“The Pinky Touch”, la generazione gender fluid in mostra a Milano. L’autore? Lo identifica un codice fiscale

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The Pinky Touch” è una mostra fotografica aperta a a Milano, al GERMI Luogo di Contaminazione fino al 24 febbraio; una mostra che punta l’attenzione verso “gli altri”: persone “fluide”, ragazzi e ragazze, uomini e donne dalla forte personalità e dall’aria a volte ambigua a volte disperata, che l’autore delle foto, Davide Tinelli, ha incontrato e immortalato nel corso delle sue serate o scorribande notturne milanesi. Il suo lavoro non si limita all’espressione artistica, ma si connette con un progetto multimediale intitolato “BE MASS MEDIA”. Un audace esperimento che fonde street art e letteratura distopica, intelligenza artificiale ed informatica, progettazione e architettura, agricoltura e filosofia in un unico universo.

TNLDVD69E27H26W – questo il nome con cui si firma l’autore, prendendo a prestito il proprio codice fiscale, ha affisso i manifesti di BE MASS MEDIA nel progetto “SPY-FLY”, caratterizzati da un qr code che rimanda alla piattaforma/libro chiamata “OXYGEN”, in diverse parti del mondo, da Palermo a Riga, da Londra a Tel Aviv, da Berlino a Parigi.

L’artista è un alieno e come tale sulla terra è solo di passaggio, plana tra sogno e realtà, una realtà cruda che non lascia spazio alla patinata bellezza delle fotografie che oggi siamo abituati a vedere per la strada. Sono ragazzi tormentati, invisi a volte emarginati, ma belli nella loro verità. 

L’artista non cerca il successo personale, non cerca l’esaltazione del suo ego, ma cerca il successo delle idee. La fotografia rimane fedele a sé stessa, la vista è il senso a cui ci affidiamo, nulla è accaduto se non lo vediamo, e allora TNLDVD69E27H26W ce lo fa vedere. Gli chiediamo innanzitutto, perché si firma con il suo codice fiscale.

È naturalmente una provocazione, verso chi non ci vede come persone, come individui che hanno un nome, ma solo come un numero. È qualcosa che nella storia abbiamo visto diverse volte, il numero tatuato sul braccio degli ebrei, di uno schiavo africano eccetera. Per arrivare ai giorni nostri dove le madri palestinesi scrivono il nome sul braccio del loro bambino per poterli riconoscere anche da morti. Questo è lo specchio brutale della realtà in cui viviamo e di cui dovremmo parlare.

Qui, quindi, per l’artista la foto diventa un pretesto per far vedere quello che non si vede, una memoria, un amore, un tempo, un disagio, tutte cose che non si vedono ad occhio nudo, ma che le sue foto fanno percepire coinvolgendo, inquietando ed avvicinando a questi mondi notturni. Chi sono i protagonisti dei tuoi scatti?

I ragazzi della generazione Alfa e della generazione Z e un po’ tutte le generazioni. Persone che incontro per strada o negli ambienti che io definisco dell’innovazione, quelli della generazione gender fluid, transessuali, Drag.

Che tecnica hai usato per le tue foto?

Ho cercato di contestualizzare questi ritratti fotografici creando una narrazione un po’ surrealista, utilizzando dei fondali dipinti da me e poi scattare con una vera macchina fotografica, con cavalletto e luci per creare l’artificio. Il mio obiettivo era quello di creare uno stile intorno a questa opposizione tra soggetti ipermoderni e l’immagine che si rifà sicuramente di più alla pittura tradizionale.

Non ami essere definito artista, qual è la definizione giusta?

Mi considero uno sperimentatore, sperimentare per me diventa fondamentale, perché ha sempre un margine di rischio di errore che però mi permette di essere libero. La sperimentazione per me diventa l’unico strumento rivoluzionario, perché non crea un prodotto, un cliché di prodotto, ma crea il dibattito che è quello che a me interessa. Anche questo progetto fotografico è per me soltanto una scusa per creare movimento.

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