Gravità quantistica e cosmologia multi-messaggera nell’arte di Luca Pozzi

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Studiando la gravità quantistica, il teletrasporto, il viaggio nel tempo, la cosmologia e la fisica delle particelle, Luca Pozzi ha convertito la ricerca teorica in una serie di installazioni artistiche

Che ne pensate del connubio tra arte e scienza? In questo articolo ce ne parla Luca Pozzi (Milano, 1983), visual artist e mediatore interdisciplinare. Ispirato al mondo dell’arte, della fisica, della cosmologia e dell’informatica, dopo essersi laureato in pittura e specializzato in computer graphics and systems, attualmente Luca collabora con comunità scientifiche visionarie, tra cui Loop Quantum Gravity (PI), Compact Muon Solenoid (CERN) e il Fermi Large Area Telescope (INFN, NASA).

Studiando la gravità quantistica, il teletrasporto, il viaggio nel tempo, la cosmologia e la fisica delle particelle, Luca Pozzi ha convertito la ricerca teorica in una serie di installazioni  caratterizzate da sculture magnetizzate, oggetti levitanti, disegni luminosi e un uso performativo della fotografia basato su una strana sensazione di “frozen time” e multidimensionalità.

Le sue opere sono state esposte in importanti musei e gallerie in Italia e all’estero, oltre a far parte di prestigiose collezioni pubbliche e private, tra cui il Mart di Rovereto, il MAMbo di Bologna, il MEF di Torino e l’Archivio di Estetica e Pratica spaziale di New York. È noto per la serie fotografica “Supersymmetric Partners”, che documenta i salti reali di fronte ai dipinti rinascimentali di Paolo Veronese, e per il suo uso delle tecnologie di levitazione elettromagnetica in installazioni futuristiche come “Il gatto di Schroedinger attraverso l’influenza di Piero Della Francesca” (Museo Marino Marini, 2010) e “The Star Platform” (Biennale di Marrakech, 2012). Nel 2013 ha inventato il dispositivo di disegno della luce da remoto “Oracle” (DLD, Haus der Kunst, Monaco) e nel 2017 ha creato il progetto interdisciplinare “Blazing Quasi-Stellar Object” (CERN, Ginevra).

Luca Pozzi, The Grandfather Platform, Quadreria di Palazzo Magnani (Bologna). Foto di FDM/A.RUGGERI / Courtesy the artist

 

1- Da dove deriva l’interesse per la scienza e quale ramo di essa ti ossessiona maggiormente?

LP: Credo derivi dal “Dubbio” con la “D” maiuscola, dalla necessità profonda di immaginare le cose diversamente da come sembrano a prima vista o da come vengono insegnate.

Ho sempre coltivato questa insoddisfazione osservando la realtà attraverso il filtro preferenziale dell’arte fintanto che ho potuto. Poi, forse seguendo un inevitabile processo di approfondimento, il linguaggio dell’arte mi ha fatto saltare su un’altra orbita grammaticale, e sono atterrato nel mondo della fisica teorica; della cosmologia multi-messaggera e della fisica delle particelle oltre il modello standard.

Mi attrae la scienza nella sua massima visionarietà, quella che tra un decennio potrebbe essere totalmente dimenticata e rinnegata, oppure celebrata come il nuovo rivoluzionario paradigma del terzo millennio. Nello specifico sono ossessionato dalla Gravità Quantistica: Loop quantum gravity, String Theory e geometria non commutativa, che tentano di risolvere l’incompatibilità tra relatività generale e meccanica quantistica in regioni prossime alla scala di Planck quando, alle alte energie, entrano in gioco fenomeni puramente gravitazionali.

 

2- Le collaborazioni con le comunità scientifiche: come sono nate e c’è un progetto che ti è stato particolarmente a cuore o che vorresti realizzare in futuro?

LP: Sono nate da una mia genuina curiosità e da una loro inspiegabile generosità.

