Verlato: ridiamo forza al mito. Attraverso la pittura

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La storia dell’arte, l’erudizione classica, il mito, i grandi maestri rinascimentali, Caravaggio, la tradizione della cultura popolare, ma anche l’utilizzo delle nuove tecnologie, e poi la musica, non solo ascoltata ma anche suonata: insomma questo è Nicola Verlato, quello che ho definito un homo faber, appunto per la sua capacità eclettica, direi quasi multiforme.

Verlato nonostante abbia vissuto quattordici anni negli Stati Uniti, è un artista che è sempre rimasto profondamente legato alla nostra cultura e ne esprime perfettamente i concetti e le tematiche, fondendole appunto ad una visone internazionale, il tutto reso possibile ed attuabile anche grazie ad una straordinaria abilità della tecnica pittorica.

Abbiamo parlato della sua storia artistica, della sua personale attualmente in corso presso la Galleria Giovanni Bonelli, della sua partecipazione alla mostra sulla pittura italiana in Triennale, ma anche al ruolo della pittura nel nostro tempo e a quello che viene definito il sistema dell’arte.

1) Inizierei questa nostra conversazione parlando della tua mostra personale che ha inaugurato proprio in questi giorni presso la Galleria Giovanni Bonelli di Milano. La mostra si intitola Recent Highlights: perché hai scelto questo titolo e che lavori sono esposti?

È una mostra di lavori recenti che, per la maggior parte, parte sono stati esposti in vari musei in Italia e all’estero.

Li considero degli highlights della mia produzione perché i più grandi hanno richiesto molto tempo per essere elaborati e poi eseguiti, riprendendoli più volte nel corso degli anni.

Spesso infatti intorno ad alcuni dipinti organizzo progetti che si diramano nel tempo e che si articolano in molte opere collaterali, sovente attraversando diversi media come la scultura, ma anche media digitali architettura e musica in alcuni casi che crescono intorno al nucleo pittorico iniziale.

Studio per P.P.Pasolini e la Ninfa Partenope cm 200×112 ( piu’ cornice)  carboncino e tempera bianca  su carta , 2022

2) Possiamo affermare che tu sei un “pioniere” dell’utilizzo della tecnologia 3D nell’arte, avendo iniziato ad avvalertene già nel 1991. Nel tuo lavoro solitamente il procedimento tecnico – creativo parte dalla scannerizzazione del corpo umano, passa quindi alla rielaborazione digitale delle stesse in modo da creare successivamente delle vere e proprie sculture, per poi procedere alla realizzazione pittorica dell’opera. Perché avverti la necessità di questi vari passaggi e non procedi direttamente con la pittura?

Credo anch’io di essere stato un “pioniere” in questo senso.

Nel 1982 ho visto il film Tron dove si vedevano delle lunghe sequenze realizzate in CGI (computer generated imagery, ndr). A me parve immediatamente chiaro che le immagini partorite dalla nuova tecnologia assomigliassero moltissimo, soprattutto nella versione wireframe (lo “scheletro” della struttura realizzata come fosse “a filo di ferro”) ai disegni di “Chalici” e “Mazzocchi” su cui si esercitavano Paolo Uccello e Piero della Francesca nella messa a punto del sistema di rappresentazione prospettico (i calici, ovvero i bicchieri, e i mazzocchi, poliedri che più hanno ispirato la fantasia degli artisti rinascimentali, venivano disegnati dagli artisti dell’epoca in maniera schematica, con le sole linee dei contorni e dei volumi, ndr).

Dietro alla prospettiva rinascimentale infatti si cela un concetto chiave che è quello che, per ottenere una rappresentazione esatta di un solido lo si debba semplificare in poligoni.

Ho pensato quindi che per recuperare il progetto rinascimentale ai nostri giorni lo si dovesse fare passando attraverso quelle nuove tecnologie.

Poi è stato solo nel 1991 che sono riuscito a metter le mani in pasta, quando i programmi si fecero più semplici da gestire e soprattutto più economici da ottenere. Allo stesso modo quello che tu descrivi è uno dei miei tanti procedimenti per realizzare la parte “modellistica” di preparazione al dipinto e corrisponde all’opera The Merging presente in mostra. Di fronte a The Merging è appeso Mishima’s Seppuko, dove invece le figure dei modelli tridimensionali non sono state scannerizzate, ma le ho realizzate io stesso, come sempre, completamente modellate in digitale. Di fianco a questi due dipinti c’è un enorme disegno interamente realizzato senza l’ausilio di nessuna reference né digitale ne analogica, ma completamente a mente.

