Hegel e la morte dell’arte

Nel 1835, Georg Wilhelm Friedrich Hegel scrive Lezioni di Estetica, in cui formula il concetto di Morte dell’Arte.

In un periodo di diffusione dell’arte romantica moderno-contemporanea, afferma “L’arte, in conformità alla sua più alta determinazione, è e rimane qualcosa di passato”. Ma perché il filosofo tedesco prende una simile posizione?

Michelangelo, Giudizio Universale, 1536-1541

Per comprenderlo, bisogna contestualizzare il pensiero di Hegel, partendo dagli elementi principali della sua riflessione filosofica. Il sistema hegeliano, che continua ad influenzare anche intellettuali e pensatori a noi contemporanei, si fonda su tre concetti di base: Idea, Natura e Spirito. Concentrandoci sull’ultimo, lo Spirito, possiamo riscontrare un’ulteriore suddivisione in: Oggettivo, Soggettivo e Assoluto.

Allo Spirito Assoluto appartiene l’Arte: lo Spirito hegeliano compie un viaggio, è alienato e fuori di sé quando è Oggettivo e Soggettivo, mentre ritorna in sé quando Assoluto, compiendosi nelle forme più astratte, come nell’Arte, oltre che nella Filosofia e nella Religione.

Una volta contestualizzata l’Arte nel pensiero hegeliano, il filosofo la elabora e la analizza storicamente, in Lezioni di Estetica, secondo un percorso lineare per fasi, caratterizzate da diversi equilibri tra forma e contenuto, per poi arrivare alla sua morte.

La prima è l’arte simbolica, tipica dei popoli orientali. Hegel sostiene che questa forma d’arte è caratterizzata da uno squilibrio tra contenuto e forma, che la rende incapace di esprimere un contenuto spirituale attraverso forme concrete e percepibili adeguate e corrette.

La seconda, l’arte classica, è l’unica forma d’arte che realizza un perfetto equilibrio tra forma sensibile e contenuto spirituale in modo armonioso. Questo avviene perché il soggetto principale è la figura umana: l’unica forma in cui l’arte riesce a esprimersi. Siamo in quello che viene definito culmine o climax della perfezione artistica secondo Hegel. L’artista che maggiormente realizza questa preciso equilibrio è Michelangelo. Il suo Giudizio Universale raffigura, con perfezione tecnica ed elevato senso estetico, un uomo forte e sicuro, fisicamente privo di imperfezioni, che si avvicina al divino. Ma quest’opera segna anche la fine di un’epoca per l’arte e per la percezione dell’uomo.

La terza fase è quella romantica, in cui si presenta un nuovo squilibrio tra forma e contenuto. L’arte sta per terminare la sua esistenza, quindi deve cercare l’appoggio di un’altra disciplina: la Filosofia. Il contenuto delle opere d’arte di questo tipo è talmente carico concettualmente e, adesso, filosoficamente, che nessuna forma sensibile riesce più ad esprimerlo. L’apice di ciò è sicuramente l’Espressionismo, in cui, per definizione, sono le emozioni umane ad essere esternate e ritratte. Edvard Munch dipinge tecnicamente in modo imperfetto, i suoi soggetti sono indefiniti, a volte solo abbozzati, ciò che emerge sono solo le loro espressioni facciali e i loro sentimenti. Questi ultimi non sono più totalmente positivi, al contrario, definiscono un individuo comune, con problemi, malattie, preoccupazioni e insicurezze, quindi immerso nella sua realtà: mortale e quotidiana.

Edvard Munch, L’urlo, 1893, tempera, pastello su cartone, 91 x 73,5 cm. Oslo, Munch Museet

È a questo punto che si parla di Morte dell’Arte, intesa, dal filosofo tedesco, come l’incapacità di questa disciplina di arrivare alla verità Assoluta, di realizzarsi tornando in sé in quanto Spirito. L’arte del Novecento ha ormai sconfinato nella Filosofia, prendendo coscienza della sua non autonomia e quindi della sua fine

In effetti, è una caratteristica propria dell’arte contemporanea il fatto di riflettere sulla propria morte. Questo lo vediamo nel suo carattere di ricerca, nel suo fare affidamento su altre discipline, nella non distinzione delle forme. Ovviamente, non si parla di morte nel senso letterale del termine, piuttosto di un adattamento alla contemporaneità. L’arte è lo specchio della società, quindi non può fare altro che interpretarla nella forma e nei contenuti: se le forme sono imperfette, indistinte e confuse, è perchè tale è il contesto in cui nasce.

Del 1997 è il testo Dopo la fine dell’Arte, in cui l’autore Arthur Danto interpreta in un nuovo contesto, quello contemporaneo, i motivi hegeliani. L’arte non è più debitrice della filosofia, ma vuole cercare una propria verità autonomamente, essere una realtà a parte, senza rientrare in nessuno statuto. Non le interessa raggiungere la perfezione, ma scoprire la sua natura. Soffermandosi sui suoi mezzi espressivi, come la pennellata tipica dell’Espressionismo Astratto di Jackson Pollock, la pittura raggiunge la propria realtà.

Cover Photo Credits: Georg Wilhelm Friedrich Hegel

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