Animali fantastici, a Bologna un viaggio di trasformazione

Getting your Trinity Audio player ready...

di Karin Andersen

Karina Andersen è un’artista multimediale di origine tedesca, da trent’anni naturalizzata in Italia, conosciuta per la sua ricerca sull’alterità animale e il teriomorfismo, ovvero la concezione della divinità che ha aspetto animale (sull’argomento ha anche scritto, assieme a Roberto Marchesini, il libro Animal Appeal, uno studio sul teriomorfismo, Alberto Perdisa Editore). A lei abbiamo chiesto di ripercorrere, con un taglio personale e fortemente narrativo, la mostra bolognese Animali Fantastici, ideata e curata da Gianluca Marziani e Stefano Antonelli, e prodotta ed organizzata da Arthemisia. Ecco il suo “diario di viaggio” di un’esperienza imperdibile.

Un autoritratto di Karin Andersen.

Quale insolito organismo può nascere dall’ibridazione tra un libro di favole, un circo, una sala cinematografica, un luna park, una festa, una mostra d’arte? Lo scopro a Bologna, dove un coloratissimo cartellone mi suggerisce di entrare nel cortile di Palazzo Albergati. Un gentile addetto del museo mi indica un portone da cui si intravedono brillare altri colori e delle lucine.

Entro, ed è subito chiaro che mi trovo in un dispositivo multisensoriale in cui stimoli di varia natura si contendono la mia attenzione. Più che il giardino annunciato dal titolo della mostra, una giungla. Una videopresentazione ne spiega i concetti-guida in parole semplici.

È evidente che l’allestimento si rivolge a tutte le età, rinunciando all’aura intellettualistica che in tante manifestazioni artistiche condanna gli spettatori giovanissimi capitati lì coi parenti a incomprensione e noia mortale.

Una veduta dell’allestimento con le giraffe di Sandro Gorra.

Il fascino sottile della biodiversità

Mentre connetto mentalmente i discorsi del video – il rispetto della diversità animale e la convivenza armoniosa tra specie viventi nel lavoro degli artisti in mostra – alle mie ricerche sul teriomorfismo postumanistico, vengo calamitata verso le prime opere del percorso, due tondi: i disegni Disjecta Membra di Andrea Nurcis ribadiscono con cruda eleganza la continuità tra umani e altri animali, evidenziando al contempo il lato oscuro della storia delle relazioni tra specie, costellata da forzate separazioni ontologiche e conseguenti discriminazioni e violenze fisiche. Sprigionano un cupo fascino e mi sembrano un’ouverture del percorso più che pertinente.

Andrea Nurcis, Disjecta membra, 2020, tecnica mista, cm 40×60.

Il mood cupo e riflessivo è destinato a sfumare presto con la musica celestiale, eterea e fin troppo armoniosa che proviene dalla sala successiva. Giro l’angolo e mi ritrovo nei Mondi Incantati, videoinstallazione immersiva di supporto al percorso mostra a opera di Art Media Studio Firenze, dove incontro un soffice unicorno bianco dalla capigliatura lunga e svolazzante. Intorno a me piante sinuose, bagliori, rugiade celestiali e farfalle.

Cerco invano di ridiventare la bambina a cui sarebbe piaciuto tutto questo, ma è ancora troppo vivo il ricordo di Nurcis, inoltre sospetto che da un momento all’altro un lurido mostro arrivi a inghiottire l’unicorno – nel frattempo tramutato in cervo leopardato – e anche me. A ogni modo, capisco che questa fanta-biodiversità sublimata e glamour è un segno dei tempi: rispecchia l’utopia di una natura integra, pura, levigata e anche incredibilmente igienica, priva di effetti collaterali fastidiosi come la puzza del pelo bagnato, gli schizzi di fango, i parassiti, le cose viscide, l’umidità elevata, il troppo caldo e il troppo freddo. Mi  provoca un senso di perdita, di impossibilità, un’idea di simulacro.

Max Papeschi, We Love Hiroshima!, 2010. opera digitale, 2010-2020, cm 49×64.

Tra Mickey Mouse e giraffe senza macchie

Procedo sotto lo sguardo comprensibilmente malinconico-rassegnato degli animali circensi ritratti da Marco Bettio per tentare di infilarmi nel misterioso grande bovino abitabile di Mario Consiglio, ma sono troppo ingombrante, devo accontentarmi di sbirciare attraverso i buchi della superficie-pelle nello spazioso mondo interiore dell’animale, che presenta caratteri architettonico-paesaggistici anziché anatomico-fisiologici. Mi viene in mente un paragrafo del manifesto teriomorfo compilato dallo zooantropologo e filosofo Roberto Marchesini: Il corpo teriomorfico è palcoscenico di accoglienza, ospita l’altro e si esprime attraverso di lui, ma è anche estasi, pellegrinaggio e germinazione nell’alterità; è fascinazione di un paradigma fondato sulla condivisione.

