In The Dollhouse. Il destino di Barbie nelle mani di Dina Goldstein

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Barbie, l’icona pop della donna perfetta che incarna da decenni il sogno di bellezza e felicità eterna, è  stereotipo di una bellezza oggettivizzata, quasi una sorta di immagine mariana rosa confetto per intere generazioni di bambini e adolescenti che hanno identificato nella celebre bambola un ideale di vita, perché Barbie ha tutto quello a cui si può aspirare: bionda, capelli perfetti, corpo da urlo, vestiti all’infinito, una casa con piscina in cui fare festa a qualsiasi ora, un eterno fidanzato, Ken, che le è sempre accanto (ma quasi nell’anonimato), tutti le vogliono bene, è un idolo, insomma, Barbie ottiene tutto.

Dina Goldstein, “Dining Alone”

Un messaggio ingannevole: la ragazza alla moda di un’America dove essere popolari e perfetti è il massimo a cui aspirare non esiste, è un prodotto fatto su misura, totalmente irreale. La fotografa Dina Goldstein (1969, Tel Aviv) ha ribaltato completamente la classica storia di Barbie e Ken, realizzando, già nel 2012, la dissacrante, ironica e assieme oscura serie “In the Dollhouse”, un complesso lavoro concettuale visivamente ancorato a un linguaggio visivo pop-surrealista col quale l’artista sviluppa una narrazione che scoperchia il ventre molle di una relazione di coppia tossica, quella tra Barbie e Ken, sfidando così un complesso sistema di influenze e aspettative sociali e culturali dell’Occidente.

Anche con la  serie precedente “Fallen Princess” (2007) dove Dina Goldstein immagina   le principesse delle fiabe Disney, dove di rigore vige il bel lieto fine, alle prese con la vita di tutti i giorni, tra figli, compagni indifferenti alle difficoltà di coppia, abbandoni, vecchiaia e malattie, l’artista ha infranto il classico motivo del “per sempre felici e contenti” propagandato dalle fiabe Disney e dalla società occidentale perché in realtà non è così, e soprattutto non è sempre la presenza del bel principe che ci salverà. Barbie ha inculcato il concetto che il valore della bellezza è essenziale per essere felici, ma sotto la superficie rosa, liscia e levigata di tanta beatitudine correnti sotterranee rivelano man a mano oscure incrinature che finiscono per frantumare un muro di menzogne.

“Breakfast” by Dina Goldstein

La serie “In the Dollhouse” si sviluppa in una narrazione sequenziale, tipica del fumetto, di dieci tableaux di grande formato realizzati su un set curato nei minimi dettagli.

“La mia visione”, racconta Goldtsein, “è stata chiara fin dall’inizio: sapevo che non volevo una casa delle bambole di plastica. Sentivo che avrebbe reso la serie troppo kitsch, e sapevo che stavo affrontando questioni serie ricoperte di rosa. Sarebbe stata una classica casa delle bambole rosa, con mobili e oggetti di scena della provincia francese, che avrebbero contribuito a creare un’atmosfera retrò. Lavorando con Jason Witaker (il set designer con cui ha progettato le sue scenografie, ndr) l’aspetto e l’atmosfera del set si sono evoluti ulteriormente: lui ha saputo illustrare i miei concetti alla perfezione! Le scenografie sono state realizzate da Kenneth Latour e Candice Paul. Un gruppo di amici e volontari ha dipinto i mobili che ho trovato su Craig’s List. Abbiamo scelto le varie tonalità di rosa per ogni stanza. Le pose sono state concepite all’interno degli storyboard. Mi sono attenuta a questi concetti per mantenere la narrazione sequenziale in dieci parti”.

“Haircut” by Dina Goldstein

Una casa dove tutto è rosa, i cuscini a forma di cuore nella camera da letto, persino nel bagno gli asciugamani recano le iniziali dorate di Barbie e Ken: tutto è perfettamente coordinato, eppure qualcosa non torna. Quella che viene raccontata è una versione alternativa della realtà che si trova ad affrontare Barbie nella sua convivenza con Ken, ben più misera e crudele di quello che ci hanno sempre raccontato. Ogni spezzone rivela la crescente frustrazione di Barbie nei confronti del partner, che appare noncurante, esprimendo sempre più apertamente le sue preferenze sessuali, portando Barbie a quello che è tutt’alto che un happy end.

“In the Bathroom Mirror” by Dina Goldstein

“Spesso si sta insieme per i motivi sbagliati, di solito a causa di sistemi di credenze intrinseche, tema che affronto in molti dei miei lavori”, spiega Dina Goldstein. “Barbie e Ken, accoppiati da Mattel, vivono un’idilliaca vita americana come una coppia sposata convenzionale. Nella mia versione guardo alla disconnessione delle bambole come una coppia. Nel corso della narrazione sequenziale, Ken è colui che trova il suo io autentico e inizia a uscire dall’ombra di Barbie. Barbie riconosce che Ken non è così attento e al servizio di lei. Sta perdendo interesse ed è più concentrato su se stesso. Lei cerca di convincerlo a tornare, invitandolo a mangiare una cena casalinga. Quando lui non si presenta, lei beve troppo e sviene. Più tardi scopre Ken con un altro Ken nella loro camera da letto. Questo è troppo per Barbie, che si taglia i lunghi capelli biondi (la scena The Haircut ritrae Barbie come una novella Frida Kahlo nel famoso Autoritratto con i capelli corti che l’artista messicana dipinse dopo la tragica separazione dal marito Diego Rivera, ndr) e ha un esaurimento nervoso, perdendo infine la testa. Questa intensa risposta umana, e Ken come personaggio gay liberato, è molto più interessante per me come artista”.

Barbie ha pagato cara la sua finta e sintetica perfezione, ora dovrà ricominciare da se stessa per trovare finalmente la sua identità.

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