Per molti anni, ho frequentato un posto, a Roma – e più precisamente nel centro di Roma, in via dei Banchi Vecchi – chiamato Casa BAM. Era un luogo magico, bizzarro, gioioso: strabordante di quadri, di arredi, di oggetti d’artista, di manufatti che chiamare semplicemente “di design” sarebbe riduttivo. Ad animarlo, due galleristi altrettanto atipici, Arnaldo Romani Brizzi e Massimo Caggiano. Il primo, purtroppo oggi comparso, principalmente critico e scrittore di straordinaria raffinatezza, il secondo collezionista, designer d’interni dallo stile fortemente originale, nonché grande appassionato d’arte. Entrambi sono stati, più che semplici galleristi, compagni di strada degli artisti, con una visione molto forte e precisa di ciò che interessava loro: e quella loro passione l’avevano appunto messa nella loro galleria, Il Polittico, fondata nel 1990, e nella succursale, o foresteria che dir si voglia, della galleria, che era appunto la fantasmagorica e strabordante Casa BAM. Luogo di ritrovo e crocevia di artisti, di critici, di collezionisti, di appassionati d’arte, di scrittori, la casa era arredata interamente, dai muri agli oggetti ai mobili e agli arredi, da opere d’arte. Opere che avevano un solo fil rouge: la figurazione. Era infatti, quella del Polittico, una scelta precisa, coerente, estremamente calibrata: sostenere, esporre, promuovere e acquistare le opere di quella congerie di artisti che andavano dai primi protagonisti dell’Anacronismo, alle sue varie diramazioni e concatenazioni, come la Pittura Colta e l’Ipermanierismo, e, a seguire, tutti gli artisti che, da Roma e in tutt’Italia, si muovevano sul solco della ridefinizione della pittura d’immagine.
Un pezzo di storia dell’arte italiana
Insieme, Romani Brizzi e Caggiano hanno esposto e collezionato centinaia di artisti, documentando e testimoniando di un pezzo importante di storia dell’arte italiana e non solo: tra gli artisti che hanno portato nel nostro paese, primi e spesso unici in Italia, vi erano ad esempio Hermann Albert, Philp Pearlstein, Sean Henry, John Kirby, Dino Valls, Jan Knap, David Ligare, Carlos Forns Bada, Stephen McKenna, Thomas Corey, Anna Keen, solo per citarne alcuni. Ma il grosso della pattuglia era formato da artisti italiani, attivi e attenti agli sviluppi di un linguaggio, quello pittorico, e in particolare figurativo, che sapeva continuamente rinnovarsi pur mantenendo ferrei rapporti con la tradizione. Quegli artisti non solo frequentavano assiduamente la galleria, che produceva a velocità vertiginosa una gran quantità di mostre, sia personali che collettive (tutte corredate da splendidi e raffinatissimi cataloghi, di piccolo formato –17×12 cm –, in tutto degni di una piccola casa editrice di cultura, e curate da molti dei migliori critici e storici dell’arte che affollavano la scena in quel periodo, da Giuliano Briganti, a Duccio Trombadori, a Edward Lucie-Smith, a Lorenza Trucchi, e molti altri), dedicate vuoi a pittori già fortemente storicizzati vuoi a giovani, emergenti o in fase di compiere i loro passi importanti nel mondo dell’arte istituzionale, anche grazie alla sempre maggiore credibilità che la galleria, via via, acquistava anche a livello istituzionale (oltre alle collaborazioni con la Quadriennale di Roma, molto significativa fu la collocazione nella collezione permanente del Senato della Repubblica di molte opere dei loro artisti, così come alcune mostre pubbliche di rilievo, come “La Pittura Ritrovata 1978/1998. Venti anni di riallineamento alla pittura di immagine”, al Complesso del Vittoriano, nel 1999, e le molte mostre realizzate negli Istituti di Cultura italiani in molti paesi europei ed extraeuropei). E, oltre alla galleria, molti di quegli artisti frequentavano quel crocevia di relazioni, di scoperte, di amicizie durature che fu appunto la Casa BAM.
Come nacque Casa BAM
È lo stesso Massimo Caggiano a ricordare come nacque quell’esperienza: “Con il mio socio Arnaldo Romani Brizzi avevo sempre avuto il desiderio di uno spazio dove accogliere i nostri amici collezionisti e frequentatori de Il Polittico. A metà degli anni Novanta ne parlammo con la nostra amica Beatrice Bordone Bulgari, in quegli anni affermata costumista cinematografica (per citare uno dei suoi film, tra i molti, Cinema paradiso di Giuseppe Tornatore). A sua volta lei stava cercando in quel periodo un appartamento come luogo di meditazione e studio. Fu così che si decise di prendere insieme l’appartamento sulla sede della galleria, con ingresso su vicolo Cellini, che da quel momento divenne la Casa dell’Amicizia, chiamata anche Casa BAM, acronimo dalle iniziali dei nostri nomi di battesimo Beatrice, Arnaldo e Massimo”.