Inizialmente leggevo molto, grandi classici di divulgazione, cose piuttosto semplici ma super interessanti come: “la strada che porta alla realtà” di Roger Penrose, “l’universo elegante” di Brian Greene, “la rinascita del tempo” di Lee Smolin, “la leggerezza dell’essere” di Frank Wilczek. Intuivo alcune problematiche aperte ma senza comprenderle fino in fondo. Quindi Il primo strumento di contatto è stato quello dell’intervista. Tra i primissimi interlocutori ricordo l’ex direttore dell’aleph experiment Roberto Tenchini e l’attuale direttore del dipartimento di fisica teorica del CERN Gian Francesco Giudice. E’ iniziato tutto con una semplice e-mail di motivazione e un link al mio sito internet, all’epoca praticamente vuoto e difficilmente navigabile, con allegata una richiesta di incontro informale.

Dopo la prima visita al CERN nel 2009, ho contattato Carlo Rovelli e mi sono ritrovato, l’anno seguente, ospite presso il Centre de Phisique Théorique, in un’università a strapiombo sul mare nel sud della Francia. Forse quello è stato il momento di svolta, quello che mi sta particolarmente a cuore. Ero li non solo per intervistare Carlo, ma anche per realizzare un nuovo lavoro che consisteva nella mappatura delle mani dei ricercatori impegnati, come lui, nello studio della Gravità Quantistica. Attraverso una tablet al fosforo equipaggiato da un laser ultravioletto ho iniziato ad archiviare le prime impronte che poi avrebbero costituito, nel corso degli anni, la prima “Quantum Gravity Cave” una vera e propria caverna, come quelle di Altamira o di Lascaux ma rappresentante una delle più evolute comunità scientifiche contemporanee.

In seguito sono stato ospite dell’Albert Einstein Institute di Golm vicino a Berlino, del Perimeter Institute a Waterloo in Ontario, della Penn State University negli stati uniti e più recentemente ho avuto l’onore di collaborare con il team del CMS detector del CERN di Ginevra e con quello del Fermi Telescope (INFN, NASA).

Luca Pozzi, Discovery&Premonitions. Courtesy the artist

 

3 – Famose sono le tue serie fotografiche “Supersymmetric Partner”, che documentano salti reali davanti ad opere del Rinascimento. Come nasce questo progetto e quale messaggio vuole veicolare?

LP: Il progetto “Supersymmetric Partner” nasce dalla necessità di lavorare non nello spazio e nel tempo, ma con lo spazio e con il tempo. Non vuole tanto aggiungere un oggetto in un posto in un dato momento, ma tenta di interagire dall’interno del posto e dall’interno dei momenti. Da una parte forse tenta di rendere visibile l’interazione che viviamo costantemente senza accorgercene con le forze che ci circondano, ma dall’altra si concentra su possibili interazioni che invece non immaginiamo nemmeno possano accadere. Interazioni che a volte sono confinate a scale dimensionali o energetiche apparentemente molto distanti dalla quotidianità, ma non per questo meno connesse alla nostra intima natura.

Anzichè prendere un pennello e imprigionare della materia “linearmente” su un supporto piatto bidimensionale, ho deciso di cercare un sistema pittorico che avesse già una certa complessità e che allo stesso tempo contenesse dei gradi di libertà latenti ancora attivabili. Nella mia testa volevo creare un’opera aumentata… aumentata proprio nei termini tecnologici di realtà aumentata, ma realizzata con prima di tutto con il mio corpo.

Quel sistema l’ho trovato quasi per caso, nelle “cene” di Paolo Veronese esposte alla Pinacoteca di Brera di Milano prima, e poi in tutte le altre esposte in giro per il mondo: al Louvre, a Versaille, a Dresda, Torino, Venezia…

Da li l’idea di connetterle attraverso un gesto fisico, un salto reale, di risalire come un salmone la corrente del tempo e di teletrasportarmi nel rinascimento (periodo di realizzazione delle pitture) e contemporaneamente, negli anni dei grandi miracoli del Vangelo.

“Le Nozze di Cana” del Veronese sono come un database, un hard disk, una ragnatela di informazioni e riferimenti, di fatti, di miracoli di usi e costumi che, quando li osservi, o ci salti davanti, iniziano a vibrare. L’opera percepisce la tua presenza…solo che, anziché imprigionarti, libera se stessa e nel farlo espande anche te che la stai guardando.

