Steve McCurry, l’umanità e la guerra. In mostra a Pisa

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Le opere del maestro della fotografia Steve McCurry, conosciuto a livello globale per aver immortalato Ragazza afgana nel lontano 1984, che raffigurava la giovane Shabart Gula (allora dodicenne) con lo scialle rosso e i suoi occhi azzurri e penetranti in un campo profughi nel confine allestito nella frontiera afgano-pakistana, sono ospitate agli Arsenali Repubblicani a Pisa.

La m­ostra, inaugurata con l’arrivo dell’anno e intitolata “Steve McCurry. Icons”, racchiude oltre 40 anni di carriera del fotografo, all’interno di 90 opere appositamente selezionate. Organizzata da Artika, con il patrocinio del Comune di Pisa e curata da Biba Giachetti e Daniel Buso, la mostra racchiude le fotografie, di cui molte scattate tra gli anni Ottanta e Novanta, nel corso di lunghi viaggi in tutto il mondo, dall’Afganistan e all’India, dalla Mongolia arrivando in Italia.

I ritratti di paesaggi rurali, quasi totalmente incontaminati e isolati dal resto del mondo, le fotografie di popoli con un’inconfondibile identità culturale, la bellezza e la storia colta nei volti di bambini, bambine, donne, uomini, signori anziani, ma anche la brutalità delle guerre e la violenza caratterizzano pienamente la produzione dell’artista, di cui la mostra odierna è un ottimo saggio.

Uno dei protagonisti, non solo all’interno della carriera artistica di McCurry, ma che contrassegna anche la mostra, è il buddismo: infatti troviamo diversi scatti fatti agli acrobatici monaci shaolin e la Roccia d’oro di Myanmar in Birmania (importantissimo luogo di pellegrinaggio per i buddisti). Anche l’India ha un ruolo fondamentale per il fotografo: all’età di 28 anni, infatti, trasferitosi in India, ha potuto immortalarne il paesaggio, la grande e vastissima umanità della sua popolazione ma anche i problemi drammatici che lo colpiscono, come la sovrappopolazione e il divario sociale.

Un percorso espositivo che racchiude un mondo variegato e multietnico, decisamente lontano dall’estetica del contemporaneo che vediamo giornalmente con i nostri occhi, troppo spesso composta solo da brand, luoghi da sogno e architetture mozzafiato.

Steve McCurry, nato in Filadelfia nel 1950, è uno dei fotografi di punta della Magnum Photo, indiscutibilmente la più importante agenzia fotografica del 20esimo secolo, fondata nel 1947 da personaggi del calibro di Robert Capa ed Henri Cartier-Bresson, che nel tempo ha ospitato maestri indiscussi della fotografia come Elliott Erwitt e Sebastião Salgado. Nel corso della sua carriera, McCurry ha accumulato premi importantissimi per i suoi reportage, in primis sulla guerra in Afganistan ma anche per aver immortalato tutte le guerre, con le loro atrocità, in paesi come la Cambogia, le Filippine e l’Iraq con la Guerra del Golfo.  Gran parte della sua produzione riprende le culture e le tradizioni orientali, soprattutto quelle indiane, ma anche la vita quotidiana nei paesi dell’Occidente. “La mia vita è plasmata dall’urgente bisogno di vagare e osservare, e la mia macchina fotografica è il mio passaporto”, ha detto una volta l’artista. Una curiosità e un bisogno di girare e documentare, che lo hanno fatto diventare uno dei grandi testimoni del secolo.

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