La mostra a Lucca e la “casa” a Perugia
In questo ultimo decennio, terminata ormai quell’esperienza importante e straordinaria, per la passione ma soprattutto per l’energia, i contatti, la determinazione e l’intelligenza nel sostenere un genere di pittura che le mode dettate dal sistema andavano molto spesso tenendo in disparte ed esiliando dalle grandi manifestazioni pubbliche, Massimo Caggiano ha continuato la sua opera di collezionista, di compagno di strada degli artisti, di stimolo nel commissionare opere, nell’organizzare mostre, nel connettere e creare ponti tra artisti, istituzioni, musei. La mostra al Palazzo delle Esposizioni di Lucca, intitolata “Figurazioni, Sguardi, Persone e Vicinanze. La raccolta di Massimo Caggiano. 100 capolavori dell’arte italiana e internazionale degli anni ’80”, è solo il più recente dei capitoli di questa instancabile e meritoria attività (tra le altre, c’è da segnalare senz’altro anche la mostra permanente, ospitata a Palazzo Baldeschi a Perugia, intitolata proprio “La casa di Massimo Caggiano”, che riprende da una parte le atmosfere di Casa BAM, dall’altra la stessa dimora romana del collezionista, piena com’è non solo di quadri, ma anche di oggetti di arredo, disegnati dallo stesso Caggiano, e successivamente dipinti dagli artisti).
Anacronismo, Ipermanierismo e Pittura colta
Nella mostra di Lucca, come nelle altre esposizioni itineranti che contraddistinguono questa particolare collezione “diffusa sul territorio”, troviamo una selezione di oltre 100 quadri e sculture di artisti, attivi a partire dagli anni Ottanta del Novecento, che hanno profondamente segnato un pezzo di storia dell’arte italiana. Ecco ad esempio un’imponente tela di Stefano Di Stasio, Presso antiche acque, del 1982, esposta alla 40° Biennale di Venezia, che segnò l’inizio di un rinnovato interesse verso il linguaggio pittorico, con un taglio ancora squisitamente concettuale ma con più di un occhio al recupero del linguaggio della tradizione in un’ottica, perfettamente in linea con le pratiche del pastiche di taglio post-moderno, già attente ai temi della citazione, dell’ibridazione, del recupero e ridefinizione dei generi, da parte di una pattuglia di artisti romani, che poco prima aveva destato l’interesse della critica con una mostra alla galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis, e solo due anni dopo sarebbe sfociata ufficialmente nel più vasto movimento dell’Anacronismo, presentato alla Biennale di Venezia da Maurizio Calvesi.
Ecco un Ritratto di Giorgio de Chirico da giovane, di Alberto Abate, tra i maggiori esponenti della Pittura Colta, simbolico proprio perché è De Chirico, il pictor optimus, che prima di ogni altro disfò e giocò coi significati reconditi del mestiere di pittore, stracciando il velo di Maya della realtà con la forza del solo mezzo pittorico, nel gioco continuo della citazione e della ripresa dei canoni, il punto di riferimento e il maestro indiscusso per questi pittori. Ecco uno splendido quadro di Carlo Maria Mariani, tra i maestri indiscussi dell’Anacronismo, sempre del 1982, con la sua consueta ed estremamente cerebrale ripresa del Neoclassicimo; ecco gli straordinari e intramontabili paesaggi di Ubaldo Bartolini, di Franco Piruca, di Paola Gandolfi, di Salvatore Marrone, di Carlo Bertocci, Lorenzo Bonechi: tutti artisti che, in un modo o nell’altro, pur distanziandosene poi col tempo, dall’Anacronismo e dai movimenti coevi in qualche modo provenivano.
“Dagli Anacronisti teorizzati da Maurizio Calvesi ai Pittori Colti riuniti da Italo Mussa, ciascuno di essi, sul finire degli anni Settanta”, scrive Cesare Biasini Selvaggi nel catalogo che accompagna la mostra, “contribuì a traghettare l’arte concettuale fuori dalle ‘sabbie mobili’ di un percorso senza ritorno che aveva portato Giulio Carlo Argan a paventare addirittura la ‘morte dell’arte’. Tra le diverse declinazioni di ognuno di questi movimenti, emergono come tratti comuni l’abbandono del concetto di avanguardia, il recupero della pittura e degli strumenti più tradizionali, un rinnovato interesse e utilizzo del colore, la ricerca di una nuova figurazione, la riconsiderazione della propria storia che si vuole rivisitare, interrogare ed evocare anche attraverso la citazione”.
Una storia non solo italiana
A questo ambito, o ad ambiti vicini, si possono dunque ascrivere molti altri artisti presenti in mostra, anche con opere di particolare interesse dal punto di vista storico. Ma insieme a questi vediamo anche artisti stranieri – i già citati Albert, Pearlstein, Sean Henry, Kirby, Dino Valls, Jan Knap, Carlos Forns Bada, e altri –, e anche molti dei pittori che artisticamente sono nati più tardi, a testimoniare di una storia della pittura di figura e di immagine che ha lasciato, e tutt’ora sta lasciando, frutti importanti come retaggio culturale, ideale, mentale, visivo su molti artisti contemporanei. Un monito, un avvertimento, per ricordarci che la storia dell’arte è un fiume carsico, dove l’influenza degli artisti, delle opere, dei vari movimenti che si susseguono nel tempo, non seguono regole prestabilite, e non muoiono mai.
Attraverso le esposizioni, lo studio, la memoria, il lavoro di sedimentazione, di storicizzazione, di riscoperta di autori che a volte il sistema rischia di mettere in secondo piano per lasciar spazio alle mode del momento, le suggestioni e le emozioni lasciate dai grandi artisti ritornano sempre. “Ho sempre desiderato e scelto opere che mi trasmettessero emozioni positive e che mi parlassero”, dice Massimo Caggiano. “Non interpreto le opere e non penso a cosa l’artista voglia dire nella sua opera: ho soltanto il desiderio di accostare le opere in maniera che le figure di un dipinto o di una scultura possano dialogare tra loro. Sono le opere che parlano a me comunicandomi, anche a distanza di anni, sempre le stesse emozioni… sono sempre amate”.