La fotografia non è un oggetto e nemmeno una documentazione…per me è un’interazione congelata nel tempo, che a sua volta, per una strana logica ad anello ricorsivo, inizia a produrre indipendentemente nuova interazione.

 

Luca Pozzi, Supersymmetric Partner  [Cena in casa di Simone, Brera], 2007/2009. Inkjet print on Dibond, wood frame, 120×80 cm and 220×150 cm, edition of 3. Courtesy the artist

4 – Hai un tuo “mentore” o un punto di riferimento nell’ambito scientifico? E i tuoi modelli artistici, invece, chi sono?

Nel mondo scientifico sicuramente Carlo Rovelli, da ogni punto di vista, sia umanamente che in termini di ricerca. Nel mondo dell’arte sento di avere una forte empatia con Alighiero Boetti, Enrico Castellani e Frank Stella.

Luca Pozzi with Loop Quantum Gravity Community at consejo superior de investigacion cientifica, Madrid, Loops 2011. ph: Luca Pozzi archive

 

5 – Chi compra le tue opere? Che tipo di collezionismo hai?

Ho notato di essere in collezioni con opere legate ad un certo tipo di ricerca italiana che derivano forse dallo spazialismo e dalla metafisica…solitamente chi colleziona De Chirico, Fontana, Burri, Castellani, Boetti, Accardi e De Dominicis… trova una relazione di continuità nel mio lavoro e la cosa mi lusinga molto.

 

6 – Sei un artista con background internazionale. In quale posto del mondo ti sembra che il terreno dell’arte contemporanea sia più fervido in quanto a mercato e creatività?

Quel posto è delocalizzato e moltiplicato, forse si trova nella rete, in ogni luogo e in ogni tempo…

 

Luca Pozzi, Blazing Quasi-Stellar Object organized by curatorial duo Francesco Urbano Ragazzi as the 4th chapter of the INTERNET SAGA. CERN, Geneva. Courtesy the artist

 

7 – Le tue opere non possono prescindere dall’utilizzo della tecnologia e del digitale: come vedi il futuro dell’arte in tal senso?

Come accennavo prima non credo che esista un analogico in natura. Se riduci tutto ai minimi termini il denominatore comune è l’informazione. Intesa proprio come capacità di un sistema di produrre diverse configurazioni e pattern partendo da una granulosità discreta che in informatica viene chiamata, Bit.

Una delle mie frasi guida preferite è di Sir Archibald Wheeler che diceva nel 1989 “It from Bit” ovvero “Ogni cosa è Informata”. Credo che il futuro vada in questa direzione ed ha a che vedere con l’espansione della coscienza del “se” non più come circoscritto o inscritto nella materia, bensì nell’informazione che tutto abbraccia e connette senza limiti. Mi piace pensare che non ci spostiamo nello spazio e nel tempo ma nell’informazione.

 

Luca Pozzi, The Third eye prophecy. Courtesy the artist

8 – Quali sono i tuoi progetti futuri?

Stò realizzando per l’INFN “The Third Eye Prophecy”, un’operazione cross-disciplinare di connessione dei linguaggi intesa come opera d’arte mimetica di guerriglia urbana.

Sarà Formalizzata come logo, ideato in occasione del decimo anniversario della missione Nasa Fermi. Verrà attivato attraverso una speciale proiezione luminosa sulla leggendaria cupola della Mole Antonelliana di Torino, dall’11 al 15  giugno 2018.  Si tratta di un Terzo Occhio esoterico hitech, con una grande pupilla al centro inscritta in una pallina da tennis ovalizzata dalla velocità. Anima l’architettura e la trasforma allegoricamente in esperimento scientifico, diventando una sorta di varco mediatico, di via di acceso alternativa ai misteriosi scenari della nascente cosmologia multi-messaggera.

“The Third Eye Prophecy” 2018 ph. credit: S.Balistreri e V.Ferrara (Proiezione luminosa)

 

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