Un silenzioso riscatto: la ribalta delle piante a Parma

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«Visitare una mostra e ritrovarsi a sfogliare un album di famiglia, in cui a prendere vita sotto i nostri occhi non sono i ricordi privati ma le memorie collettive e cangianti dei nostri rapporti con le piante nel corso di oltre 6 secoli».

Impronte. Noi e le piante è una mostra gratuita che ha sede in Palazzo del Governatore fino al 1° aprile, realizzata dall’Università di Parma in collaborazione con il Comune e il sostegno di Fondazione Cariparma, Gruppo Chiesi e Gruppo Davines, il cui obiettivo è l’indagare l’evoluzione del legame tra botanica e visual culture. L’esposizione ambientata nelle spaziose sale del palazzo parmigiano è un dialogo costante tra storia e nuove tecnologie, in cui l’elemento accomunante è la botanica, la natura, o meglio le sue impronte. Duecento immagini, provenienti da prestatori esteri (Real Jardin Botanico di Madrid) e locali (Orti Botanici di Padova, Bologna, Pavia, così come l’Erbario Centrale Italiano di Firenze) illustrano in un racconto visivo e testuale l’evoluzione della botanica in relazione alla cultura visuale.

Craig P. Burrows, Trappole di Sarracenia sp., fotografia a fluorescenza visibile indo tta da luce ultravioletta (UVIVF), 2023. Per gentile concessione dell ’autore

Il viaggio che lo spettatore intraprende inizia dagli erbari quattrocenteschi e giunge in un racconto poliedrico e cangiante sino alle tecnologie più avanzate, messe a servizio dell’ambiente e della biodiversità. Gli oggetti figurativi in mostra comprendono stampe in nature printing, xiloteche, fotografie moderne, taccuini, illustrazioni, immagini satellitari, risonanze magnetiche che consentono di restituire mediante sguardi eterogenei una prospettiva sempre nuova della natura in tutte le sue forme. La mostra accoglie lo spettatore con Artficial Botany, un’ipnotica installazione visiva realizzata da Studio Fuse* che narra il processo vitale della pianta a partire da una serie di illustrazioni botaniche dell’epoca.

Il percorso della mostra è scandito da dieci sezioni, suddivise in due macroaree: L’epoca del disegno, che indaga il racconto illustrato delle piante prima ancora dell’avvento della stampa (ad esempio attraverso Plinio il Vecchio Naturalis Historiae, manoscritto su pergamena attribuito a Cristoforo Cortese dell’inizio del XV secolo), attraversando i meandri dell’oggettiva illustrazione scientifica che indaga senza filtri, ma con un’oculata attenzione gli elementi della natura soggetta a studi e approfondimenti. E ancora A scuola di botanica in cui alle illustrazioni botaniche si alternano i modelli didattici in cartapesta, come quelli eseguiti da Robert Brendel & figli nel XIX secolo.

Luigi Gardoni, Erbario, 1836-1878. Parma, Università degli Studi, Biblioteca dell’Orto Botanico

L’esposizione, a metà strada tra arte e scienza, si sofferma su un interessante aspetto, ovvero Il mondo delle illustratrici: la rappresentazione naturalistica investe la sfera professionale femminile, «perché è proprio passando per la porta dell’illustrazione botanica che molte donne hanno potuto accedere al mondo delle scoperte scientifiche», fino ad allora appannaggio dell’uomo. Fiori all’occhiello di queste sezioni sono Dissertatio de generazione et metamorphosibus insectorum Surinamensium di Maria Sibylla Merian e A curious herbal di Elizabeth Blackwell. L’ultima sezione de L’epoca del disegno è composta dall’Erbario Gardoni, ovvero una raccolta eclettica di oltre diecimila cartelle organizzata tra il 1836 e il 1878 e ripresentata al pubblico solo recentemente, dopo una permanenza duratura negli armadi dell’Orto Botanico.

Il rapporto apparente con la città è simboleggiato dall’esposizione degli erbari di personaggi tra cui Luigi Gardoni, Berta, Guatteri e dalla donazione dei realistici modelli in cera dei funghi acquistati da Maria Luigia d’Austria. È un progetto, questo, che pare diventare ancora più significativo per via dell’apertura dei lavori di ristrutturazione dell’Orto Botanico di Parma.

01 – 02 Louis Van Houtte, Flore des serres et des jardins de l’europe: ou descriptions et figures des plantes les plus rares et les plus meritantes, nouvellement introduites sur le continent ou en Angleterre, Vol. 3-1847, Vol. 8-Louis Van Houtte Editeur, Gant, 1853. Parma, Università degli Studi di Parma, Biblioteca dell’Orto Botanico

L’altra macroarea indagata, intitolata L’epoca della tecnologia, espone illustrazioni creative e strabilianti ottenute per mezzo di moderne tecniche e tecnologie come la risonanza magnetica, la spettrometria di massa, o tramite l’utilizzo di erbari digitalizzati per lo studio della qualità dell’aria e della misura della biodiversità forestale. L’applicazione delle nuove tecnologie per lo studio delle biodiversità vegetale e della qualità degli ambienti consente di restituire una piena centralità e dignità a questi organismi inanimati, permettendo di riconsiderarli in quanto esseri complessi e certamente indispensabili.

Le fotografie e i ritratti spettrografici di artisti-scienziati contemporanei tra cui Craig, Burrows, Kesseler, Martinek raccontano una natura caleidoscopica e astratta ai limiti dell’artificio.

