Zehra Doğan e il fumetto d’artista sulla questione curda

L’artista Zehra Doğan, attivista curda e reporter di guerra, pubblica il fumetto “Prigione Numero 5” per la casa editrice Becco Giallo dove racconta la sua prigionia

Nella recente storia contemporanea la questione curda – per chi ha seguito la notizia della trattativa tra Svezia e Finlandia con la Nato – è tornata sotto i riflettori. 

Elogiati come strenui guerriglieri anti ISIS qualche anno fa o presentati come sostenitori di partiti filoterroristi nella Turchia di Erdogan, i popoli curdi (circa 40 milioni di persone) vivono in un’area tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. 

Il Kurdistan, infatti, non è uno Stato con territorio proprio all’interno di confini riconosciuti e in questo momento esiste e resiste, almeno in parte, tra le mura delle carceri turche dove sono imprigionati molti esponenti del partito PKK fondato da Ocalan.  

Per chi volesse approfondire la questione curda è disponibile in Italia, grazie alla casa editrice Becco Giallo che lo ha pubblicato, “Prigione Numero 5” uno speciale fumetto firmato Zehra Doğan, artista inserita qualche anno fa da ArtReview tra i 100 artisti più influenti al mondo. 

L’artista attivista Zehra Doğan

La giovane attivista curda, nata nel 1989, che ha ricevuto sostegno da artisti come Banksy e Ai Weiwei, partendo dalla sua esperienza di giovane reporter di guerra, svela al mondo intero una parte della tormentata storia delle popolazioni curde. 

Questo suo lavoro ci riporta nel 2015 quando una serie di attentati di Daesh e la fine di alcuni colloqui per la risoluzione della questione curda, riaccesero le conflittualità nella Turchia orientale a maggioranza curda. 

La risposta del governo di Erdogan fu quella di inasprire il controllo di quel territorio, provocando una violenta repressione verso i confini con la Siria. 

Zehra Doğan, che era lì in quel preciso momento, chiese a sé stessa: “Bloccata a Nusaybin come giornalista, come posso raccontare questi giorni, questi attacchi sempre più violenti? Durante il coprifuoco le popolazioni non possono procurarsi il cibo. La fornitura di elettricità e acqua è interrotta”.

Il disegno e la imprigionamento

In quei giorni Zehra postò su Twitter un disegno che aveva fatto e che testimoniava il livello di distruzione proprio della città che l’artista era impossibilitata a lasciare. 

La sua opera non piacque alle autorità che, nell’ondata di arresti avvenuti dopo il tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, imprigionarono Zehra Doğan.

Dopo i primi 141 giorni di prigionia il verdetto le assegnò due anni nove mesi e 22 giorni di detenzione per “propaganda terrorista”. Dopo cinque mesi di clandestinità il 12 giugno 2017 venne arrestata e mandata nel carcere di Diyarbakir/Amed. 

“In questo luogo, dove tutto viene continuamente limitato, dove è difficile trovare anche solo una matita, imparerò a creare dal nulla” si ripromette sin da subito. 

Agli artisti è concesso il privilegio di creare e ricreare dal nulla, solo a loro è affidato il compito a volte arduo di immaginare mondi e opere che possono diventare speciali armi per le battaglie a favore della libertà.

La prigionia e “Prigione Numero 5”

Zehra Doğan, che aveva già iniziato a pensare ad un fumetto, durante la sua seconda prigionia chiese ad una sua amica di mandarle lettere scritte solo su un lato, così da poter avere l’altro lato “pulito” e disponibile per il suo progetto.

Non avendo colori a disposizione ha dovuto usare materiale di fortuna come avanzi di cibo, tè, caffè e il sangue del ciclo mestruale.

Tutti i disegni, tranne uno, sono usciti in maniera clandestina dalla famigerata “Prigione Numero 5”, che dà il titolo al suo lavoro. 

Estratto di “Prigione numero 5” di Zehra Doğan

Questo fumetto d’artista è un vero e proprio viaggio nelle viscere dell’inferno curdo vissuto nelle carceri e per i lettori è un viaggio nella resistenza della lotta di questo popolo alla ricerca di un’esistenza libera. 

Mentre scorrono le violente immagini di pestaggi e soprusi, nonostante siano filtrate dalla matita dell’artista, ci si interroga su come mai i potenti non capiscano che le guerre, le prigionie, le persecuzioni politiche non fanno altro che rafforzare le identità, le idee e le persone.

Proprio come è successo a Zehra Doğan che una volta libera dalla prigionia ha preso la via dell’Europa dove continua la sua ricerca di artista curda.

Il lavoro pubblicato dalla casa editrice Becco Giallo è anche un importante escamotage usato dall’artista per farci leggere un altro libro, clandestino, che l’artista disegna in carcere mentre viene letto a lei dalle sue sorelle di prigionia.

E proprio la sorellanza e il femminismo curdo sono le altre protagoniste di questo lavoro in cui “l’umano è presente, l’umanità è assente”.

Zehra Doğan e Antonio Gramsci

“Siamo di fronte ad un testo dallo straordinario valore storico, antropologico, artistico” scrive la curatrice d’arte Elettra Stamboulis nell’introduzione al libro aggiungendo “la peculiarità di questo lavoro è che si tratta del primo fumetto realizzato in un carcere in diretta, fatto “evadere” come le opere dell’artista attraverso una rete di attivisti, realizzato quindi stretta collaborazione con le altre e in forma mista, disegnata e scritta”

Mentre leggevo le pagine di questo graphic memoir ho ripensato ad una lettera scritta da Gramsci mentre era in carcere a Turi, in Puglia.

Una lettera piena di poesia, indirizzata a sua cognata Tatiana Schucht, in cui l’intellettuale antifascista parla dello speciale malessere, di atonia psichica, che può colpire un carcerato.

Nonostante ciò egli si concentra su una rosa che dopo essersi completamente ravvivata, ha messo dei nuovi rametti e che probabilmente farà sbocciare qualche fiore.  

Scrive Gramsci: “Il ciclo delle stagioni, legato ai solstizi e agli equinozi, lo sento come carne della mia carne; la rosa è viva e fiorirà certamente, perché il caldo prepara il gelo e sotto la neve palpitano già le prime violette. Insomma il tempo mi appare come una cosa corpulenta, da quando lo spazio non esiste più per me”. 

Zehra Doğan nel carcere ha trovato la forza di immaginare una nuova primavera per la questione dei diritti delle popolazioni curde, trasformando il tempo a sua disposizione in una missione, creando dal nulla uno luogo speciale fatto di pagine e disegni, dove nonostante le terribili costrizioni era possibile pensare le vivere la libertà.

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