Wish: i desideri sono traiettorie che si declinano al futuro

Pochi studi cinematografici hanno un’identità così marcata da poter celebrare la propria storia creando un film ad hoc. Disney è uno di questi. Tutte siamo cresciute e cresciuti con i film Disney, conosciamo come sono i loro racconti, le loro principesse, i loro cattivi, la loro magia. 

Dopo aver cannibalizzato il suo catalogo per i remake live-action, Disney è finalmente riuscito a fare un film distillato e forgiato nelle pieghe della propria identità: Wish, 62esimo classico degli studios, diretto da Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, nasce con l’intenzione di rendere omaggio alla sua storia e di ricordarci i primi film dello studio di Walt Disney, ma con la sfida di fare un lungometraggio per il pubblico di oggi, cento anni dopo la fondazione di The Walt Disney Company. Chris Buck e Fawn Veerasunthorn sono riusciti a far sì che Wish ricordi il passato senza smettere di parlare al presente.

Wish ci porta nel regno di Roses, un’isola fondata dal Re Magnifico. Questo monarca è riuscito a padroneggiare le arti magiche ed è in grado di estrarre il desiderio più profondo dei suoi sudditi per metterlo al sicuro. Comprendendo che le speranze e i sogni sono una potenziale fonte di malcontento nella sua popolazione, Magnifico confisca i desideri più cari del suo popolo e li tiene al sicuro, concedendo occasionalmente di avverarne uno. Asha, una giovane donna che aspira ad essere apprendista del re, scopre che Magnifico non ha detto loro tutta la verità sui desideri e si rende conto che spogliare le persone delle loro più care aspirazioni non è una solida base per una società felice. Asha finisce per chiedere aiuto alle stelle, e una di loro risponde alla sua chiamata. 

Come dicevamo sopra, Wish è un omaggio alla storia e alla tradizione degli studios, con numerosi riferimenti e citazioni ad altri classici dell’animazione, come Pinocchio, Il Re Leone, La bella addormentata nel bosco, La Sirenetta, Aladdin, Bambi e Frozen. Il film si ispira in parte alla celebre canzone “When You Wish Upon a Star”, presente nella colonna sonora del classico Pinocchio (1940), e presenta inoltre una colonna sonora originale composta da David Metzger, con canzoni scritte da Julia Michaels e Benjamin Rice. 

Wish vanta un cast vocale di alto livello, sia nella versione originale che in quella italiana. Nella versione originale, i protagonisti sono doppiati da Ariana DeBose (Asha), Chris Pine (Re Magnifico), Alan Tudyk (Valentino, il fedele consigliere del re), Angelique Cabral (Regina Amaya, la defunta moglie del re), Victor Garber (Sabino, il saggio mentore di Asha) e Evan Peters (Simon, il migliore amico di Asha). Nella versione italiana, le voci sono affidate a Gaia Gozzi (Asha), Michele Riondino (Re Magnifico), Amadeus (Valentino), Ilaria De Rosa (Regina Amaya), Carlo Valli (Sabino) e Federico Campaiola (Simon). 

Wish è un film che vuole celebrare il valore dei desideri e della speranza, temi cari alla filosofia Disney. E non solo. Ci sono moltissimi rimandi alla sua storia del cinema e dell’animazione, con storie e scenari che rimandano allo stile dei primi film Disney. In nessun momento ci si dimentica che questo film vuole essere un simbolo dei suoi cento anni di storie, ed è per questo che è pieno di riferimenti ed easter egg. Però questo aspetto omaggiante e replicante non soffoca il film o l’avventura di Asha. Wish è, prima di tutto, una favola a sé, e si gode anche senza aver visto un solo film Disney.

Wish ha magia, umorismo, ha tutto ciò che si può chiedere a un film Disney. Non arriva a sorprendere come fa Encanto con la sua attenzione alle aspettative familiari, o come Frozen e la sua epica classica che già ricordava molto lo spirito della Disney.

Visivamente Wish brilla con un’estetica molto particolare, che incontra sia il look acquerello delle precedenti opere d’animazione che lo stile di animazione dell’era del computer. La piccola stella che aiuta la protagonista assomiglia più a una creatura partorita dalle mani di Hayao Miyazaki che al tipico patrimonio magico della fabbrica Disney. Sorprende anche l’idea di una sorta di ritorno al musical classico di Hollywood (le scene cantate servono a far avanzare la trama invece di limitarsi di commentarla). 

La struttura narrativa rivela un messaggio potente sull’importanza dei desideri nelle nostre vite, un tema che risuona sia per il pubblico più giovane che per quello più anziano. I desideri sono traiettorie che si declinano al futuro: senza di essi perdiamo scopo e senso della vita. La ricerca di raggiungere ciò che desideriamo e sogniamo è il catalizzatore per la vera libertà; la nostra incessante volontà di perseguire i nostri obiettivi è cruciale per la realizzazione personale. 

Esplorando ulteriormente questo argomento, Wish affronta le complessità del viaggio di scoperta personale che tutti viviamo, rappresentato dalla protagonista, Asha, che diventa l’incarnazione vivente dei desideri che modellano la nostra identità. Senza desiderio non c’è futuro, e il segno di Wish è quello di enfatizzare l’immobilismo di questa realtà abitata da Asha, un mondo bloccato in un eterno presente in cui non si hanno direzioni, non ci sono proiezioni, non abitano vere identità perché non esistono aspirazioni a forgiarne l’esistenza. Quel che Wish riesce a compiere è un omaggio alla sua eredità, ricreando una sorta di origin story della Casa del Topo, una favola che, abbracciando il centenario della Disney, consegna nelle nostre mani un classico che disegna traiettorie da percorrere sempre emozionanti e suggestive.

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