In altri casi sono partito da modelli realizzati in creta come nel caso delle teste di Pier Paolo Pasolini, Ezra Pound e Pino Pelosi (l’autore dell’omicidio Pasolini, ndr), anch’esse presenti in mostra. Ho sempre sentito la necessità di verificare nelle tre dimensioni le mie composizioni che dapprima realizzo in due dimensioni tramite innumerevoli schizzi a matita e penna. Ritorno poi alle due dimensioni del dipinto avendo ottenuto molte più informazioni riguardo al chiaroscuro e alla rappresentazione spaziale che, anche se già contenute negli schizzi a mente, assumono un carattere di precisione non ottenibile diversamente. Nel corso del tempo ho scoperto che tutti i miei “idoli” del Rinascimento facevano lo stesso passaggio tridimensionale prima di procedere alla pittura, inclusi Michelangelo, Leonardo, Tintoretto e Piero della Francesca e molti altri.

Assassinio Christophere Marlowe/P.P.Pasolini cm. 200×300, olio su tela 2022

3) Ripercorrendo la tua formazione artistica e culturale, è iniziata quando eri molto piccolo, il tuo primo maestro è stato un frate francescano del monastero di Lonigo. Poi ti sei dedicato alla musica, studiando liuto al conservatorio e poi architettura allo IUAV di Venezia. Visti anche il tuo interesse per l’arte e la cultura rinascimentale, mi sento di affermare che sei una sorta di “homo faber”, non solo perché è stata la tua volontà a determinare il tuo futuro, ma per le tue capacità eclettiche, per il tuo essere versatile. Sei d’accordo?

Ti ringrazio molto per questa definizione, che si riallaccia alla domanda precedente: mi sono sempre domandato, infatti, come i rappresentanti dell’uomo faber del Rinascimento fossero in grado così facilmente di passare da una disciplina all’altra con così tanta disinvoltura ed efficacia. La risposta sta tutta nella metodologia di lavoro. Il passaggio alle tre dimensioni di cui parlavamo è in definitiva la realizzazione di un “modello”, ovvero di una simulazione di ciò che ha partorito l’immaginazione ma che può essere indagato secondo ogni punto di vista possibile. Ecco che quindi ogni figura di una composizione pittorica è potenzialmente una scultura, che l’edificio sullo sfondo realizzato in miniatura per il dipinto potrà anche essere costruito in muratura, che la scena tutta intera potrà essere  realizzata sul palco di un teatro, etc. etc.

L’idea di modello e di modellizzazione è il vero “core” del Rinascimento e soprattutto dell’improvviso potere che a quel tempo i pittori si trovavano ad avere nelle mani. Tutto stava nella efficacia dimostrativa e razionale che la loro immaginazione improvvisamente otteneva e che faceva in modo che Michelangelo venisse chiamato a progettare le fortificazioni per la Firenze Repubblicana, o che Leonardo potesse proporre di deviare l’Arno per sconfiggere i Pisani e che Raffaello improvvisamente diventasse un architetto dopo essersi affermato come il più grande dei pittori.

Di converso, il dipinto si trasforma a sua volta diventando una membrana fra due mondi perfettamente in comunicazione fra di loro, quello reale e quello del progetto, dell’utopia.

Ho anche capito che il mio amore per la musica del Rinascimento, che mi portò a studiare liuto al conservatorio a Verona, derivava anche dallo stesso principio “tridimensionale” e modellistico.

Ritrovamento del corpo di P.P.Pasolini, cm 390×300 olio su tela 2020

4)Abbiamo accennato ai maestri rinascimentali, ma possiamo dire che “il primo amore”, quello che ti ha fatto perdere la testa e che ti ha fatto scegliere di dedicare la tua vita all’arte, sia stato Caravaggio?

È verissimo, ero veramente molto piccolo, 5 anni circa, l’età di mia figlia oggi. Avevo molti libri d’arte in casa (una passione da generazioni in famiglia) e nei miei primi tentativi di “realismo” nel disegno mi disperavo nel non riuscire a simulare il colore della pelle che mi sembrava fosse il più difficile da ottenere (senz’altro non con il rosa dei pastelli che avevo a disposizione).

A un certo punto, sfogliando quei libri, mi imbatto nella Flagellazione di Cristo del Museo di Capodimonte di Caravaggio: l’ho raccontato molte volte, ma ogni volta cerco di esprimere cosa provai davanti a quel dipinto e non riesco a trovare le parole giuste. Sta di fatto che da lì in poi cominciai a dipingere a olio scene religiose con sfondi nerissimi cercando disperatamente di avvicinarmi alla potenza caravaggesca, che mi aveva investito come un treno in corsa.

Successivamente sono passato attraverso altri amori pittorici come Grünewald, Dürer, Pontormo e poi ovviamente Michelangelo e Raffaello per citare solo in principali.

5)Il mito se non sbaglio è un altro aspetto fondamentale della tua ricerca, delle tematiche che affronti; tuttavia non è solo un mito classico, bensì trasposto in chiave contemporanea, penso per esempio alla figura di James Dean o a quella di Pier Paolo Pasolini, alla quale tu hai dedicato molto lavoro. Perché ritieni così importante “il mito” anche nel nostro tempo attuale?

