Laurie Simmons e la sua “Autofiction” creata con l’IA

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Lei è un nome conosciuto nel mondo della fotografia “costruita” contemporanea. Classe ’49, Laurie Simmons ha da sempre esplorato profonde questioni politiche e sociali con manichini e bambole costruiti da bambole e manichini posizionati in scenari meticolosamente costruiti che spesso rimandano a interni domestici e sono pensate per evocare un senso di familiarità, ma allo stesso tempo, di estraneità e surrealismo.

Queste immagini costruite sfidano lo spettatore a riflettere sui ruoli di genere, sull’identità e sul ruolo della donna e sulle aspettative sociali. L’evoluzione della sua ricerca ha inoltre portato una sempre maggiore apertura verso la tecnologia, come ad esempio in “Kaleidoscope House”, una casa delle bambole modernista e interattiva, che integra l’arte contemporanea e il design, e per le altre arti come il cinema.

Laurie Simmons, Autofiction: Indoor Swimming Pool (Anne), 2023. Stampa a pigmenti su seta, pittura acrilica, poly fill, filo, DALL·E 2.

Oggi, Laurie ha spinto la sua sperimentazione artistica fino all’uso dell’IA nella sua mostra “Autofiction” in corso il YoungArts Jewel Box di Miami fino al 26 gennaio, utilizzando piattaforme come DALL-E e Stable Diffusion per ricreare scene della propria vita quotidiana, con le sue bambole che adesso diventano degli androidi. Ma c’è un elemento precipuo in questo lavoro: Laurie interviene “fisicamente” sulle immagini stampate su tela attraverso pittura, disegno o addirittura il ricamo.

Questo non è un semplice “retouché”, ovvero un tocco che viene dato alle limited edition per renderle uniche, ma è un’interazione concettuale tra il calore dell’intervento umano e la freddezza della macchina, una carezza che dona un efflatus vitale (e quindi un nuovo status all’opera stessa), come un deux ex macchina. Non solo: a volte Laurie utilizza i limiti stessi dell’IA (visi deformati, mani a 6 dita etc), per evidenziarli e trasformarli in un codice estetico, che noi, in quanto umani, definiamo tale. Singolare è anche il fatto che il software DALL·E 2 venga indicato tra i “materiali” nelle didascalie, insieme a stampa su seta, pittura acrilica etc, segnando proprio un cambio di paradigma.

Questo processo di alterazione (ed esaltazione) delle immagini IA riflette la continua fascinazione di Simmons per gli stati intermedi, un elaborazione che ha nel non-finito la sua forza espressiva. Inoltre, l’IA è qui uno strumento un “collaboratore”, come viene da lei stesso definito, utile per creare linguaggi visivi unici compatibili con la sua immaginistica consolidata.

“Autofiction” è quindi un neologismo che fonde l’autobiografia con la finzione, un ibrido tra vita reale e fantasia. Come osserva Simmons, “Il mio lavoro non riguarda specificamente la mia storia. Piuttosto, è una sorta di memoria culturale idealizzata della posizione delle donne quando sono cresciuta. Se dovessi leggere un romanzo visivo composto da ogni immagine che ho realizzato, si svolgerebbe come i capitoli della mia fantastica autobiografia.

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