Manifesto, Cate Blanchett recita l’arte del Novecento in un film

L’attrice Premio Oscar recita 13 manifesti artistici e ci ricorda che l’arte è un gran caos! 

Cate Blanchett in Manifesto by Julian Rosefeldt (2015). Courtesy My Red Carpet

Cate Blanchett, parrucca corta nera, occhi pesantemente truccati, una sigaretta accesa tra le labbra e un atteggiamento da rockstar provocatoria. Con lo sguardo fisso in camera l’attrice guarda dritta davanti a sé e dichiara allo spettatore il manifesto dell’Estredentismo, avanguardia artistica del Messico post rivoluzionario teorizzata dal poeta Manuel Maples Arces. 

È questa una delle scene che potreste trovarvi di fronte guardando “Manifesto”, film del 2015 diretto da Julian Rosefeld tratto, a sua volta, da un’installazione artistica dello stesso Rosefeld presentata in Australia, a Berlino e a New York. 

Per un’ora e mezza Cate Blanchett si trasforma in 13 personaggi diversi gli uni dagli altri per aspetto, classe sociale e accento che leggono, urlano o raccontano altrettanti manifesti di vari movimenti politici o artistici. 

C’è la madre operaia e la coreografa russa, la giornalista e l’inviata, la burattinaia e la maestra, la donna devota e la rockstar e persino una senzatetto alienata dal mondo reale. Ognuna di queste donne, inserita nel suo contesto di vita, non parla però di sé o di ciò che la circonda. Parla di arte. Non a qualcuno, non in un dialogo, ma sempre e solo in forma di monologo, spesso inascoltato da chi le sta attorno.

Così accade alla maestra che spiega ad una classe di bambini non troppo convinti il Dogma ’95 del regista danese Lars Von Trier, alla vedova che davanti ad una folla in lutto e ad una tomba ancora aperta recita il manifesto dadaista o alla coreografa che teorizza i principi di eliminazione tra arte e vita del movimento Fluxus mentre un gruppo di ballerini-alieni prova rigorosi passi di danza. 

Perché la trovata geniale di un film come “Manifesto” sta proprio nell’accostare situazioni tra di loro completamente agli antipodi: la lettura e le parole recitate spesso non coincidono con il contesto messo in scena creando così un gioco che punta al contrasto e all’ironia. Opposti e contraddizioni che non sono solo interni alle diverse scene-storie, ma anche alla base dell’affiancamento dell’una all’altra, con il risultato che si dice e poi si nega lo stesso principio in pochi istanti.

Un caos che allora è e va visto come elemento fondante dell’arte stessa: “Manifesto” cerca di darci, attraverso una serie di credo e principi, una definizione di qualcosa che per sua stessa natura una definizione non ce l’ha. 

Ma in fondo che cos’altro potremmo aspettarci da un film che è documentario, installazione artistica, lungometraggio e niente di tutto ciò allo stesso tempo? 

Cover Photo Credits: Courtesy via Telefilm Central

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