Spazio Ordet presenta a Milano la nuova generazione di artisti

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Primary Domain

Fino al 30 luglio, lo spazio presenta la mostra “Primary Domain” dedicata alla generazione di artisti milanesi nati tra il ’92 e il ’96.

La pluralità delle ricerche e delle tecniche tratteggia uno scenario articolato, configurato in coordinate spazio tempo ben definite. 

Primary domain diventa un osservatorio per esplorare e interrogare le nuove istanze e le attività di un contesto i cui esponenti sono Federico Cantale, Stefania Carlotti, Guendalina Cerruti, Jimmy Milani, Giacomo Montanelli, Sara Ravelli, Giulio Scalisi e Agnese Smaldone.

Trance di Miele (2021) di Federico Cantale (1996) è una forma a prima vista astratta, monocroma e longilinea, ai cui estremi si distinguono due semisfere e quattro piedini che si toccano: la percezione del lavoro cambia riconoscendo nei volumi l’immagine di due figure in contatto, intimo e affettuoso. L’opera è ispirata agli Amanti di Ain Sakhri, una piccola scultura databile circa 9 mila anni a.c., ritenuta la prima rappresentazione di un rapporto amoroso. Le sagome stilizzate dei due amanti condensano un insieme di movimenti. Il lavoro scultoreo ed essenziale di Cantale privilegia forme libere, spesso a prima vista enigmatiche, prodotto di una progettazione meticolosa, combinata a una fascinazione per il perturbante e l’inaspettato.

La ricerca di Stefania Carlotti (1994) spazia dalla scultura all’animazione digitale, dal video alla scrittura. L’artista si serve di un’estetica low-tech e artigianale per resistere alle sofisticazioni della produzione industriale e del design contemporaneo, in cui ricordi e immagini comuni si condensano in posizioni di critica sociale. Le opere appartenenti alla serie “I bar” sono maquette in cartapesta di locali abbandonati che sembrano alludere a un dramma accaduto o imminente. Una patina riveste e uniforma gli ambienti desolati, indistinti come le ansie e le insicurezze che potrebbero coglierci. In Bar Basso (2021) riconosciamo il senso di smarrimento e struggimento degli ultimi due anni. Malibu (2020) è la riproduzione in ceramica di un’elegante casa di Barbie che sta andando a fuoco, incenerendo i sogni e gli accessori moderni che ne hanno ispirato e rappresentato il successo.

Le opere di Guendalina Cerruti (1992) sono il risultato di una pratica quotidiana in cui l’artista edita pensieri ed emozioni suscitati dal mondo che la circonda. Le sue installazioni – microuniversi e paesaggi emozionali, l’esito di vissuti tra realtà e immaginazione – sono caratterizzate da una vasta gamma di tecniche che accostano elementi artigianali e industriali, spesso provenienti dell’arredamento e del design. Smile Baby (2020) fa parte di una serie di sculture che consistono in cassettiere IKEA customizzate – RAST è uno dei mobili più popolari nelle comunità online di fai-da-te e di IKEA Hacks. L’artista investiga la dimensione dell’autoritratto includendo riferimenti

personali ed esamina le relazioni tra gusto, rappresentazione e classe. Good Girl (2021) nasce invece dalla condizione di solitudine vissuta durante il lockdown e dall’impulso all’oggettivazione dei sentimenti, delle proiezioni e dei bisogni.

I dipinti di Jimmy Milani (1995) sono caratterizzati da un conflitto tra razionalità e intuizione. Se da un lato l’artista sente il bisogno di seguire un’ipotesi progettuale

rigorosa, dall’altro riscontriamo un impulso uguale e contrario ad accogliere il mutamento e l’imprevisto. La ricerca  di  Milani  è  segnata dal confronto critico con la tradizione pittorica e dalla passione per la composizione. I soggetti e le narrazioni si fondono su superfici definite, dove curve, angoli e contorni sono delineati e campiti senza sfumature. La costruzione del dipinto, le immagini e i colori sono il risultato di una distorsione controllata del pensiero, della figurazione e del reale.

