Una Monna Lisa inedita. Ma è di Leonardo?

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Una Monna Lisa inedita (anche se per i più esperti leonardisti è una vecchia conoscenza), più giovane nell’aspetto della Gioconda conservata al Louvre, immersa in un paesaggio incorniciato da colonne, presentata come una copia originale di Leonardo da Vinci, ovvero antecedente di una decina d’anni al dipinto parigino, è stata svelata, con tanto di suspense teatrale, nei giorni scorsi a Torino, in una delle sale della Promotrice delle Belle Arti, benemerita associazione ottocentesca con sede al parco del Valentino.

Il quadro, olio su tela, non su tavola, quale è nella versione francese accreditata unanimemente, resterà in esposizione, protetto da una teca infrangibile e suggestivamente illuminata, fino a fine maggio 2024 (per i dettagli sulle visite www.mostraprimamonnalisa.com).

L’iniziativa è a cura della Mona Lisa Foundation, con sede a Zurigo, organizzazione senza scopo di lucro che da una quindicina d’anni si occupa di promuovere l’autenticità del quadro in mostra oggi a Torino, esposto al termine di lunghi studi e adeguati restauri, in collaborazione con Sm.Art e WeAreBeside, società produttrice di eventi e mostre d’arte la prima e specializzata in allestimenti creativi la seconda.

L’opera in questione, come è stato spiegato nel corso della presentazione in anteprima, è di fatto una versione sostanzialmente assai simile al ritratto del Louvre, salvo i dettagli dello sfondo ed evidenti differenze di stile e di realizzazione tecnica rispetto agli usi leonardeschi, nota da almeno un secolo come la Monna Lisa di Isleworth, dal nome del collezionista inglese che la acquistò nel 1914 da proprietari del Somerset, che l’avrebbero avuta in possesso fin dal Settecento.

I promotori giurano sulla legittimità dell’attribuzione del ritratto alla mano di Leonardo, attestandone la primogenitura sulla realizzazione della versione più nota, databile cioè alla seconda metà del XVI secolo, e squadernano una mole impressionante di prove e controprove tecnico-scientifiche e storico-artistiche. Già note al mondo scientifico leonardesco fin dal 2012, appunto, quando la fondazione svizzera rese pubblici decenni di studi approfonditi sul quadro.

Non sono mancati, tuttavia, fin dall’annuncio della inaugurazione della mostra torinese, gli strali scettici sull’operazione. 

Il sottosegretario alla Cultura e critico d’arte, Vittorio Sgarbi, l’ha subito bollata come una “patacca del Seicento”, mentre il docente e storico dell’arte, autore di numerose pubblicazioni e titolare di cariche prestigiose nell’ambito delle attività di studio su Leonardo, Pietro Marani, pur ripromettendosi di andare personalmente a vedere a Torino la versione di Isleworth, si spinge a riferire che il dipinto “non pare assolutamente riconducibile alla mano di Leonardo”. 

Marani, a sostegno della sua convinzione che il dipinto su tela esposto non sia altro che una delle numerose copie realizzate in passato della Gioconda, “questa, in particolare, pare proprio di mano di un copista francese, eseguita subito dopo avere visto l’originale a Fontainebleu (presso il re di Francia, come scrive il Vasari, ndr), all’esame dei toni cromatici, tipici del periodo pittorico francese”, aggiungendo pure che “l’esemplare del Prado appare molto più bello e credibile”.

Gli stessi organizzatori della mostra, in effetti, hanno più volte precisato, nonostante la certezza enunciata sulla bontà del quadro, che la critica rimane divisa sull’attribuzione, a dispetto degli studi effettuati. Non resta che andare a vedere la Gioconda ospite a Torino. L’effetto registico, scenografico dell’allestimento è certamente di grande impressione.

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