Osservare la vita: tra la scrittura e il disegno di Orhan Pamuk

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Il labirinto più grande del mondo: quello della Masone a Parma, progettato dal bibliofilo e editore Franco Maria Ricci ospita fino al 17 marzo la mostra Orhan Pamuk: Parole e immagini.

Quel labirinto che Ricci descrisse come “un percorso dell’anima, un perdersi per ritrovarsi» realizzato con piante di bambù, che egli stesso definì come «pianta timida e mistica“, solenne groviglio vegetale che disperde il visitatore e lo incuriosisce, è solo una delle molte bellezze che si possono ammirare incedendo nella proprietà dell’editore. Ricci è stato, oltre che un designer e un editore, un cultore di bellezza. È per questo che il Labirinto della Masone è un luogo multiforme: ospita la casa editrice, un museo con centinaia di opere d’arte dal Rinascimento al Novecento, insieme a spazi e sale destinate a variegate mostre temporanee. Orhan Pamuk: Parole e immagini a cura di Edoardo Pepino presenta al pubblico lo scrittore, vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 2006, in una prospettiva totalmente inedita.

Veduta aerea del Labirinto della Masone Photo Credits Carlo Vannini

Neve, Il mio nome è rosso, La casa del silenzio, La stranezza che ho nella testa, sono solo alcuni dei romanzi dell’autore turco. Qui in mostra, però, l’obiettivo è un altro. L’intenzione è restituire la straordinaria produzione grafica dello scrittore, tramite l’installazione spettacolare di 12 taccuini formato 9x 14 cm marcati Moleskine, che si ergono conservati in quattro teche di vetro, illuminati dal basso da faretti che conferiscono vivacità e colore alle pagine mostrate. È nell’ampia sala della tenuta che, insieme a una libreria in legno colma di romanzi di Pamuk, sono allestiti dei pannelli retroilluminati che illustrano tramite sequenze temporali gli anni della sua produzione, tra le esperienze letterarie e quelle di vita personale.

Le teche vitree contengono dei piedistalli che espongono, come preziosi oggetti contemporanei, i taccuini dell’autore. Sono disegni che sembrano urgenze vitali, testimonianze di una quotidianità vissuta e registrata, affermazioni di esistenza. «Un’esortazione a un’attività quotidiana che significa registrare le proprie emozioni, i propri impegni, i propri pensieri, parole che affollano la nostra mente e il nostro vissuto ogni giorno». È sulla base di quanto scritto, che nell’arco degli ultimi 15 anni Pamuk ha completato più di 20 agendine tutte dello stesso formato. Case che bruciano, porticcioli, la vista di Istanbul da casa sua, animano le pagine delle agende, annullando molte volte la fisionomia delle righe invadenti delle pagine bianche. La sequenza delle pagine illustrate, sempre diverse, sempre nuove, è scandita non in funzione del tempo, ma del sentimento.

Non c’è una gerarchia, la scrittura non primeggia sul disegno, riducendolo a didascalia, né il disegno diventa narrazione sostituendosi alle parole, vi è un connubio essenziale tra scrittura e disegno. I tratti delle lettere e quelli del disegno sono finalizzati al medesimo obiettivo: comunicare se stesso, il suo mondo. È un diario sentimentale, un diario vitale, in cui il bianco del foglio viene annientato dall’imminenza dei tratti, dalla gioia del colore impreciso. La convivenza naturale e istintiva tra parole e immagini nelle opere di Pamuk, come afferma il curatore dell’esposizione, riprende una precisa tradizione storica che Pamuk conosce bene: i taccuini molto comuni del Rinascimento italiano (si pensi a quelli di Leonardo Da Vinci).

“Vivere è vedere” scrive Pamuk su una pagina di questi taccuini, ed è il paesaggio naturale il soggetto prediletto di Pamuk, un paesaggio visto dal di fuori, quasi da un punto di vista lontano. È l’autore stesso che spiega il suo modo di lavorare, ovvero sempre al chiuso, quasi da “innocente voyeur contemporaneo”, che osserva il mondo da dietro una finestra. Una separazione necessaria tra sé e il mondo è quello che Pamuk ricrea, un distante partecipare e nel frattempo sentire.

Pagina da taccuino originale di Orhan Pamuk. Courtesy Orhan Pamuk. Photo credit Emre Dörter

È in una seconda sala che lo spettatore si immerge in un video inedito dello scrittore/artista visivo che narra la sua modalità esecutiva consistente nella compenetrazione tra scrittura e pittura, tra disegno e parole. Anselm Kiefer, Raymond Pettibon, Cy Twombly sono artisti che Pamuk stima e verso i quali si sente non solo debitore, ma accomunato dalla poetica del gesto che insieme alla parola diviene elemento fondamentale della composizione. Lo spettatore può sfogliare liberamente i taccuini mediante l’utilizzo di schermi digitali che permettono di muoversi tra le illustrazioni e leggerne i testi scritti. Quella finestra sul mondo da cui Pamuk guarda il paesaggio di Istanbul è ricreata nell’ultima sala dell’esposizione, in cui pesanti tappeti turchi invitano lo spettatore a sedersi e osservare i sei grandi schermi disposti di fronte che proiettano pensieri, memorie, visioni e sogni tramite un linguaggio spontaneo e coinvolgente che ci permette di addentrarci nel suo personale angolo di mondo.

L’istintività del disegno e l’urgenza della parola sono protagoniste di questa esposizione, in cui Pamuk affida alla potenza del tratto immanente la volontà di fermare in piccoli spazi di carta le visioni di una vita: la vista infinita su Istanbul, le onde di pensieri figurativi e cromatici, le compenetrazioni di pittura e scrittura, gli alfabeti e i segni, che ancora una volta ci avvicinano a quel mondo personale che Orhan Pamuk continua a guardare dalla finestra.

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