Persistenza della morte e immaginario cimiteriale in Mare Fuori

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La televisione è, sin dai suoi albori, mezzo di comunicazione di massa che impatta significativamente la società contemporanea, talvolta ponendo l’accento su questioni complesse – come la morte –  in maniera  inconsapevolmente normalizzante. Inoltre, possiede la capacità di trasportarci in mondi che sfuggono alla nostra consapevolezza, permettendoci di esplorare realtà altrimenti sconosciute, volutamente ignorate o, ancora, allontanate – come i cimiteri, spesso privati della loro godibilità e reputati zone inquietanti e liminali.

Mare Fuori, la serie televisiva ideata da Cristiana Farina e liberamente ispirata alla realtà vissuta nell’IPM di Nisida, cattura l’attenzione di un pubblico vario da ben sette anni. Il prison drama più amato dallə adolescentə e non solo, stabilisce in maniera costante e tutt’altro che sottile un canale di comunicazione emotivo che invita a riflettere sull’effimero e sull’eterno tramite l’ambientazione cimiteriale, integrata totalmente nella narrazione visiva. Specialmente nel corso della quarta stagione il cimitero diventa scenario privilegiato in cui si svolge il plot, spazio dove l’afflizione causata dalla separazione fisica tra individui sembra assopirsi, l’altrove in cui ciascun clan familiare possiede la sua ‘nera’ e ultima dimora – per dirla alla Michel Foucault. Sono innumerevoli i frames che ci portano alla (ri)scoperta di una location iconica quanto, purtroppo, misconosciuta e mal conservata, ovvero il cimitero sorto sul colle di Poggioreale a Napoli, considerato dalle guide turistiche ottocentesche della città di Napoli «luogo di delizia» da visitare obbligatoriamente. È innegabile e spero che moltə di voi l’abbiano notato: ciò che potrebbe rendere questa serie unica rispetto ai drammi adolescenziali italiani in circolazione è l’estetica asthetic con cui viene trattato il binomio morte-cimitero: pensate a Rosa Ricci mentre attraversa il camposanto in abito nuziale e corona floreale alla Lana del Rey di Born to Die.

4×14, Per sempre

In Mare Fuori la palette cromatica, soprattutto quando entra in scena il cimitero, diventa particolarmente evocativa ed emozionale. L’inserimento degli spazi funerari non è una novità nel mondo della produzione televisiva e cinematografica. Soprattutto negli horror, nei thriller e nei western i luoghi di sepoltura esistono in una dimensione quasi più imponente e suggestiva rispetto alla controparte loro controparte – cioè la vita reale.

I cimiteri che compaiono sul grande e piccolo schermo, tra l’altro, si caratterizzano per la loro monumentalità: busti, colonne spezzate, angeli dolenti, obelischi, imponenti cappelle gentilizie, mura di cinta e viali cipressati diventano topoi e stereotipi che trasforma la narrazione della morte da inquietante ad affascinante, appetibile e accattivante. E così accade nella fiction RAI, dove «ce sta ‘o mar’ for’» e pure il cimitero! La sublime grandiosità del paesaggio cimiteriale di Poggioreale si fonde con le vicissitudini di chi vive l’IPM; ma partiamo dall’inizio. I personaggi di Mare Fuori affrontano le sfide della crescita, dell’amicizia, dell’amore e della scoperta di sé confrondandosi costantemente con la morte. A ben rifletterci, si può dire che il lutto è il fulcro della trama. La perdita più o meno cruenta di affetti diventa fil rouge persistente in tutte e quattro le stagioni, talvolta fortificando il legame fra i protagonisti e le protagoniste. Ricordate quando Edoardo, Milòs, Totò e Gaetano si imbucarono di notte a Poggioreale per onorare la memoria del defunto Ciro dinanzi alla cappella Ricci?

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2×2, Nella gioia e nel dolore

I legami familiari vengono sublimati attraverso la rappresentazione della morte, talvolta con la presenza stessa di monumenti funebri ‘tematici’: mentre Sofia e Rosa passeggiano per le strade del cimitero, spicca un gruppo scultoreo che, inserendosi perfettamente nella tradizione del compianto degli affetti familiari, emergendo come elemento centrale e di maggior rilievo all’interno della scena.

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4×8, Morire insieme
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4×8, Morire insieme
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4×9, Crescere troppo in fretta

La dicotomia fra morte e rapporti basati «‘ngopp ‘o sang’» si può riscontrare anche nella sequenza in cui in cui Ciro e Rosa  riflettono sulla natura transitoria della vita terrena sognando l’immortalità – la conversazione, culminata in un abbraccio fraterno, avviene proprio nei locali interni della tomba di famiglia. Ugualmente alla città che abitano, contraddistinta da lunga storia di lotte ed eventi tragici –che siano epidemie o terremoti –, i personaggi di Mare Fuori sono consapevoli della fragilità umana e della necessità di affrontare la morte come parte integrante della propria esperienza Il contesto socio-culturale partenopeo è oltremodo noto per la sua  grande familiarità con la morte che, da assenza, diventa vivida presenza.

Ciò si riflette in molteplici aspetti della cultura, delle tradizioni e delle credenze popolari: una fra tante è il culto delle anime del purgatorio, dove la pietas popolare si rivolge a capuzzelle anonime da adottare, pregare e rifriscare affinché ogni fedele possa essere protettə nel momento del bisogno. La devozione verso lə defuntə – spesso manifestata attraverso la presenza di ceri, lumini, oggetti quotidiani e fotografie sugli altari di cappelle private assimilabili a case –  è un aspetto centrale della contemporaneità tutta, non solo napoletana: una sorta di linguaggio universale che in Mare Fuori trova ampio spazio e visibilità, espressione della foscoliana «religione per gli estinti derivata dalle virtù domestiche».

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4×5, Questione di scelte
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4×9, Crescere troppo in fretta

Non bisogna, infine, dimenticare che il mondo mafioso – da cui Ciro, Rosa o Edoardo provengono e dal quale difficilmente riescono ad affrancarsi –, è notoriamente caratterizzato da una cultura e struttura basata sull’omicidio, atto finalizzato a consolidare domini territoriali e affermare l’autorità del proprio clan. Pertanto, la familiarità della criminalità organizzata con la morte – spesso utilizzata come strumento di controllo e potere – è molto profonda. In sintesi, morire diventa parte integrante della vita camorristica e la consapevolezza del rischio è ben salda. Una consapevolezza che crea, conseguentemente, mentalità di fatalismo in cui la morte è possibilità inevitabile, talvolta riconosciuta come baldanzoso distintivo d’onore. Mentre si trova nell’ipogeo della tomba dei Ricci, Edoardo prova a fuggire, ma qualcunə – Rosa, Carmela, Raffaele, Luigi? – lo colpisce alla testa con una pala: intanto, la botola della cripta si richiude. In Mare Fuori il cimitero è lo specchio di un destino sospeso, meta finale di una caccia al tesoro che non lascia scampo: i personaggi, con la smania dei tombaroli, si dedicano alla ricerca di oggetti di rilevanza, preziosità o pertinenti alla quotidianità della camorra, elemento che ricorda l’importanza delle pratiche di occultamento e segretezza nel contesto delle costruzioni sociali e dei significati attribuiti agli spazi funerari.

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Veduta dell’ingresso monumentale in stile dorico del cimitero di Poggioreale a Napoli, progettato nel 1839 dall’architetto e urbanista Stefano Gasse (4×14, Per sempre)

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