di un atto di crudeltà e di un patimento, diventa metafora della condizione umana e veicolo per comunicare la sofferenza degli esseri viventi, coinvolti nelle tragedie senza precedenti che caratterizzano il nostro tempo.

“In questo momento storico, in cui proliferano estremismo e razzismo, in cui compassione e solidarietà sono inariditi, in cui vediamo troppe somiglianze con l’inquietudine degli anni trenta che ha preceduto le mostruosità innominabili dell’Olocausto e quella particolare diffamazione della civiltà è persino negata da persone con troppo potere politico, sento l’esigenza di proporre immagini audaci, forti. Voglio portare quella stanza al pubblico. Come una esperienza fisica, immersiva”

Dalle parole dell’artista si comprende, quindi, perché Patrizia Sandretto Re Rebaudengo abbia definito questa mostra attuale e utile per interrogarsi sulla verità dei nostri tempi.

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