Lascio la dimensione interna del bovino e mi ritrovo nell’ambiente più metropolitano della mostra, dove la sofisticazione del tema animale vira sul piano sociologico: le facciate dei palazzi sono tappezzate con le immagini di Max Papeschi che ibrida icone animali massmediologiche apparentemente innocue – da Mickey Mouse a Kermit – con i protagonisti della più feroce cronaca politica umana; mentre in mezzo alla strada rumorosa mi aggredisce uno scheletrico T-Rex rosso, che dopo il primo impatto spaventoso rivela la sua anatomia da giocattolo sapientemente plasmata da Giorgio Lupatelli.

Marco Mazzoni, Hyperfocus, 2022, matite colorate su carta, cm 65×46.

Poco più avanti, grazie alle grandi sculture di Sandro Gorra scopro il sorprendente nesso zoopoietico tra Marilyn Monroe e il manto pezzato di una giraffa e, soprattutto, vengo stimolata a confrontarmi con l’interessante ipotesi della perdita della maculatura dell’animale: quale pressione selettiva produce una tale mutazione? È possibile che, nell’ottica del Survival of the Fittest, l’evoluzione in questo momento storico possa premiare gli individui monocromi e senza macchia?

Lascio la prima parte del percorso, anzi, il primo tempo, come suggerisce il cartellone iniziale, perché è vero che oltre al lavoro scenografico l’allestimento gode di un complesso apparato illuminotecnico che cala tutto nel semibuio e fa emergere le opere con un effetto decisamente teatrale-cinematografico. Uscire nel cortile e avviarmi su per le scale produce lo stesso effetto della riaccensione delle luci di sala nella pausa dello spettacolo.

Chiara Calore, Ibridi, 2023, olio su tela, cm 170×190.

Branchi di cani e caimani frattali

Varcata quindi la soglia del secondo tempo mi accoglie il branco di cani implosi di Velasco Vitali, non hanno occhi e il loro manto è spento e liso, ma sento che possiedono dei poteri che noi umani non possiamo comprendere. Anche nella sala successiva il fascino animale si compie per sottrazione: lo gnu, lo squalo e gli insetti di Mario Ricci manifestano le loro archetipiche sagome seminascoste tramite una drammaturgia neo-spazialista che evoca al contempo presenza e assenza dell’animale.

Entro nella prossima stanza, attratta da due grandi dipinti enigmatici ad opera di Chiara Calore, le cui coreografie frammentarie zoomorfe sembrano suggerire l’obsolescenza di qualunque concetto di gerarchia nel mondo delle specie viventi.

Poi mi accorgo di un animale inedito che striscia per terra: Il caimano frattale assemblato da Giovanni Albanese, tanti piccolissimi caimani che ne formano uno grande, che mi fa ragionare sull’idea di organismo collettivo, idea solitamente più associata all’entomologia. Ma qui siamo nel regno degli animali fantastici, il cui interesse si fonda anche sulle inedite combinazioni fra soggetti e qualità che aprono nuove vie di pensiero.

Massimo Giacon, Love Carrot, 2008, ceramica Superego, cm 60×29×24.

Animali creatori di mondi

Vado oltre e mi ritrovo in una sala dove mi attendono due icone cult. Anche se diversissime tra loro sono assimilabili da un’aura da Rock Star, dall’impossibilità di passare inosservati: il coniglio fluidificato di Massimo Giacon e il pesce-vulcano di Fulvio Di Piazza, risultati dell’eccellenza dei loro creatori nei rispettivi campi d’azione – design/fumetto/illustrazione/scultura il primo, pittura il secondo, e della loro enorme abilità di declinare l’animale come creatura fantastica a prescindere, pertanto la sala mi sembra un piccolo core della mostra. Non a caso l’ambiente è caratterizzato da varie tonalità di rosso delle pareti e delle brevi schede curatoriali sovrapposte. Queste ultime, tra l’altro, sono presenti per tutti gli artisti in mostra, introdotte da titoli-motto che di volta in volta evidenziano le nostre affinità con le creature-opera: siamo istinto, siamo predatori, siamo messaggeri e via dicendo. Nel caso di Di Piazza il concetto è particolarmente azzeccato: siamo mondi. Infatti, la sua creatura stratificatissima, così come la maggior parte delle altre creature in mostra, sembra voler rovesciare l’opinione del filosofo Martin Heidegger che reputava l’animale povero di mondo e l’uomo creatore di mondi. Questo pregiudizio, nato dalla tradizionale logica antropocentrica che ha plasmato la civiltà attuale, in questa mostra, in cui l’animale genera immaginari, viene decisamente confutata.

Dario Ghibaudo, Sex pedibus animalis caudam pisciorum, cemento, polvere di marmo, resina, cm 118x80x143.

Museo di Storia innaturale

Ma anche nella prossima stanza ci sono dei protagonisti assoluti. Il mood è profondamente diverso, sono avvolta dal verde e circondata dalle meravigliose, pallide creature plastiche di Dario Ghibaudo. Sono figure in bilico tra varie specie, molto vicine al mio personale senso estetico della contaminazione. Mi sembrano incredibilmente graziose, esseri in cui il flusso scorre senza ostacoli tra umano e animale. Vorrei sostare qui un pochino, mi siedo nella soffice erba finta a meditare sul significato del titolo delle opere, Museo di Storia Innaturale, perché non mi è chiaro come lo status ibrido delle creature si relazioni al concetto dell’innaturalità: ho sempre pensato che il motore dell’evoluzione biologica sia fondamentalmente l’ibridazione. Ma forse l’artista si riferisce invece alla chimera come simbolo di devianza dall’idea di ordine naturale divino (come nel caso delle rappresentazioni medievali del diavolo) e ne celebra il fascino vietato?

