Come si seducono gli uomini. Ovvero, Annetta Mari tra Futurismo e gattamortismo

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Ora posso dirvelo: Filippo Tommaso Marinetti era femminista. Non ci credete? Non ritenete possibile che chi nel Manifesto del Futurismo ha scritto: “Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”, possa essere considerato femminista? Bene. Io però vi dimostrerò che era molto più femminista di tanti suoi contemporanei. E anche contemporanee. Vedrete.

Oggi infatti esce per Aspis Edizioni un libro delizioso che apre uno spaccato sul dibattito futurista intorno alla sessualità. Si tratta della riedizione di Come si seducono gli uomini, firmato da tale Annetta Mari nel 1918 in risposta al successo strepitoso (enfatizzato da scandalizzate polemiche) del manuale di Marinetti Come si seducono le donne, uscito l’anno prima. 

Tenete conto che Marinetti non era nuovo a questi botta-e-risposta. Non appena il Manifesto del Futurismo aveva visto la luce, nel 1909, fulminea gli aveva fatto eco Valentine de Saint-Point con il Manifesto della Donna Futurista e poi con il Manifesto Futurista della Lussuria; interessante, quest’ultimo, perché nel suo predicare eroine “bestialmente amorose” arrivava quasi ad anticipare la rivendicazione dell’orgasmo femminile portata avanti nella seconda metà del Novecento dalle femministe. 

Filippo Tommaso Marinetti

In realtà, in Come si seducono le donne – che nel nuovo volume edito da Aspis non compare, sebbene ce ne siano gli ampliamenti – Marinetti gioca di sponda tra autobiografia e ironia. Cadendo anche in qualche trappolone del proprio ego, come quando si autodefinisce “sessualmente instancabile” (aggiustando poi il tiro in “uomo dal coito veloce e violento”) e viene corretto da un’amica molto intima – tale Beatrice – che puntualizza: “tac tac e via” (chissà se Isadora Duncan, Mata Hari e la Marchesa Casati la pensavano come lei…). La visione della donna di Marinetti, tuttavia, è quanto mai moderna. Sebbene molte detrattrici lo accusino di usare la parola seduzione con un significato sotteso di superiorità maschile, l’autore parla di donne libere, di esseri pensanti, con un’anima e desideri propri (cosa molto più scandalosa, all’epoca, che raccontare un amplesso), spazzando via romanticherie e soprattutto ipocrisie. Per di più, nella seconda edizione del suo manuale amoroso, Marinetti inserisce due capitoli (Sedurre o essere sedotto e Come si tradiscono gli uomini, questi sì, nel volume di Aspis), in cui cita commenti di scrittrici al suo testo, di fatto facendoli suoi.

E qui si coglie l’anima dell’intellettuale illuminato, quello che a quarantasei anni, dopo una vita da tombeur de femmes, si innamorerà della giovane Benedetta Cappa, geniale aeropittrice futurista e femminista, trasformandosi in un marito perfetto. In quei capitoli aggiuntivi i temi portanti sono il desiderio sessuale della donna, che lascia credere all’uomo di decidere lui ogni passo, ma che in realtà guida le danze, e il fatto che la monogamia – sia all’interno del matrimonio che fuori – non permetta allo spirito femminile di crescere e di evolversi, mentre esperienze erotiche diverse sviluppano in lei intelligenza e fantasia. Sostanzialmente la donna libera e svincolata dall’amore romantico che lo stesso Marinetti predicava (ora, che lui lo facesse per avere più donne disponibili, via, è un peccato che gli possiamo anche perdonare).

“Come si seducono le donne”, di Marinetti nella sua versione del 1917

Poi arriva il testo di Annetta Mari. 

E di tutte le libertà auspicate da Marinetti si fa un falò.

Nell’introduzione al volume di Aspis, Andrea Pautasso suggerisce che Annetta Mari non sia solo uno pseudonimo, ma nasconda anche un’identità maschile. E io, credetemi, me lo auguro con tutto il cuore. Perché altrimenti quel ricettario di trucchi da rivista e di gattamortismo mi sarebbe ancora più indigesto. Un uomo gretto – molto solo, mettiamola così – che nulla ha da condividere con l’ironico e pungente Marinetti. 

Si comincia, naturalmente, con la bellezza. La donna deve essere bella, altrimenti cosa mai potrà fare, visto che l’unico scopo della sua vita è acchiappare un maschio e che l’unica cosa che il suddetto maschio cerca in lei è la bellezza? Se proprio la natura l’ha resa brutta, che sia – per carità – almeno simpatica. Ma intendiamoci: per simpatica non s’intende mai, qui, arguta, spiritosa o intelligente: è detto chiaramente all’inizio che l’intelligenza è un ostacolo alla seduzione (che noia queste donne che parlano!). Simpatia è – udite – voce dolce e grazia nei gesti. Capito ragazze? E comunque, belle o simpatiche (le brutte antipatiche possono anche impiccarsi, probabilmente), dovete fare di tutto per essere eleganti e vestirvi in modo da rendervi ancora più attraenti. A un certo punto suggerisce che molte donne brutte si danno alla prostituzione pur di avere un uomo (il che è curioso, a pensarci, perché se non lo trovano gratis, come potrebbero farlo facendosi pagare…? Mistero). 

La seduttrice perfetta, poi, deve essere vereconda, saper arrossire e coltivare l’onestà (tutte caratteristiche che nell’uomo sarebbero ridicole, sottolinea l’autrice). Seguono i trucchi per tenersi un uomo: sostanzialmente presentarsi sempre perfette, mai in disordine o spettinate, perché altrimenti lui andrà a cercare altrove (e tra le righe si intuisce che sarebbe un suo diritto). La signora si spinge anche a raccontare storie, aneddoti che dovrebbero dare più forza alla sua tesi. Tra cui quelli di un paio di donne che dopo essere state stuprate (perché quello è) non possono più fare a meno del loro stupratore.

Meglio, molto meglio, il buon Filippo Tommaso Marinetti, che nel suo Manuale della giovane sposa futurista esorta le donne a punire sul nascere ogni forma di controllo o di gelosia e a stabilire fin da subito il divieto a toccare la corrispondenza altrui, poi suggerisce loro di abituare il marito a lasciarle sole quando lo richiedono, rendendolo anche avvezzo a ritardi, assenze e viaggi per conto proprio. Le spinge, insomma, a ricavarsi un piccolo spazio inviolabile, un luogo di rispetto che nei primi del Novecento per la donna era tutt’altro che scontato. Una delicatezza che Benedetta Cappa avrà senza dubbio apprezzato. 

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