L’Ultima cena si tinge di rosa

L’artista femminista Mary Beth Edelson ha dedicato la sua intera carriera alla valorizzazione e integrazione della donna

Quale più celebre riferimento a un episodio biblico se non l’Ultima cena vinciana? Scena al maschile per eccellenza che, nonostante la limitata possibilità di rilettura, l’artista americana Mary Beth Edelson ha rielaborato, aprendo uno squarcio provocatorio sull’interpretazione di questa scena. 

Edelson, artista visuale e performativa considerata una tra le pioniere femministe di prima generazione, deve la sua audacia al cambio di rotta che pervase la carriera negli anni Settanta, quando mise la figura femminile al centro della sua opera. Membro del gruppo di attiviste Heresies, e sostenitrice della cooperativa femminista AIR Gallery, ha dedicato la carriera alla valorizzazione e integrazione delle donne, sia in ambito artistico che in quello socio-politico. 

Courtesy Mary Beth Edelson

Dal corpus delle opere visuali, Some Living American Women Artists/​Last Supper legge il passo biblico dell’Ultima cena in ottica comunitaria, esattamente come predicato nel testo sacro; non è dunque un progetto blasfemo ma un passo verso una genuina condivisione e apertura anche in ambienti storicamente dominati da figure maschili.

La tecnica dadaista asseconda l’intuito, l’immaginario, l’utopico e guida Edelson nei suoi ritratti e ritagli fino a creare un vero e proprio catalogo storico, un segno tangibile di generazioni di artiste e femministe nella storia. 

SLAWA, acronimo dell’opera, è una possibilità, un suggerimento, una celebrazione tanto sacra quanto il soggetto originale: la litografia del 1972 conservata oggi al Moma di New York ha dato finalmente una chance alle donne di occupare posti in contesti nemmeno lontanamente pensati nella storia dell’arte, come per l’appunto l’ultima cena offerta dal Messia ai discepoli prima della sua morte.

Inutile dire che la ricerca di “chi è al posto di chi” è irresistibile: Georgia O’Keeffe detiene il posto d’onore mentre le figure e i volti che creano una cornice umana raffigurano amiche e idoli della stessa artista, da Yoko Ono ad Alma Thomas.

Un posto a tavola attira l’attenzione, proprio quel posto che nel Vangelo è riservato al traditore Giuda Iscariota è volutamente lasciato vuoto, un’assenza che mantiene la sua aura sia nell’originale che nella rilettura. 

Mary Edelson è l’apostrofo ironico fra tradizione e rivoluzione, l’ingrediente segreto di quella ricetta che amiamo, quella parola che abbiamo sulla punta della lingua ma che non ci viene, quel passo che molti avrebbero dovuto, e dovrebbero, fare in favore di tutte le artiste donne.

Cover Photo Credits: Courtesy Mary Beth Edelson

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