The Curse: da David Lynch a Kafka, quando la televisione è distorsione e annientamento

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Le superfici a specchio delle case suggeriscono fin dal principio l’interesse della serie per la distorsione. Una distorsione che ha il sapore dell’illusione, e ha il sapore del potere della televisione nel creare illusioni. Tutto questo, e molto altro, è The Curse, serie creata da Nathan Fielder e Benny Safdie (che sono anche tra i protagonisti insieme alla bravissima Emma Stone), disponibile su Paramount+ dal 11 Novembre. Uno show che vi lascerà a bocca aperta per la sua originalità e la sua capacità di mettere in discussione la narrativa seriale convenzionale. Il genere è la satira, che punta il dito contro la realtà televisiva, la politica e la società, mostrando la falsità e l’ipocrisia che le caratterizzano.

Al centro di The Curse c’è la coppia formata da Whitney (Emma Stone) e Asher (Nathan Fielder) Siegel, che conducono uno show televisivo pieno di buone intenzioni e solidarietà. Il loro scopo è quello di aiutare la comunità di Española in Nuovo Messico, dove costruiscono case ecologiche in una zona minacciata dalla gentrificazione. Ma la realtà è molto diversa da quella che mostrano. Lei è una narcisista in cerca di fama e gratificazione per il suo ego, mentre lui è insoddisfatto, represso e sottomesso alla compagna. I due hanno una relazione e una sessualità problematiche, sotto lo sguardo del loro amico e produttore Dougie Schecter (Benny Safdie), che cerca cinicamente di trasformare ogni momento di vita intorno a lui in materiale per lo show. Mentre una maledizione si abbatte su Whitney e Asher, la situazione peggiora. 

The Curse è una serie che infrange ogni schema, corrosiva, famelica, beffarda, sfida la narrazione omogenea e prevedibile, portandola su vette lynchiane, in cui gli eventi e le relazioni tra i personaggi sono allungati e distorti; sfida la società dell’immagine e del successo personale, rappresentata soprattutto dalla spietata Whitney, interpretata da Emma Stone; sfida le nostre modalità di fruizione, costringendoci a guardare gli eventi con angolazioni strane, con oggetti e filtri che si interpongono tra noi e i personaggi, evidenziando la difficoltà di conoscere veramente le persone nella società odierna. I personaggi sono spesso inquadrati attraverso il vetro graffiato e sporco delle finestre chiuse, che rendono la narrazione e la fruizione distante e allo stesso tempo claustrofobica: è come se li stessimo spiando ma ad una distanza ben calcolata. 

Il cinema di David Lynch e il suo Twin Peaks, con il loro perturbante, sono una chiara fonte di ispirazione per The Curse. La serie infatti fa una satira simile a quella che il regista statunitense faceva delle soap opera, e la duplicità dei personaggi è una caratteristica che accomuna i due lavori. Tuttavia, mentre Twin Peaks creava un affascinante puzzle di enigmi e elementi sovrannaturali, The Curse non riesce a dare vita al proprio mondo, mostrando allo spettatore per gran parte del tempo lo stesso squallore, buonismo e falsità che sono alla base di ogni reality show. Le quasi 10 ore di durata si fanno sentire, perché senza un vero mistero da seguire e un minimo di disdicevole umanità è difficile provare simpatia per i personaggi.

Ma forse The Curse vuole anche questo: farci odiare questo mondo fondato sulla menzogna. Emma Stone interpreta alla perfezione il suo ruolo, che sente il bisogno di rendere pubblico ogni dettaglio, nascondendo l’ossessiva ricerca di attenzione dietro la dedizione al prossimo e trasformando l’ambizione in ecologismo. Lei è a tutti gli effetti un’influencer per cui la vita è uno streaming permanente; è sempre in azione, sempre a calcolare minuziosamente il suo atteggiamento, la sua attitudine. Whitney si nasconde dietro un sorriso tirato, paralizzata dalla consapevolezza di sé e dalla paura di sbagliare. Whitney è quella persona che non riesce a smettere di chiedersi come apparirà in camera, che non riesce a smettere di pensare a come viene osservata, a come viene percepita. Una persona entusiasta di guidare attraverso la vita senza preoccuparsi di chi colpisce lungo la strada. 

The Curse affronta molti temi delicati, come la gentrificazione e il White Saviorism, ma questi sono solo un punto di partenza. Quel che viene distillato nella serie è anche una feroce satira dell’intrattenimento, il che potrebbe essere il motivo per cui è così difficile da guardare: è una serie specchio, una serie abisso, ed è anche una satira oscura sulla filantropia esibizionista e lo sfruttamento, un dramma psicologico dell’orrore sul matrimonio.

Chi avrà la pazienza di superare la parte centrale della stagione molto ripetitiva e stancante sarà premiato da degli episodi finali più riusciti e focalizzati, che accentuano la feroce critica alla televisione e virano improvvisamente verso il sovrannaturale, fino a un finale sorprendente. 

Anche quando procede a passo lento, The Curse ha un nitido linguaggio visivo. Spesso la telecamera si muove in modo da enfatizzare che si tratta di uno show su uno show, con un senso freddo di distanza dai suoi personaggi centrali. Tutti sono sotto sorveglianza. Il design del suono ripete questo senso di allarme: la colonna sonora è piena di ronzii e suoni cupi, che segnalano l’inumanità, la meccanica, la freddezza. 

The Curse vi farà provare disprezzo per i suoi protagonisti, ma allo stesso tempo in questa serie troverete momenti di grande serialità, nonché immagini che ci raccontano il nostro presente e ciò da cui ci stiamo lasciando influenzare. Ciò a cui assistiamo è orribile e doloroso. Tuttavia, è anche provocatorio, stranamente ipnotizzante e piuttosto diverso da qualsiasi altra cosa si possa vedere in televisione quest’anno. 

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