Marina Abramovic e la performance Rhythm 0

Marina Abramovic ha dimostrato più volte di avere le carte in regola per essere considerata la regina della performance art, testimone l’impresa alla Galleria Studio Morra con una delle performance più celebri.

Marina Abramovic

Il nome di Marina Abramovic riecheggia costantemente nel mondo dell’arte contemporanea. Lei è tra le artiste più famose del panorama degli artisti performativi, capace di indagare nelle profondità dell’animo umano sfidando i suoi limiti e le sue paure.

Nata a Belgrado nel 1946, la Abramovic studia presso l’Accademia di Belle Arti della capitale serba, periodo nel quale inizia a dare vita alle sue prime singolari performance, caratterizzate da ambienti sonori e video installazioni.

Uno scatto della performance “Rhythm 0”

Dopo qualche anno di ricerca e profonda analisi, l’artista presenta nel 1973 Rhythm 0, una delle imprese più celebri della sua carriera.

La performance si svolge in una stanza della Galleria Studio Morra di Napoli, dove 72 oggetti sono disposti su un tavolo insieme alle istruzioni per i partecipanti: 

  • Ci sono 72 oggetti sul tavolo che possono essere usati su di me nel modo in cui desiderate
  • Io sono l’oggetto
  • Mi assumo completamente la responsabilità di quello che faccio
  • Durata: 6 ore (dalle 20:00 alle 2:00)

All’inizio non succede quasi nulla. I visitatori si avvicinano timidamente all’artista per osservarla e studiare la situazione. In un secondo tempo tra le mani dei partecipanti iniziano ad alternarsi oggetti innocui, come una piuma, a oggetti pericolosi, come una pistola carica. Nonostante la tensione palpabile, l’artista rimane immobile per tutta la durata dell’evento, sottoponendo il proprio corpo a svariati rischi, per non venir meno alla sua ricerca artistica di indagine sulla relazione tra abbandono e controllo.

A performance conclusa, i presenti rimasti escono di corsa dalla galleria, lasciando l’artista in balia del dolore e della paura. Il giorno successivo, molti di loro telefonarono alla Galleria napoletana per scusarsi, affermando che non sapevano spiegare quello che era successo. 

Qualche anno dopo quella performance, nel 1976 la Abramovic decide di trasferirsi ad Amsterdam, città che cambierà completamente le sorti della sua carriera. Proprio qui, conosce l’artista tedesco Ulay. E’ amore a prima vista. Tra di loro ha inizia una profonda relazione e un sodalizio artistico che durerà per diversi anni.

Insieme viaggiano per il mondo in un vecchio furgone della Citroën, comprato per pochi spiccioli e in seguito trasformato in casa, studio e fulcro della loro creatività. Vogliono portare la loro visione dell’arte ovunque, ma soprattutto nel cuore del pubblico.

Uno scatto della performance “Rest Energy”

Indimenticabile è la performance del 1980 intitolata Rest Energy, dichiarazione d’amore artistica che ha visto Marina Abramovich reggere un grosso arco e Ulay tenderne la corda, in un continuo bilanciamento dei ruoli.

Nell’autobiografia del 2016 – Attraversare i Muri – la Abramovich confessa quella performance “era la rappresentazione più estrema della fiducia. Eravamo entrambi in uno stato di tensione costante, ciascuno tirando dalla sua parte, con il rischio che, se Ulay avesse mollato la presa, avrei potuto trovarmi con il cuore trafitto”.

Scatti della performance “The Lovers: the Great Wall Walk”

Il loro rapporto simbiotico prosegue per dodici anni, fino alla loro ultima performance The Lovers: the Great Wall Walk del 1988. I due artisti partono in solitaria per percorrere dalle due estremità opposte la Grande Muraglia Cinese – ben 2500 km di camminata in novanta giorni – per poi incontrarsi a metà con l’idea di sposarsi.

Durante questo viaggio però, riflessioni ed eventi mutano la natura dell’impresa e del loro rapporto, facendo naufragare una delle storie d’amore più potenti della storia dell’arte: Marina e Ulay si incontrano e decidono di dirsi addio, apparentemente per sempre.

Gli anni passano e, nel frattempo, le loro vite e carriere proseguono su binari paralleli: la Abramovic vince prestigiosi premi d’arte, come il Leone d’oro alla Carriera della Biennale di Venezia, Ulay si dedica invece alla fotografia.

A un certo punto, tra di loro sembrano sorgere delle incomprensioni, delle ostilità: Ulay denuncia la Abramovic per aver venduto delle opere appartenenti a entrambi senza aver chiesto il permesso, il giudice gli dà ragione e l’artista è così costretta a versare 250 mila euro per violazione di contratto.

Uno scatto della performance “The Artist is Present”

Questo non basta però ad allontanarli definitivamente. Infatti, nel 2010, Marina Abramovic è protagonista di quella che è diventata una delle performance più celebri al MoMA – Museum of Modern Art di New York con The Artist is Present, impresa artistica tra le più lunghe della storia. L’artista, in una grande sala del museo dove viene collocato un tavolo e due sedie posizionate alle due estremità, rimane seduta guardando negli occhi i visitatori per 736 ore.

Inaspettatamente davanti a lei si siede Ulay: li loro sguardi si incontrano dopo tanto tempo e i loro occhi si riempiono di lacrime. E’ bastato un solo secondo per sciogliere vecchie tensioni e ricucire delle ferite. 

Da quell’istante, ogni cosa avrebbe trovato il suo posto.

Cover Photo Credits: Marina Abramovic

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