Alla Fondazione Giuliani una mostra di Alejandro Campins

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Esposte una serie di dipinti a olio su tela, disegni e tempere all’uovo su legno.

Dal 26 novembre 2021 al 19 febbraio 2022 alla Fondazione Giuliani di Roma sarà visitabile la mostra Perpetuate – dislocate – perpetuate di Alejandro Campins.

L’artista, che nel 2019 ha fatto parte del Padiglione Cubano alla 58^ Biennale di Venezia e alla XIII Biennale dell’Avana, presenta un gruppo di dipinti a olio su tela, disegni e tempere all’uovo su legno, tutte opere rappresentative di due serie recenti: Badlands e Tibet.

Alejandro Campins, Oceano, 2021, olio su tela. Foto di Giorgio Benni / Alejandro Campins, Oceano, 2021, oil on canvas. Photo by Giorgio Benni

Le opere veicolano un approccio personale a uno dei temi più antichi dell’arte: il trascendente. Secondo l’artista, la terra, che viene percepita in entrambe le serie come un’astrazione della saggezza di periodi storici e luoghi di grande significato culturale, ha una connotazione simbolica di risonanza pari a quella del bronzo per gli scultori rinascimentali: un gesto di resistenza al tempo stesso, un’allegoria della giustizia naturale.

La sua azione su questi paesaggi non è quella di un osservatore tradizionale, ma piuttosto di un archeologo, un antiquario o un testimone. Il suo occhio è immerso nell’esperienza immediata dell’abitare il qui e ora, e da questo sottrae le componenti con cui costruire un canone di bellezza capace di trascendere i limiti prestabiliti del sublime, del patetico, del temibile, del sacro e del barbaro.

Alejandro Campins, Antes de la lluvia, 2019, olio su tela. Foto di Giorgio Benni / Alejandro Campins, Antes de la lluvia, 2019, oil on canvas. Photo by Giorgio Benni

Badlands ci immerge nel misticismo del Deserto Dipinto dell’Arizona, negli Stati Uniti. In questa regione, la sedimentazione ha conquistato ogni forma vitale, riducendola a massa pietrificata. Le possenti montagne che abitano il deserto portano nel loro corpo i segni più incisivi dell’erosione lenta e insidiosa. Frutti nutriti dal succo nascosto e denso di 225 milioni di anni. L’artista li plasma come fossero capsule, condensazioni, corpi colossali; in essi allegorizza il travolgente passaggio delle ere geologiche. Nei suoi quadri le forme sono costituite da residui lineari, ognuno segno e asse di un orizzonte passato. In questo modo, plasmano il tempo che cessa di essere un fenomeno transitorio, diventando un fenomeno concreto, un monumento.

Tibet ci conduce invece in una delle geografie più interessanti del mondo contemporaneo: l’altopiano settentrionale dell’Himalaya, il Tibet, conosciuto come il Tetto del Mondo. L’idea più ricorrente in questa serie è l’odissea della trasformazione culturale. Per questo motivo, il punto di vista non è il paesaggio naturale in sé, ma il conflitto dietro il velo della sua bellezza apparente: l’impatto della rivoluzione culturale cinese nel buddismo tibetano. In questo habitat, dove le dualità e gli incidenti apparenti sono inesistenti, la rovina architettonica acquista grande rilevanza come sintesi di ogni possibile conflitto o metamorfosi.

Perpetuate – dislocate – perpetuate, installation view in Fondazione Giuliani. Foto di Giorgio Benni / Perpetuate – dislocate – perpetuate, installation view at Fondazione Giuliani. Photo by Giorgio Benni

Cover Photo Credits: Perpetuate – dislocate – perpetuate, installation view in Fondazione Giuliani. Foto di Giorgio Benni / Perpetuate – dislocate – perpetuate, installation view at Fondazione Giuliani. Photo by Giorgio Benni

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