“I’m not a robot” è la mostra che insegna a dominare l’AI

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Il progetto era partito oltre due anni fa. Adesso era arrivato il momento giusto per parlarne!” dice Gigi Rigliaco, gallerista. Il progetto, anni fa, era davvero molto innovativo, mirando a connettere l’arte all’intelligenza artificiale generativa. “Oggi l’AI è presente in qualsiasi articolo, che si parli d’arte e non solo. Volevamo esserci anche noi”.

Il titolo scelto, “I’m not a robot”, riprende la domanda, che spesso viene rivolta agli utenti per accertare che si ha a che fare con un essere umano, a cui segue di solito l’individuazione di idranti, motocicli e incroci vari. L’invito è quello a mettere una spunta anche davanti all’arte, dichiarando che sì, siamo esseri umani, e per questo reattivi, che l’opera sia stata realizzata in maniera tradizionale o anche con l’uso di un supporto tecnologico.

La mostra è visitabile fino al 24 febbraio 2024 presso la Gigi Rigliaco Gallery, in via Adige 32 bis, a Galatina, provincia di Lecce.

Gli artisti presenti sono Fabrizio Ajello, Francesco D’Isa, Piero Fragola e Matteo Giampaglia, e a ognuno di essi è dedicato un box che contiene installazioni in cui ciascun “creator” ha giocato e sfruttato l’AI generativa. A curare l’esposizione è stato Antonio Gesua.

Da quando è stata inaugurata, il riscontro da parte del pubblico è stato positivo, le prenotazioni e le domande di visitatori e curiosi non si sono fatte attendere. La novità sta nel fatto che si tratti di una esposizione creata con artisti che operano esclusivamente utilizzando l’AI. Al centro c’è l’arte, vista come un processo di rappresentazione artificiale della realtà. Dentro un quadro, non c’è il reale, ma una personale percezione di esso, un’immagine derivata, che non potrà far altro se non tentare di imitare il punto di partenza. L’arte, in quanto finzione, risulta imperfetta, eppure il suo valore originale e indipendente viene riconosciuto.

L’idea che l’uomo si fa del mondo è artificiale, così come lo è l’intelligenza (AI) – che con la parola arte condivide la radice – che nella mostra trova, grazie all’operato degli artisti, sue forme di sperimentazione ed espressione. La mostra raccoglie tre installazioni: Francesco D’Isa con “Errori”; Piero Fragola e Matteo Giampaglia con “The New Fables: From Princesses to Zombies” e Fabrizio Ajello con “Non ci sono santi”. Tutte le opere sono state realizzate basandosi sull’utilizzo artistico di software TTI (text-to-image).

Pur presentando tematiche e stili differenti, l’esposizione riesce a unire le tre installazioni ritornando al valore umano, cioè alla relazione degli artisti con la macchina e all’approccio che hanno utilizzato nella fase di creazione dei contenuti. La macchina non è vista come strumento “magico” o “divino” capace di dominare su tutto, ma come mezzo utile e funzionale al progetto artistico. Ogni artista utilizza una sua tecnica, dialoga con la macchina e ne sfrutta potenzialità e limiti. Francesco D’Isa sembra voler “sabotare” l’AI, utilizzando input che mirano a trarre in inganno una macchina programmata per non sbagliare, nella forma e nel contenuto.

La linea di Piero Fragola e Matteo Giampaglia è differente. Nella creazione di un regno di “principesse che diventano zombie”, partendo dall’immagine creata con la tecnologia, gli autori agiscono in due modi: aggiungono sulla tela pennellate di colore, rendendo così le immagini stampate forzatamente uniche, e materializzano la fantasia dell’intelligenza artificiale in oggetti tangibili (carta da parati, un libro, sculture).

La terza installazione, ad opera di Fabrizio Ajello, unisce alle immagini digitali, che ricordano l’iconografia sacra, materiali come legno e tessuto, creando opere ibride che diventano luoghi di transizione tra un passato consolidato e un presente in divenire. 

Nonostante si sia ancora molto restii nei confronti dell’AI generativa e non manchino i timori legati al suo utilizzo, Gigi Rigliaco, dando un luogo all’esposizione, ha investito nell’idea che il progresso non si possa fermare e l’arte debba accompagnarne le forme. “Soprattutto nell’arte contemporanea, c’è la convinzione del ‘Potevo farlo anch’io!’ Tutti immaginano che creare arte sia semplice, soprattutto quando si passa per una intelligenza estranea. È molto più complicato di quello che possa sembrare a prima vista”.

Per fare arte con l’AI generativa bisogna essere artisti. È un lavoro molto complesso. Per ottenere l’immagine che vuole l’autore, bisogna saper dettare i giusti testi. Occorre conoscere a fondo le tecniche e anche gli strumenti di lavoro. Dare un’identità artistica, una coerenza con le immagini, un percorso costante e in linea con il lavoro degli artisti è complicato” spiega Rigliaco. “L’intelligenza artificiale è un mezzo che bisogna saper utilizzare con la creatività e la tecnica giuste”.

Tutti siamo capaci di interagire con l’AI, chiedendo di scrivere un racconto, di formulare idee, di organizzare progetti e perfino di creare immagini originali. Non tutti gli stimoli, però, portano agli stessi risultati. In “I’m not a robot” l’AI generativa dimostra di essere uno strumento che esiste al di fuori dell’uomo ma che con lui può collaborare, cioè un mezzo per creare un’arte nuova, seppure i risultati non siano scevri di polemica, dubbi o snobismo.

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