Marco Vecchiato e la sua “pittura maleducata” a Modena

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Se entro il 18 maggio mettete in conto di andare a Modena, oltre che per i turtlèin fermatevi per la mostra di Marco Vecchiato da Artekyp in via della Torre 65, a un passo dal Duomo, a un passo dal centro, a un passo da tutto. 

Marco Vecchiato, Untitled 2023

Come l’odore dei sogni del giorno dopo, questo è il titolo della seconda personale del pittore padovano fulminato sulla via della pittura solo in epoca recente e non storcano il naso quelli che io-so-tutto: il critico d’arte più famoso degli iuessè, Jerry Saltz, quello del mitico magazine Village Voice, quello che è stato due volte in odore di Premio Pulitzer e la terza, nel 2018, lo ha vinto per davvero (con il saggio pubblicato sul New York Magazine intitolato My Life as a Failed Artist: ragionateci un po’ su), quello con photo opportunity di fianco a Obama, quello lì prima di essere Jerry Saltz faceva il camionista.

Marco Vecchiato, Untitled 2024

In mostra da Artekyp una gran copia di produzione inedita di Marco Vecchiato, con un ordinamento non affollato di opere, ma rispettoso dello spazio al punto di riempirlo al livello giusto, né troppo né troppo poco. E non perdetevi la prosecuzione della mostra al piano superiore, dove l’ambiente cambia, passando da white cube a white noise, anche se cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.

Come scrive Emanuele Beluffi nel testo pubblicato a catalogo, quella di Marco Vecchiato è “una pittura maleducata”, fatta di impulsi che producono forme inorganiche che si riaccompagnano per reminiscenza alla figura umana: una pittura dell’inquietudine, una pittura che denota l’inquietudine dell’uomo contemporaneo (o forse meglio di alcuni contemporanei) verso un mondo evidentemente indecifrabile: nella serie di opere in mostra la realtà è bianca, tabula rasa da marcare con l’interpretazione a piacimento, sia essa un rituale magico o un’impresa scientifica o un’opera d’arte visiva o una composizione musicale. 

Marco Vecchiato, Untitled 2024

In queste opere i corpi sono tratteggiati da un segno scabro, a volte sono tronchi di corpi e altre nemmeno quelli, solo allusioni, sono spettatori accennati che non dialogano né interagiscono col mondo là fuori. “I corpi di Vecchiato – scrive ancora Emanuele Beluffi – hanno solo due cavità piccole come spilli, piccole come occhi di un topo a denotare le cavità nasali del teschio e null’altro attorno, sono gli amanti di Magritte ai quali è stato tolto il velo dalla faccia con tutto quello che c’era sotto: sotto il velo niente, come nel romanzo di Marco Parma (alias di Paolo Pietroni). Sotto il vestito niente, l’anima dove l’hanno persa?”

Marco Vecchiato, Untitled 2023

Marco Vecchiato fa una pittura estrema, secca, inclemente, scarnificata, materiata di segni, lontana anni luce dal fervore cromatico che pure a suo modo c’è, pulsante da quel grande bianco che è il film pittorico su cui i soggetti stanno, semplicemente stanno, espressione di quella “pittura dell’ignoto”, tanto per citare il titolo del catalogo di una mostra di più di una decina di anni fa di Mario Raciti, di cui sicuramente Vecchiato è profondo conoscitore e debitore per quei fondi indefiniti e grezzi e quella “narrazione” meta/fisica nel vero senso dell’espressione, cioè al di là dell’apparenza familiare.
“La mia pittura è realista perché parla del presente, è figurativa, fenomenologica, ammesso e non concesso che queste distinzioni vogliano dire qualcosa, perché sotto il groviglio di linee c’è la figura e quella figura non può che essere l’uomo, l’essere, l’io”, ci ha detto Vecchiato.

Modena val bene una mostra.

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