L’universo favoloso di Gianni Cella

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Fra i protagonisti del contemporaneo ne esiste uno in particolare che risponde al nome di Gianni Cella, artista che attraverso le sue creazioni propone lavori che potrebbero essere tranquillamente definiti come “esplosivi” per via degli inconfondibili cromatismi brillanti in stile neopop e per l’utilizzo di materiali insoliti (vetroresina su tutti) che sono in grado di restituire quell’edonismo compiaciuto riconducibile all’immaginario tipico dei mass-media con particolare riferimento alla pubblicità e al fumetto.

Quello di Gianni Cella è un “allegro” mondo creativo popolato per lo più da rilievi plastici, maschere e figure totemiche dall’aria vagamente infantile che non solo rendono conto della sua attività prolifica e caleidoscopica, ma anche del suo desiderio di creare un’arte essenzialmente orientata sul non senso e su una costante oscillazione fra “il carnevale e la tragi-commedia” (A. Mendini).

fig. 1, Il vero volto di Gesù (2001)

Invenzione, gioco e follia sono le componenti che ricorrono in tutte le sue opere dominate da caricature di personaggi antropomorfi che in più di un caso sono tratti dal mondo della religione: il quadro che l’artista intitola Il vero volto di Gesù (2015, fig. 1) mostra un giovane sorridente con gli occhi strabici, le sopracciglia di Frida Kahlo e le spalle a campana, dove il senso del sacro passa in secondo piano per dare risalto all’opera in sé e alla sua presentazione come un artefatto dominato da uno spirito leggero che risponde a un preciso processo estetico finalizzato primariamente all’affermarsi di un divertissement basato sul disincanto e su fantasie adolescenziali.

Fig. 2, Caos Primigenio

L’intera enciclopedia di Gianni Cella è spesso dominata da visi, stelle marine, occhi e ciclopi che si fanno interpreti di una specie di “religione a giocattolo” dove ogni singolo elemento, disposto quasi come in una vetrina “filosofica”, rimanda a plurime simbologie provocando immediato deplacement in chi osserva. A questa logica, per esempio, risponde l’installazione Caos Primigenio (2012, fig. 2) che, come in un ballo in maschera a bassorilievo, presenta una serie di figure bonariamente minacciose che simboleggiano l’Eden e raccontano con fare scanzonato una “storia da favola” in cui si afferma metaforicamente l’origine dell’arte e della vita. 

I personaggi realizzati da Cella sono costantemente pervasi da questo humour caldo e surreale che con ironia e immediatezza restituiscono una personale visione dell’artista il quale dichiara di vivere “una vita lemme lemme”: «una vita lemme lemme è un percorso di pathos personale, è la capacità di ogni individuo di instaurare con il mondo e con gli altri un rapporto di tipo poetico in grado di cogliere la piena presenza dell’altro da sé» (Gianni Cella, settembre 2013).

Fig. 3, “Harvey Archetipi del disagio”

Si tratta, dunque, di un percorso di vita che descrive perfettamente la sfera intima dell’artista e in generale la condizione postmoderna dell’uomo condannato a vivere in un mondo dominato da falsità patinata e degrado spirituale (Harvey – Archetipi del disagio, fig. 3), specchio di una società ormai sentita come decadente che se da una parte giustifica il senso velatamente grottesco delle sue opere, dall’altra permette di raccontare le storie visive come se fossero esperienze “giocose”, a dimostrazione di un’arte perfettamente calata nel tempo presente dove non esistono regole, ma esiste invece la possibilità di crearne di nuove giocando su un immaginario caratterizzato che non solo rende conto di un mondo in perenne conflitto tra l’essere e l’apparire, ma che rappresenta un invito da parte dell’artista a sorridere e guardare le cose con occhi nuovi per cogliere l’aspetto più dionisiaco della vita nel tentativo di trasformare la mente di chi guarda in un elastico sempre pronto a espandersi di fronte a qualsiasi categoria precostituita.

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