Omar Galliani, il respiro dell’Universo in un volto di donna

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In un mondo sempre più digitalizzato e smaterializzato le opere di Omar Galliani sostengono la bellezza della fisicità dell’opera d’arte. Per lui, il disegno è la semplicità della natura, che ha cercato di dilatare.

Omar Galliani crede nell’eternità del disegno, che sopravvive al suo creatore e resiste nel tempo. un disegno infinitissimo – come ama definirlo – assoluto che va oltre i limiti del foglio, della tela e della tavola, che l’artista ha saputo reinventare e rinnovare.

L’ esposizione “Nel nome del segno”, aperta fino all’ 11 novembre alla Ticinese Art Gallery, è caratterizzata da una serie di opere dal titolo “…ancora macchie sulla bellezza”, che sono parte di un progetto dedicato al Correggio e mai esposte. Si tratta di un lavoro realizzato dall’artista nel 2008 sulla pista di atletica del comune di Correggio, patria del pittore Antonio Allegri, ispirato al Ganimede e l’Acqua. Le carte esposte sono, di fatto, dettagli dello studio fatto da Galliani per questa installazione, contaminati con colate nere di bitume.

Nei disegni in mostra molti soggetti hanno volti di donne, che comunque è un tema ricorrente nei tuoi lavori, qual è il tuo rapporto con il femminile?

Nasce innanzitutto dalla frequentazione, dalla suggestione del femminile attraverso la storia dell’arte; quindi, ci sono immagini che hanno sicuramente nutrito il mio lavoro, penso alle citazioni che ho fatto negli anni in cui ero ancora in accademia e ancora prima alla Scuola d’Arte. Sono nato vicino a Parma per cui i miei riferimenti sono il Correggio, il Parmigianino. Da bambino poi rimasi folgorato da La Scapigliata di Leonardo, che mi portò a vedere mia madre, opera conservata nella Pinacoteca di Parma. In questo abbozzo di un volto non finito, in questa non finitezza, c’è anche molto del mio lavoro. I volti femminili che disegno spesso partono da qualcosa di reale, da una modella, ma poi durante l’esecuzione si trasformano anche in altro. Abitualmente io realizzo le mie opere su grandi tavole, con i volti che sono fortemente idealizzati. Un soggetto, un nome prima, che poi si trasforma in un dopo e diventa la mia immagine femminile.

I miei volti hanno sempre un’identità che corrisponde a delle simbologie, un esempio sono gli occhi socchiusi, che attendono alla sospensione, alla riflessione, alla concentrazione, e se vuoi anche alla divinazione. Sono tutte manifestazioni psicologiche dove il volto non è un ritratto, non è una figura puramente bella in sé, a volte lo è altre volte no. Nelle mie tavole c’è proprio il desiderio di entrare dentro il soggetto, nella femminilità intesa anche in termini più complessi.

Il voler entrare nel soggetto per far affiorare quello che è celato si nota anche nelle tue opere “Nuove anatomie” …

È un ciclo di opere che ho realizzato dalla fine degli anni Novanta fino al 2015, in queste figure dove non c’è un disegno così definito ma, è chiaro, netto il discorso del dolore. E lì c’è proprio un abbozzo di questa figura di un volto con un’anatomia sotto, in sofferenza che ha una cicatrice, una ferita. Che richiama il tragico, quindi, non sono mai dei volti o figure soltanto belle o accattivanti o gentili hanno chiaramente altre componenti molto più legate alla realtà. Nelle Nuove Anatomie, infatti, subito si coglie il contrasto tra il segno netto, talvolta duro, della mina di piombo che delinea il contorno di un corpo, sospeso nel tempo e il tracciato, rosso di sangue, di una sua parte celata che affiora per ricordare la vita.

Su tavole monumentali ossa umane, come le vertebre, volano nella notte infinita. Un incontro simbolico tra l’uomo e l’universo. Sono i tuoi lavori sulle costellazioni, dove il tempo è contemporaneamente passato, presente e futuro.