La produzione mitica è credo l’attività essenziale di ogni cultura umana, e questo avviene in ogni cultura anche quando ci si illude di poterne fare a meno.

Oggi siamo succubi di una certa attitudine al mito che fa in modo che esso galleggi esclusivamente nella sfera dell’enterteinment, ovvero che sia relegato in una bolla inoffensiva incapace di organizzare le nostre vite in senso pratico.

Sono vissuto negli Stati Uniti per molto tempo, nel paese cioè che ha prodotto le mitologie più invasive degli ultimi 70-80 anni. Mi ha colpito però la dicotomia fra le potenti narrative che sono state create e l’indifferenza che ad esse le città dimostrano nella loro organizzazione urbanistica.

Mi spiego: le nostre città sono organizzate intorno a narrative che provengono dal territorio stesso: chiese nate intorno ad un miracolo avvenuto, attorno alle quali si sono organizzate piazze e poi palazzi, etc, templi Romani o Etruschi nati sulla base dello stesso principio. Negli stati Uniti, dove appunto non si fa altro che produrre mitologie, la città obbedisce solamente a criteri economico-funzionali, e si vive malissimo.

Mi aveva molto colpito la vicenda del CBGB, un club che per decenni è stata la culla di tutti i fenomeni musicali più importanti di New York, dove sono nati gruppi come i Ramones, i Talking Heads, i Television, Patty Smith, e molti altri.

Oggi non esiste più, 20 anni fa i proprietari del locale hanno chiesto il triplo dell’affitto, il CBGB ha chiuso e di un fenomeno di portata epocale per la musica popolare mondiale non esiste più alcuna traccia sul territorio, nonostante proprio in quelle poche centinaia di metri quadri fosse avvenuto tutto. Solo un’insegna stradale è stata posta ad un incrocio: “Joey Ramone place”, una cosa miserevole.

I progetti su cui ho lavorato volevano invece invertire la rotta a riguardo. Lo scopo era di portare al termine il processo mitologico in atto, trasformando definitivamente le narrative lineari di cui è composto in forme plastiche che occupano i luoghi fisici che le richiedono. Si tratta di trasformare così la forma della città sottraendo spazio al business e occupandolo con scultura, architettura e pittura e sul potere del mito di opporsi al nichilismo del denaro.

Il progetto su Pasolini è lo stesso concetto applicato a una zona disastrata di Ostia, il luogo dove il poeta è stato ucciso.

Una rigenerazione urbana impostata secondo criteri “mitici” produce spazi molto ampi di rispetto, perché “vaccina” il territorio da ulteriori sfruttamenti proprio perché il vaccino è basato sull’affetto delle persone verso l’oggetto della rappresentazione e per i valori simbolici che esso incarna. L’interesse che ho per il mito ha assunto quindi anche un aspetto di lotta reale contro il nichilismo finanziario applicato al territorio. L’opera d’arte plastica, proprio perché si sviluppa nello spazio che noi abitiamo con i nostri corpi, nella cultura anglosassone è fortemente osteggiata nel portare a compimento il processo mitologico, esattamente perché quello è il terreno più ambito di ogni potere calcolante, che appunto mantiene ogni mitologia sospesa nella bolla dell’enterteinment.

Studio per il fregio del Mausoleo a P.Paolo Pasolini a Hostia, cm 270×440, carbonciono su carta, 2020-2022

6)Hai vissuto per vari anni negli Stati Uniti, sia a New York, che a Los Angeles, attualmente invece ti sei stabilito a Roma. Perché hai deciso di tornare in Italia e cosa ti sei portato da queste esperienze americane?

Ho vissuto 14 anni negli Stati Uniti, e dopo tutto questo tempo ero molto stanco di quel paese e di quel sistema di vita.

Ciò che mi sono portato dietro è un punto di vista esterno alla nostra cultura che me la fa apprezzare infinitamente.

Ho scelto Roma perché in questo senso è la città più emblematica di tutte.

L’aspetto positivo è poter vedere le nostre dinamiche interne in prospettiva anche riguardo all’arte  prodotta oggi.   

Molto spesso, per fare un esempio, mi imbatto in analisi del perché e il percome l’arte italiana sia marginale rispetto alle dinamiche internazionali, dando la colpa tutta ai galleristi piuttosto che ai critici che agli artisti ai direttori di museo, etc etc, quando  invece le cose stanno in una logica affatto diversa, che appunto si comprende proprio quando, essendo vissuti nel paese che fino ad oggi ha esercitato il potere massimo su tutto l’Occidente (e oltre) riducendoci ad una  colonia, si vivono fino in fondo e quotidianamente tutte le irriducibili differenze che ci separano e che dovremo lottare per mantenere il più possibile viventi.

