Vivian Maier: la sua antologica a Bologna

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Non esistono fama, riconoscimenti, mostre, libri e interviste nella vita di Vivian Maier, la sua è una storia curiosa e piena di interrogativi a cui solo il caso sa dare risposta. Sarebbe impossibile parlare di quest’icona della fotografia del secondo Novecento senza soffermarsi su New York, centro nevralgico della sua produzione. Vivian Maier è oggi celebre per aver realizzato decina di migliaia di fotografie, mai esposte in vita, e riscoperte nel 2007, a soli due anni dalla sua morte. Quelle in mostra sono immagini ritrovate casualmente, che non hanno nulla a che fare con la folla, il traffico, gli abiti eleganti e le scintillanti vetrine di Mahattan, nelle quali la città si offre allo spettatore da una punto di vista inusuale. L’enorme bagaglio fotografico, composto da centinaia di negativi e rullini, è stato valorizzato e divulgato da un collezionista, John Maloof, che li acquistò all’asta senza sapere che in essi avrebbe trovato un tesoro destinato a conquistare milioni di persone e ad essere oggetto di svariate retrospettive in tutto il mondo.

Chicago 16 Maggio 1956. Gelatin silver print 2014 © Estate of Vivian Maier, courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Fino al 28 gennaio 2024 (ancora pochi giorni rimasti dunque), sarà possibile ammirare nella sale affrescate di Palazzo Pallavicini a Bologna ben 150 fotografie originali, divise in cinque sezioni: Autoritratti, Ritratti, Vita di strada, Forme e Colore. Gli scatti, diventati parte irrinunciabile del patrimonio della street photography, sono testimoni silenziosi della storia della Grande Mela, preziosi estratti di quotidianità in grado di mostraci il volto più nascosto della città e soprattutto dei quartieri popolari, immortalando soggetti fino ad allora ignorati dai reporter. 

A partire dal 1950, Vivian Maier si aggira per le strade di New York tra clacson, luci, grida e passi veloci alla ricerca di motivi, dettagli, forme ed istanti da catturare. Nello stesso anno acquista una Rolleiflex, macchina fotografica compatta, che le permise di avere sempre a portata di mano l’opportunità di fotografare i quartieri passando quasi inosservata. Luoghi e persone normalmente invisibili diventano così complici inaspettati della fotocamera, protagonisti a volte cauti e altre persino sfacciati.

New York Giugno 1954. Gelatin silver print 2014 © Estate of Vivian Maier, courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Vivian nasce proprio a New York, nel 1926, la sua è un’esistenza comune assai lontana dalle storie travagliate di altri celebri artisti dell’epoca. Figlia di genitori divorziati, immigrata e dalla precaria situazione economica, Vivian lavorerà per tutta la sua vita come bambinaia legandosi alle famiglie dei bambini che accudisce. Per carattere e per destino, la donna rimarrà sempre affezionata all’universo infantile provando una forte empatia verso i bambini a lei affidati, spesso al centro della sua fotografia. È con loro che condividerà quasi tutto il suo tempo percorrendo i quartieri, attraversando le strade affollate ed entrando nella botteghe a stretto contatto con i volti dei giornalai, degli uomini d’affari, dei lavoratori nei cantieri e dei senza fissa dimora. 

Il rapporto tra adulti e bambini rappresenta una costante nella ricerca della Maier, sono numerosissimi gli scatti che li ritraggono insieme, come se attraverso la fotografia potesse studiare il vincolo che li lega. Ciò che misurava con la fotografia non era la luce, ma la distanza dall’altro. I bambini sono modelli e compagni di avventura, con loro scopre i segreti oltre agli angoli degli edifici e oltre ai vetri delle finestre di chi osserva. 

Self portrait New York 1953 silver print 2014 © Estate of Vivian Maier, courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Tra tutte, stringerà un legame affettivo con una famiglia in particolare, i Gensburg, con i quali intraprenderà parte dei suoi lunghi viaggi visitando il Canada e successivamente la Florida. Nel 1959 le viene concesso un permesso di sei mesi per fare il giro del mondo con scali nelle Filippine, in India, in Yemen e in Europa. Da questo viaggio, insolito negli anni ’50 per una ragazza non accompagnata, apprendiamo l’identità da outsider della Maier, che non si sentiva riconosciuta dalla società e certamente non disprezzava la solitudine. 

È ironico come questa donna perennemente inadatta e sempre alle prese con grosse difficoltà economiche debba la sua celebrità postuma ai numerosissimi autoritratti, diventati quasi una fissazione per lei, che con fare giocoso incorpora la sua figura in composizioni più ampie sfidando una coppia di operai che trasportano uno specchio o disturbando le clienti di un negozio per ritrarsi nella sua vetrina. 

8 settembre 1962. Gelatin silver print 2014 © Estate of Vivian Maier, courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Dal 1965 in poi la Maier inizia a sperimentare con la fotografia a colori, accompagnando questo passaggio con un cambio tecnico. Comincia infatti ad utilizzare la nuova fotocamera Leica, più leggera e con l’obiettivo collocato all’altezza degli occhi, rivoluzionando il suo rapporto con le persone fotografate che prima osservava unicamente da una prospettiva dal basso verso l’alto. Quando osserviamo le sue inquadrature non possiamo che immaginarle come parte di una pellicola cinematografica, simili a frame rubati, da cui potremmo dedurre un possibile movimento di macchina. In un’altra vita, Vivian sarebbe stata una direttrice della fotografia degna di Storaro, capace di comporre immagini dal delicato quanto perfetto equilibrio cromatico, piene di dettagli evocativi che si richiamano a vicenda attraverso le nuance di abiti, accessori ed elementi di arredo in un eterno scambio tra ambiente e soggetto.

Chicago 1957. Gelatin silver print 2014 © Estate of Vivian Maier, courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Quella di Vivian Maier è stata una vera e propria ossessione per l’atto di fotografare, nel suo mirino sono caduti: persone, oggetti, paesaggi, scene di strada, edifici e raramente qualche celebrità dell’epoca. Talvolta l’oggetto dell’immagine trascende totalmente un qualsiasi possibile discorso fotografico e si focalizza sulla composizione stessa, senza soggetto né trama. Nella sua fotografia possiamo intuire l’innata curiosità che l’ha contraddistinta, un interesse scaturito dal semplice desiderio di catalogare e conservare uno scorcio, un volto o un particolare che è riuscito ad attirare la sua attenzione. Vivian Maier potrebbe essere descritta in mille modi, una donna di talento, un’osservatrice silenziosa della storia e una fotografa insaziabile, ma sopratutto un’artista sconosciuta ma libera, che non rinunciò mai alla sua passione.

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