Il tema delle costellazioni è un tema relativamente recente, perché negli anni 2012/2014 ho realizzato una grande opera, Respiro, un’enorme cassa toracica a matita su tavola, che gravita nel cielo con dietro una costellazione fatta di stelle e cosmogonie non reali, che non appartengono alla mappa stellare che un astrofisico potrebbe descrivere. È una mappatura ideale, istintiva in cui questa grande cassa toracica gravita sospesa. Come nel caso dei dipinti Cassiopea e Orione. In queste immagini, in questi particolari anatomici c’è sempre una sospensione, un viaggio, che qualche astronomo mi ha detto essere frutto di quello che è realmente accaduto migliaia di anni fa. In queste mie tavole la luce si rispecchia sulla superfice che crea proprio un bagliore.

Infatti, questa estate hai tenuto delle conferenze al Planetario di Milano, supportato dalla presenza di alcuni nomi dell’astronomia e dell’astrofisica.

Sono sempre stato interessato all’argomento, il Prof. Peri, un astrofisico, mi ha spiegato alcune cose sulla fusione che avviene nelle grandi masse stellari quando si fondono ed esplodono e cosa liberano, e mi ha raccontato di come l’Universo si muove e respira, come la mia opera, (Respiro, ndr) ed è in costante movimento.

Gl artisti anche secondo Peri hanno fatto e detto cose che poi si sono dimostrate vere nella scienza. Un altro astrofisico, Bersanelli, mi volle in un’altra serata in cui si parlava di galassie e delle nuove scoperte fatte sul big bang, su queste onde fossili che viaggiano, sul finire di quello che noi chiamiamo Universo. In quell’occasione gli chiesi se ci sia qualcosa aldilà del nostro Universo, ma la risposta fu che ciò è ancora sconosciuto. Ho pensato, quindi, che questa risposta in qualche modo unisce la scienza all’arte, perché noi possiamo spiegare tante cose, però rimane sempre qualcosa di irrisolto e di sospeso.

È questa è l’unica cosa importante che l’arte mantiene, il non detto, qualcosa che raggiungi di volta in volta guardando un’opera. La creatività è il più grande mistero esistente, infatti, la mia opera Cassiopea è un grande bacino femminile sospeso nel cielo, è questa madre cosmica, creatrice in qualche modo legata all’universo.

I tuoi lavori sono opere molto grandi, quali sono i materiali che prediligi?

Partendo dall’assunto scientifico, ormai dimostrato, che noi deriviamo dalle stelle e quindi siamo fatti di carbonio oltre che di liquidi ed acqua. Il carbonio genera la grafite ed io lavoro con la grafite, parente stretta del diamante anzi è un diamante giovane, geologicamente parlando le vene di grafite precedono quelle di diamante, quindi parliamo di stratificazioni terrestri, e in profondità notevoli si genera la materia più trasparente e straordinaria che è il diamante. Quindi io non lavoro con qualcosa che oscura come il carboncino o il pastello, ma con qualcosa che riflette la luce. Oltre la matita uso anche il pioppo, quindi, qualcosa che è legato alle cavità della terra e qualcos’altro che è legato alla luminosità del sole. I pioppi crescono in filari stretti tutti dritti perché in mezzo a questa selva di piante devono catturare la luce del sole.  Sono materiali lontani e contrari, come il bianco e nero, diventa, quindi un’alchimia.

Usi una qualche preparazione per le tavole?

Non uso fare una preparazione del pioppo, non c’è un fondo, è proprio il legno grezzo e poi col tempo le venature del legno vengono fuori. Con gli anni la patina dell’opera cambia, ci sono tavole che ho fatto negli anni Novanta e che all’epoca avevo fotografato, riviste adesso e messe a confronto sono diverse, presentano venature straordinarie. Il tannino che contiene il legno tende a fermarsi quindi anche l’invecchiamento si blocca, anche se il legno rimane sempre vivo, pensiamo allo scricchiolio delle travature in legno delle case antiche che ancora oggi si muovono, quindi, mi piace l’idea di un materiale mobile, che abbia anche a che fare con i contenuti dell’opera aldilà del soggetto. Il soggetto è un espediente, che mi serve e mi compiaccio anche del risultato, ma in realtà è un elemento che si aggiunge ad un altro molto importante che sono i materiali che scelgo.

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