“Iggy Pop inventa lo stage diving”, cm 72×172 olio su tela 2023

7)Una tua opera è anche attualmente presente alla mostra “Pittura italiana oggi” presso la Triennale di Milano. L’incipit della mostra afferma: “Una grande collettiva dedicata alla pittura italiana contemporanea attraverso il lavoro di 120 tra i più interessanti artisti italiani di diverse generazioni, nati tra il 1960 e il 2000”. Sei d’accordo sull’affermazione “tra i più interessanti artisti italiani”?

Facendone parte la cosa mi lusinga, ovviamente ogni mostra, anche se ampia e articolata come questa, rappresenta un punto di vista determinato che non può essere omnicomprensivo. Io sono stato escluso da moltissime mostre nelle quali avrei pensato di poter esserci, oggi noto in questa mostra la mancanza di alcuni artisti che avrei pensato sarebbero stati essenziali in quel contesto. Allo stesso modo spero che questa sia la mostra che finalmente rompa l’incantesimo ostracizzante che ha impedito alla pittura italiana di svilupparsi anche con il contributo delle istituzioni, come avviene in tutti gli altri paesi del mondo, e che questa mostra venga ripresa ed ampliata oppure che aspetti di essa diventino il tema di nuove mostre per esempio al MAXXI o in altri musei di arte contemporanea.

Il curatore ha avuto molto coraggio a rompere un tabù insopportabile in Italia che è durato troppo a lungo e che va ricondotto alla risposta precedente.

8)A tal proposito cosa pensi dell’espressività pittorica, del livello artistico attualmente in Italia, se vuoi anche in relazione con quello estero, internazionale? Prima accennavamo ai tuoi trascorsi di vita negli Stati Uniti: dal punto di vista del “sistema arte” e dell’ambiente artistico americano, quali sono le differenze maggiori che hai riscontrato rispetto a quello italiano?

Proprio la mostra a Milano mi ha dato la possibilità di dare un’occhiata su ciò che sta succedendo in patria, ho scoperto pittori che non conoscevo, anche molto giovani.

Alcuni mi sembrano molto buoni e sicuramente non mi sembrano inferiori a ciò che sta succedendo negli Stati Uniti. Sarebbe interessante che affiorasse uno specifico italiano, che sembra ancora lontano dall’emergere, anche se ho visto qualcosa nella mostra stessa che va in quella direzione e che invece conosco anche direttamente nell’opera di alcuni autori che non sono rappresentati in mostra.

La differenza fra il sistema specifico dell’arte italiano e quello americano sta nel fatto che il secondo domina il primo e che siccome ci ha già fatti fuori molti anni fa, sta rivolgendo le sue attenzioni ad altri paesi nella sua azione distruttiva di identità e culture. Questa mancanza di interesse nei nostri confronti può essere molto salutare se la si vuol cogliere (senza però rivolgersi, come fanno molti, ad altri luoghi di influenza tipo la Germania). Al contempo Instagram e i social media italiani per molti artisti sono gli strumenti con cui hanno completamente evitato il sistema per rivolgersi direttamente ad un pubblico che li apprezza enormemente anche negli Stati Uniti stessi.

“The Merging”, cm 250×600 su 3 pannelli , olio su tela, 2019

9)Ti rivedi nel “sistema” artistico Italia? Mi riferisco alle scelte che vengono fatte dalle direzioni artistiche museali, della Biennale, delle fiere d’arte e di conseguenza alle mostre che vengono proposte all’interno di tali sedi? Non pensi che attualmente, più che in passato, la politica, i cosiddetti poteri forti delle gallerie e quindi economico-commerciale, sia preponderante in tali scelte?

Sono perfettamente d’accordo con quanto dici, ma l’aspetto commerciale di un sistema basato sul mercato è inevitabile, il punto sta tutto nel capire a quali sistemi ideologici il nostro fa riferimento e come nel sistema dominante esso sia visto e con quale funzione.

Io sono sicuro che stiano emergendo esigenze nuove e volontà di dare risposte che non trovano posto nel sistema consolidato il quale, d’altronde, resiste il più possibile facendo capo a legami sovranazionali.

Allo stesso modo l’arte americana si sta chiudendo su se stessa, producendo molti bravi pittori figurativi che, in quanto tali, contraddicono alla base la forza devastante dell’iconoclastia americana che fu il motore portante del loro dominio dal secondo dopoguerra in poi (Pop Art inclusa).

Si deve capire quanto il fenomeno durerà, se il mondo tornerà ad essere multipolare e se nel frattempo in Italia riusciremo a liberarci dall’oppressione colonialista che ci attanaglia.

Grazie Nicola Verlato: che l’arte sia sempre con te!

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