Robert Morris: i segreti del labirinto nella Fattoria di Celle

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Il contributo dell’artista Robert Morris, nel 1982, alla collezione d’arte contemporanea Gori nei parchi di Celle.

Dalla seconda metà del Novecento, all’interno della Fattoria di Celle, complesso storico toscano, è custodita la collezione Gori

Costituita da circa ottanta opere d’arte contemporanea e, nello specifico, di Land Art, realizzate da artisti provenienti da tutto il mondo, la collezione è esposta nel rispetto dei parchi di Celle e della loro conformazione ambientale. 

Ogni artista è stato chiamato a scegliere il proprio luogo all’interno del parco e su di esso adattare la propria opera.

L’artista Robert Morris sceglie, nel 1982, un piccolo prato in pendenza, per realizzare il suo Labirinto

L’opera è costituita da muri di marmo a strisce bianche e verdi, che strizzano l’occhio all’architettura delle chiese romaniche toscane e che delineano un percorso al loro interno. Lo spettatore vi accede attraverso un’entrata obliqua e cammina tra angoli acuti che lo indirizzano verso un unico percorso possibile: in questo senso, l’opera può essere considerata come un anti-labirinto

La forma geometrica dell’opera, che consiste in un triangolo equilatero, è comprensibile soltanto dall’alto: caratteristica che, invece, la accomuna a tutti i labirinti intesi tradizionalmente sin da quello del Minotauro. 

È, però, il visitatore a produrre il senso dell’opera, attraverso i propri passi e la propria percezione.

Robert Morris ci parla del viaggio fisico e mentale, personale e collettivo, fatto di salite e discese e anche di varianti tra percorsi, che l’artista, però, elimina, portando all’evidenza come il viaggio vitale sia unico indipendentemente dalle scelte che ognuno compie.

Lo spettatore, infatti, termina il percorso inevitabilmente al centro della struttura, come in un vicolo cieco. Questo epilogo accomuna l’opera inclusa nella collezione Gori a Passageway (1961): environment ideato e costruito all’interno del loft newyorkese di Yoko Ono. Il corridoio di muri grigi costringe il visitatore ad un percorso obbligato e si stringe sempre di più fino a convergere in un punto morto: nessuna opera d’arte, nessuna performance, si può solo tornare indietro. 

R. Morris, Passageway, 1961

Il tema del labirinto è una costante nella pratica artistica multiforme dell’artista statunitense, inteso come dispositivo disorientante e ingannevole pensato per il coinvolgimento del pubblico, dei suoi movimenti e della sua percezione.

Al suo interno, lo spettatore è ignaro della forma del labirinto nei parchi di Celle: è impossibile averne uno sguardo d’insieme se non dall’alto. Ciò elimina l’esistenza di uno sguardo privilegiato: teoria che Morris riprende da Fenomenologia della Percezione del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, secondo cui un oggetto non è mai percepibile da una sola prospettiva, ma assume diverse forme a seconda del punto di vista. Esattamente questo succede con Untitled (Three L-Beams) del 1965, in cui tre sculture, identiche nel momento della fabbricazione, sembrano cambiare forma attraverso lo sguardo e i movimenti imprevedibili dello spettatore. 

In questo senso, in tutta l’opera di Morris, l’apparente staticità minimalista nasconde un forte senso di movimento: quello del pubblico e della sua percezione; un’attenzione particolare verso i mutamenti di spazio, forma e prospettiva.

Cover Photo Credits: Robert Morris, Labirinto, 1982, Fattoria di Celle

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