Mario Consiglio, Crock (coccodrillo), 2011, resina, legno, muschio, oro, cm 23×115×25. Foto Vincenzo Germino.

Mi rialzo bruscamente perché mi accorgo che non sono sola nella sala. C’è anche un signore di una certa età con una barba enorme che vaga da una scultura all’altra, sembra parecchio concitato, sta prendendo appunti e scarabocchiando in un taccuino. Quando si accorge che lo sto osservando, imbarazzato, farfuglia qualcosa come “monstrorum historia”.  Il signore mi provoca un misto tra simpatia e profondo rispetto e lascio a malincuore la sala verde degli ibridi sinuosi, ma poco lontano si sentono dei boati e dei ruggiti e mi si apre davanti un vasto spazio di un inatteso color rosa. L’itinerario della mostra, che di stanza in stanza mi immerge in colori e suoni particolari, mi fa pensare a Jakob Johann von Uexküll e al suo concetto della Umwelt, anzi, delle Umwelten, ovvero l’idea che ogni specie costruisce canali di percezioni e relazioni differenti col mondo in base alle proprie dotazioni biologiche e vive quindi in una dimensione differente da quella di altre specie. Inoltre mi rimanda inevitabilmente a un racconto a cui sono legata per affinità poetica e anche per motivi biografici, la casa abitata da animali selvatici, suddivisa in stanze-biotopo, del racconto Più a est di Radi Kürkk di Gianluca Di Dio.

Maurizio Savini, Il dissenso di un uomo, 2023, mat, fiberglass, chewingum, cm 130x126x98 cm. Foto Pietro Dessì.

Ibridi e primati

Tornando alla Umwelt rosa, scopro lui, anche se di spalle è un vero front man, un enorme primate in grandezza naturale, rosa come il suo habitat. Pare sia fatto di gomme da masticare big bubble (mi piacerebbe sapere se usate o nuove) e si sta comprensibilmente ammirando allo specchio. Lo aggiro per guardarlo in faccia, l’esperienza è notevole, mi provoca un brivido. Mi chiedo se solo io ho notato una somiglianza spiccata con un certo leader ingombrante. Il Dissenso di un uomo di Maurizio Savini mi fa pensare a un ritratto lombrosiano al contrario: i tratti umani individuabili nel volto di un animale sono forse indicatori di un’inclinazione al crimine del soggetto? E la stazza del gorilla gommoso, di un’incredibile fitness darwiniana in campo massmediologico, non è forse anche un emblema del Survival of the Fakest? Alla fine mi tocca comunque congedarmi dall’impressionante animaloide, per scoprire nella prossima e più intima nicchia biologica, gli interessanti ed esteticamente riusciti meccanismi ibridanti di Camilla Ancilotto, ludiche testimonianze dell’interscambio – o forse dell’impossibilità di separazione – tra natura e cultura.

Camilla Ancillotto, Dionysus 1, 2017, olio su legno, cm 86×117.

Magnetismo animale

Non mi rimane che accedere all’ultima stanza, è una dark room, dove vengo esposta ad ulteriori dosi di magnetismo animale ad opera di Giorgio Lupatelli. Sono in trappola, nel mirino di un primate e di un gufo giganti i cui ritratti acrilici emergono dal buio senza margini visibili. Il loro attacco non è fisico, mi sbranano a livello concettuale, suggerendomi che L’origine delle specie, per colpa anche mia, presto potrebbe trasformarsi nella fine delle specie, visto come va il mondo attuale. Cerco una via di fuga, è tutto nero come in un buco di Anish Kapoor, inciampo in uno scurissimo aracnide gigante che striscia per terra, ma riesco a sollevarmi prima di un eventuale assalto e alla fine intravedo un piccolo corridoio di uscita.

Nicola Pucci, Leone con bambino II, 2022, olio su tela, cm 150×135.

Esco per strada stordita. Via Saragozza sembra grigia e un po’ offuscata. Mentre avanzo incrocio lo sguardo spento di un signore che passeggia e avverto che emana un odore interessante, un misto di tabacco, caffè, vecchio armadio e feromoni. Non posso fare a meno di avvicinarmi e annusarlo. Lui mi spinge via infastidito: “Ma come si permette? Cos’è, un animale?”.

Giorgio Lupattelli, The Origin of Species, 2018, acrilico su mdf telato, cm 180×180.

Ecco, non so se c’era, non l’ho vista, ma la scheda riassuntiva di tutta la mostra potrebbe avere come titolo: siamo animali. Animali creatori di mondi, grazie allo scambio con altri animali.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu consiglia

Iscriviti alla Artuu Newsletter

Il Meglio di Artuu

Ti potrebbero interessare

Seguici su Instagram ogni giorno