I lavori di Giacomo Montanelli (1996) sono istantanee di tante narrazioni possibili. Le opere rappresentano scene accessorie, a margine di una realtà più vasta dove ogni dipinto ha in sé un po’ del successivo, tracciando un percorso potenzialmente infinito. Le sue immagini sono il risultato di un processo di scomposizione, analisi e modulazione volto a una narrazione concisa ed essenziale. Lo spazio pittorico è suddiviso in sezioni in cui convergono elementi naturali e artificiali, della storia dell’arte, della cultura digitale e della comunicazione pubblicitaria. I dipinti in mostra raccontano di un essere antropomorfo composto da frecce e simboli, assimilabile a un’infografica che prende vita. Questa nuova entità contemporanea attraversa molteplici dimensioni, catapultata in un racconto infinito, senza alcuna via d’uscita o prospettiva di redenzione.

Sara Ravelli (1993) si interessa alle nozioni di potere e addomesticamento, in particolare alle relazioni tra umano, animale e artefatto, in cui la  dimensione  affettiva  sottende forme di controllo. Le installazioni e le sculture dell’artista fanno spesso uso di un ampio corredo di utensili, attrezzature ed equipaggiamenti. Le due sculture in mostra, parte di un’installazione più ampia intitolata Tamed Love (2020), affrontano il travestimento inteso come forma di costrizione. I lavori sono composti da elementi che richiamano i costumi utilizzati per travestire i cavalli, realizzati con tessuti che si riferiscono a immaginari specifici: il poliestere e il raso rimandano a una sfera domestica, il nylon alla performatività. Le trecce di corda evocano allo stesso tempo l’idea di decorazione e di costrizione. Le superfici sono lavorate con acqua e sale, sostanza nutriente per i cavalli, ma anche associata al sudore corporeo. I materiali e  le  loro  proprietà formali conferiscono all’animale identità connotate e diventano un impedimento artificioso, utile non all’animale quanto alla sua percezione da parte dell’uomo. Controllato, accarezzato, protetto e costretto, il corpo diventa ingombro sensibile tra oggetto e affetto.

L’intelligenza artificiale e gli algoritmi sono condizioni inevitabili che regolano la nostra presenza sui social media. Essi fungono da filtri attraverso i quali i nostri contenuti e dati sono manipolati per apparire nel feed di applicazioni e piattaforme. Blessed by the Algorithm (2021) di Giulio Scalisi (1992) è un video realizzato in CGI, con testi interpretati dall’artista, che estremizza questa visione creando un futuro distopico dove l’identità “filtrata” è l’unica possibile. Il lavoro analizza il rapporto tra umano e digitale, dando vita a un universo segnato da questa consapevolezza e che attribuisce all’algoritmo una sorta di sacralità. Il contesto in cui si sviluppa l’opera è quello di una festa dove partecipano forme umane, avatar e influencer che interagiscono e danzano proiettando enormi ombre sui muri, proiezioni di proiezioni che rivelano le modalità con cui ci possiamo allontanare dalla realtà.

I dipinti, le sculture e i disegni di Agnese Smaldone (1996) sono contraddistinti da una forte carica narrativa in cui ricorre spesso come “personaggio” una  palma.  La  messa in scena di questo inusuale elemento visivo e le sue trasformazioni sono funzionali alla creazione di una dimensione in cui lo spettatore è invitato a riflettere sulle esperienze emotive e le fragilità esistenziali. Paziente (2021) è una dipinto su seta ispirato ai capi di abbigliamento forniti nelle strutture di assistenza sanitaria ai ricoverati. Il camice è sospeso e si trasforma in un soffice velo traslucido, simile alle tende divisorie che permettono una privacy provvisoria negli spazi di degenza. La serie “Document Holder”  (2020)  nasce  dal  ricordo di un oggetto trovato in una stanza d’ospedale. Struttura e proporzioni sono fedeli all’originale, ma il contenitore dei referti e dei documenti, privato del suo fondo, viene defunzionalizzato. Il materiale mantiene l’estetica industriale, ma gli accostamenti di colore e le trasparenze lo sdrammatizzano, rendendo unico ogni esemplare. L’oggetto si presenta vuoto: una cornice senza immagine. Su ciascun foglio di pvc è intagliata l’immagine della palma, come in un momento di introspezione, in bilico tra logo e decorazione.

L’architettura espositiva di Primary domain è realizzata da Armature Globale: un riempimento convenzionale dello spazio, i suoi tratti sono irrilevanti quanto la necessità di aggiornare i paradigmi modernisti con azioni pittoriche primarie. L’allestimento combina l’attuale produzione non supervisionata di pareti espositive con i principi elementari della Gestalt: Anmallen è l’azione pittorica eseguita dai professionisti dell’edilizia; Mallen è l’atto di dipingere superfici al servizio del mercato dell’arte.

Cover Photo Credits: Primary Domain

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