Pierre e Marthe Bonnard: storia di un grande amore 

Il film di Martin Provost, nella sale italiane dal 16 maggio, ripercorre la vicenda artistica e la vita personale del celebre pittore francese 

E ovviamente della compagna e poi moglie Marthe de Méligny, anch’essa creativa, ma dalle alterne fortune visto che la relazione con uno degli artisti più noti del XX secolo ne assorbì totalmente l’esistenza.

Una storia che ha incantato pubblico e critica allo scorso Festival del Cinema di Cannes e su cui sono stati scritti in passato numerosi libri, molti dei quali incentrati sulla descrizione proprio della figura di Marthe. Una donna misteriosa, probabilmente di origine italiana, forse già spostata in precedenza, che è stata spesso accusata di aver reso problematica la vita dell’artista a causa dei suoi problemi di salute, veri o presunti che fossero. 

In realtà la vicenda potrebbe essere più complicata di quanto finora narrato, come il film puntualmente riporta.

Pierre e Marthe si conoscono a fine 1800 e tra loro è un colpo di fulmine. Ben presto lui la mette in contatto con la sua cerchia di conoscenti più stretti, i cosiddetti Nabis. Personaggi del calibro di Paul Sérusier, Maurice Denis, Émile Bernard e molti altri che avrebbero riscritto le regole della pittura diventando un sorta di ponte tra impressionismo e astrazione post-impressionista. Marthe però non sembra essere interessata alla vita parigina e dopo alcuni anni convince Pierre a trasferirsi in Normandia. La villa che occupano è soprannominata la “Roulette” e non è lontana dall’abitazione di Claude Monet che gli fa spesso visita, come viene ben narrato nel film. 

Dall’inizio Marthe è più che una compagna per il pittore: possiamo definirla una vera e propria musa che compare in oltre un terzo delle opere di Bonnard. Come riportato nella pellicola il suo volto nei dipinti è spesso realizzato in maniera meno nitida rispetto alle altre porzioni del corpo e questo provoca in Marthe una sorta di sfiducia nella relazione con Pierre, alimentata dal fatto che l’artista è contrario ad ogni forma d’unione legalmente riconosciuta. 

I due protagonisti sembrano perciò essere legati da una sorta di relazione totalizzante in cui non è chiaro chi sia il manipolatore e chi venga manipolato: per i parenti di Bonnard è la donna a renderlo prigioniero, ma affidarle solo questo ruolo sarebbe davvero riduttivo. Marthe aveva un carattere forte, nascose a Pierre alcune parti della sua vita inventandosi con ogni probabilità un’identità fittizia. Viveva nella menzogna e al contempo era ossessionata dalla mancanza di sincerità del compagno.

Dunque i ruoli di “vittima” e “carnefice” continueranno a sovrapporsi nella loro relazione che alla fine durerà un’intera esistenza. La donna morirà, infatti, cinque anni prima di Bonnard, con cui alla fine convolò a nozze nel 1925, trasferendosi in una villa a Le Cannet, nel sud della Francia. 

Ma se si vuole davvero trovare una vittima in tutta questa situazione è, come suggerisce velatamente il film, Renée Monchaty: una giovane studentessa di belle arti che posava saltuariamente come modella. 

Renée e Pierre diventano ben presto amanti, andando addirittura insieme a Roma. L’artista però sceglierà alla fine di tornare con la compagna di una vita: Marthe. Sopraffatta dal dolore la giovane Renée si toglierà la vita.

Dunque una trama non priva di colpi di scena e che il regista Martin Provost, autore di altri film di successo sempre incentrati su figure femminili come “Séraphine” (2008, 9.5 $ al botteghino), “Violette” (2013) o “La Brava Moglie” (2020 con Juliet Binoche), ha sviluppato anche grazie al contatto con Pierrette Vernon, pronipote di Marthe. La sua figura doveva essere indagata più nel profondo, lontano dai pettegolezzi. Un po’ uno scherzo del destino quello capitato a Provost: nella sua cameretta d’infanzia campeggiava la stampa di un quadro, a ricordo di una mostra che aveva visitato a Parigi con la madre. Quel dipinto era proprio di Pierre Bonnard e raffigurava Marthe. 

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