Richard Mosse, in due mostre Broken Spectre, il film-denuncia sulla distruzione dell’Amazzonia

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Tutto inizia nel 2018, quando Richard Mosse, artista americano che nei suoi film rimane sempre in bilico tra documentario di denuncia, fiction e video d’arte, si sentiva molto stanco. Negli anni precedenti, l’artista aveva passato circa cinque anni in Africa, nella Repubblica Democratica del Congo, fotografando e filmando il disastro umanitario che ha causato milioni di vittime e altri milioni di sfollati: il risultato era una serie di paesaggi in tinte rosse e rosa, di grande forza e suggestione, che mettevano in luce le tensioni e la brutalità della guerra nella regione. Era una rappresentazione del paesaggio congolese devastato dalla guerra, in cui ribelli e soldati si muovono attraverso un territorio segnato dalla violenza e dal conflitto. Il colore surreale creava un’atmosfera irreale e onirica, mettendo in discussione la nozione di oggettività comunemente associata alla fotografia documentaria e al cinema.

Richard Mosse

A questo era seguito un altro progetto, che aveva portato a un’altra serie di video e fotografie, tutte incentrate sulla drammatica crisi umanitaria dell’immigrazione nel Mediterraneo, che causava in continuazione naufragi e morti. Prima di far questo, l’artista si era unito all’esercito americano in Iraq. Ecco perché, in quell’estate del 2018, Mosse voleva unicamente “mettere da parte il superego” e godersi i semplici piaceri della fotografia. “Questo progetto”, ricorda, “è iniziato essenzialmente con dei ritratti di orchidee”.

Dalle orchidee, però, in poco tempo l’artista è passato – come sua consuetudine – a ben altro: nel corso del suo viaggio nelle foreste pluviali del Sudamerica, utilizzando la tecnica della fluorescenza UV, aveva infatti cominciato a scandagliare il sottobosco e a fotografare muschi, licheni, e naturalmente anche le orchidee. Ha scoperto che molti organismi emettono fosforescenza sotto la luce ultravioletta, quindi ha creato spettacolari immagini in Technicolor della brulicante biodiversità sul suolo della foresta.

Poi, nell’estate del 2019 – a seguito dell’elezione di Jair Bolsonaro come presidente del Brasile, con la sua criminale politica di “apertura” allo sfruttamento economico della foresta amazzonica e degli altri ecosistemi protetti –, sui media hanno cominciato ad apparire con sempre maggiore insistenza immagini di incendi che divampavano nel bacino amazzonico. Mosse allora ha chiamato Trevor Tweeten, il direttore della fotografia che ha contribuito a tutti i progetti video di Mosse dal 2008, e sono volati giù, ha raccontato in seguito Tweeten, “per vedere di cosa si trattava”.

Ma mano che procedevano nella ricerca e nel lavoro di documentazione, appariva in maniera sempre più macroscopica e sempre più devastante lo scempio della foresta amazzonica, drammaticamente accelerata dalla presidenza Bolsonaro: nel periodo in cui è stato Presidente del Brasile, la deforestazione amazzonica è aumentata del 75,6 per cento, gli allarmi per gli incendi forestali sono cresciuti del 24 per cento e le emissioni di gas serra del Paese sudamericano sono aumentate del 9,5 per cento. Uno studio recente ha inoltre stimato che il 99% della deforestazione in Amazzonia è illegale, in gran parte collegata alla criminalità organizzata. I remoti insediamenti sorti vicino alle miniere d’oro sono luoghi violenti e senza legge, abitati principalmente da giovani minatori pagati in oro e riforniti di droga dai cartelli. Uno scempio compiuto, è la cosa più incredibile, con la complicità e il diretto appoggio delle autorità, almeno fino a che Bolsonaro è rimasto in carica. Scempio che, oggi, artisti come Mosse (il cui ruolo si può ascrivere a quel territorio neutro che sta a metà tra arte e attivismo sociale e politico) rendono pubblici e denunciano con i loro lavori.

Il progetto che è derivato da quei viaggi intrapresi nel bacino amazzonico tra il 2018 e il 2020 è una ciclopica video-installazione, oggi presentata in contemporanea a New York fino al 16 marzo, nel nuovo grande spazio della Jack Shainman Gallery a Tribeca, in Lafayette Street (spazio che, dopo la mostra di Mosse, sarà chiuso per ristrutturazione e riaperto nell’autunno 2024), e a Photo Élysée, il museo della fotografia di Losanna, fino al 25 febbraio.

In parte fotogiornalismo, in parte documentario sulla natura, in parte vero e proprio film dai toni drammatici e spaventosamente coinvolgenti, dotato di una colonna sonora coinvolgente che contribuisce a creare un’esperienza viscerale, sottolineando la bellezza e la tragica realtà della situazione della foresta amazzonica, Broken Spectre è realizzato con una combinazione di immagini aeree, primi piani di piante e scene di vita quotidiana che, nel loro insieme, riescono a trasmettere la complessità e l’entità del problema. Il film non vuole però avere un approccio “neutro” o semplicemente documentaristico, ma cerca di fornire una narrazione intensa e partecipata, che coinvolge emotivamente gli spettatori. Il risultato è un drammatico grido di denuncia contro il sistematico scempio di quello che a buona ragione è considerato il “polmone” della terra, ottenuto catturando immagini fisse e in movimento di distruzione ambientale a un livello che fa davvero spavento.  “Il 5% dell’intera Amazzonia è così degradato dai processi di deforestazione che ora siamo molto vicini al punto in cui si verifica un deperimento automatico e la foresta non può più generare la propria pioggia, rischiando di smettere di essere foresta pluviale”, ha spiegato l’artista. “Una volta che ciò dovesse accadere, si trasformerebbe abbastanza rapidamente in savana”.

Uno scenario da incubo, apocalittico, che speriamo non debba mai verificarsi.

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