Garbelli, un “codice urbano” per sorridere e sognare una città diversa

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by Alessandro Riva e Alfonso Umali

I segnali stradali sono un punto di riferimento fondamentale per i cittadini: su questi si basano le norme che tutti, dai pedoni, ai motociclisti fino agli autisti di tutti i generi devono rispettare.

I cartelli stradali sono quindi dappertutto, dalle strade urbane a quelle extraurbane, dalle rotonde, alle autostrade fino ai cantieri. Insomma non c’è luogo che si rispetti che non abbia la sua brava segnaletica.

Ed è proprio a partire dai cartelli stradali, realizzati in alluminio (materiale di eccellente durata), che nasce la pratica artistica di Francesco Garbelli, classe 1962, considerato uno street artist ante litteram, quando ancora la street art era riservata unicamente alle scritte e alle “tag”, e le strade non erano ancora piene di interventi artistici di ogni genere, dal figurativo al concettuale.

Erano infatti gli anni Ottanta quando Garbelli iniziò la sua ricerca artistica sull’iconografia della segnaletica stradale direttamente sul campo, anche senza permessi. Tra le sue opere più iconiche, le celebri “zebre” ottenute utilizzando i cartelli che indicano la direzione (formati da strisce bianche e nere, come il manto delle zebre appunto, a cui l’artista aveva aggiunto una testa di zebra, sempre realizzata con lo stesso materiale), o il cartello che indica la ex Jugoslavia, distrutto in mille pezzi da missili appartenenti ai paesi che la componevano, metafora della tragica guerra tra i vari stati della ex Repubblica.

O, ancora, il cartello “Atlantide”, mimetizzato in mezzo ad altri che indicavano direzioni reali (Abbiategrasso, Vigevano, Mortara), che fece la sua comparsa a Milano, in zona Solari, nel 1987, e che destò tanta curiosità nei milanesi da far scrivere al “Corriere della Sera” che Atlantide era stata finalmente trovata: “Solo una mente fine”, scriveva il quotidiano, “avrebbe potuto immaginare di indicare niente di meno che il cammino per raggiungere la mitica Atlantide. Località che, da tutti erroneamente ritenuta nascosta in chissà quale misterioso antro oceanico, solo adesso scopriamo trovarsi sotto la terra battuta del tram in via California. Per Abbiategrasso e Mortara a sinistra, per Atlantide proprio lì sotto. Con buona pace di quel contafrottole di Platone che andava parlando di ‘isola al di là delle Colonne d’Ercole poi inabissatasi tra i flutti’. Altroché: per andare a far visita a Poseidone e alla sua banda c’è solo da scavare un po’ dalle parti del Parco Solari: lo dice il cartello stesso”. Opera, questa di Atlantide, che fece stupire e sorridere i milanesi in quel lontano 1987, che oggi l’artista ripropone, in nuova veste, come immagine-simbolo della mostra che ha appena inaugurato presso Stazione Arte Contemporary a Milano (aperta fino al 19 febbraio). Le opere della mostra sono realizzate su supporti vari, mentre una grande scultura, che richiama gli scacchi con le pedine a forma di segnali stradali, campeggia in mezzo allo spazio.

Il titolo della mostra è “Codice Urbano” proprio in relazione alla sua attenzione al paesaggio urbano, ai suoi codici e alle sue regole, che l’artista riprende in maniera ironica, divertente, di immediata comprensione. Uno stile inconfondibile, che si amalgama perfettamente con le immagini del segnale che fa da supporto all’opera, e soprattutto chiaro agli occhi di tutti, dai grandi ai piccini, pur con molti riferimenti sotterranei e significati nascosti, proprio come i segnali che utilizza come supporto: un linguaggio che deriva dal concettuale ma con un taglio estremamente “leggero” e popolare. E non è un caso se l’artista fu annoverato tra i protagonisti, nei primi anni Novanta, del movimento del Concettualismo ironico.

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