La mostra è una rivoluzione silenziosa delle piante, quegli organismi silenti, inerti, discreti che spesso un po’ distratti dalla vita di tutti i giorni, lasciamo appassire o peggio morire. A tal proposito Renato Bruni, direttore scientifico dell’Orto Botanico della città di Parma scrive: «Si usa l’espressione plant blindness per indicare la nostra scarsa capacità di notare le piante nella vita di tutti i giorni». Impronte è una rivalsa, un modo «per evidenziare come invece studiosi e ricercatori abbiano sviluppato nei secoli una grandissima capacità di osservazione verso questi organismi, scoprendone gradualmente caratteristiche e peculiarità». L’esposizione si introduce nel mondo delle arti visive come un connubio riuscito tra scienza e creatività, tra natura e artificio. È un album di famiglia della natura stessa, che lo spettatore è invitato a sfogliare e rivivere. «Il racconto delle nostre relazioni è fatto di impronte visive. Seguirne le tracce ci aiuta a rivivere emozioni, a fare ordine dei nostri rapporti col mondo, a raccontare l’evoluzione di valori, mode e convenzioni. È stato ed è così anche tra noi e le piante».

08 Craig P. Burrows, Infiorescenza di Monarda sp., fotografia a fluorescenza visibile indotta da luce ultravioletta (UVIVF), 2016. Per gentile concessione dell’autore

«Visitare una mostra e ritrovarsi a sfogliare un album di famiglia, in cui a prendere vita sotto i nostri occhi non sono i ricordi privati ma le memorie collettive e cangianti dei nostri rapporti con le piante nel corso di oltre 6 secoli».

Impronte. Noi e le piante è una mostra gratuita che ha sede in Palazzo del Governatore fino al 1° aprile, realizzata dall’Università di Parma in collaborazione con il Comune e il sostegno di Fondazione Cariparma, Gruppo Chiesi e Gruppo Davines, il cui obiettivo è l’indagare l’evoluzione del legame tra botanica e visual culture. L’esposizione ambientata nelle spaziose sale del palazzo parmigiano è un dialogo costante tra storia e nuove tecnologie, in cui l’elemento accomunante è la botanica, la natura, o meglio le sue impronte. Duecento immagini, provenienti da prestatori esteri (Real Jardin Botanico di Madrid) e locali (Orti Botanici di Padova, Bologna, Pavia, così come l’Erbario Centrale Italiano di Firenze) illustrano in un racconto visivo e testuale l’evoluzione della botanica in relazione alla cultura visuale. Il viaggio che lo spettatore intraprende inizia dagli erbari quattrocenteschi e giunge in un racconto poliedrico e cangiante sino alle tecnologie più avanzate, messe a servizio dell’ambiente e della biodiversità. Gli oggetti figurativi in mostra comprendono stampe in nature printing, xiloteche, fotografie moderne, taccuini, illustrazioni, immagini satellitari, risonanze magnetiche che consentono di restituire mediante sguardi eterogenei una prospettiva sempre nuova della natura in tutte le sue forme. La mostra accoglie lo spettatore con Artficial Botany, un’ipnotica installazione visiva realizzata da Studio Fuse* che narra il processo vitale della pianta a partire da una serie di illustrazioni botaniche dell’epoca.

Il percorso della mostra è scandito da dieci sezioni, suddivise in due macroaree: L’epoca del disegno, che indaga il racconto illustrato delle piante prima ancora dell’avvento della stampa (ad esempio attraverso Plinio il Vecchio Naturalis Historiae, manoscritto su pergamena attribuito a Cristoforo Cortese dell’inizio del XV secolo), attraversando i meandri dell’oggettiva illustrazione scientifica che indaga senza filtri, ma con un’oculata attenzione gli elementi della natura soggetta a studi e approfondimenti. E ancora A scuola di botanica in cui alle illustrazioni botaniche si alternano i modelli didattici in cartapesta, come quelli eseguiti da Robert Brendel & figli nel XIX secolo. L’esposizione, a metà strada tra arte e scienza, si sofferma su un interessante aspetto, ovvero Il mondo delle illustratrici: la rappresentazione naturalistica investe la sfera professionale femminile, «perché è proprio passando per la porta dell’illustrazione botanica che molte donne hanno potuto accedere al mondo delle scoperte scientifiche», fino ad allora appannaggio dell’uomo. Fiori all’occhiello di queste sezioni sono Dissertatio de generazione et metamorphosibus insectorum Surinamensium di Maria Sibylla Merian e A curious herbal di Elizabeth Blackwell. L’ultima sezione de L’epoca del disegno è composta dall’Erbario Gardoni, ovvero una raccolta eclettica di oltre diecimila cartelle organizzata tra il 1836 e il 1878 e ripresentata al pubblico solo recentemente, dopo una permanenza duratura negli armadi dell’Orto Botanico.

Il rapporto apparente con la città è simboleggiato dall’esposizione degli erbari di personaggi tra cui Luigi Gardoni, Berta, Guatteri e dalla donazione dei realistici modelli in cera dei funghi acquistati da Maria Luigia d’Austria. È un progetto, questo, che pare diventare ancora più significativo per via dell’apertura dei lavori di ristrutturazione dell’Orto Botanico di Parma.

L’altra macroarea indagata, intitolata L’epoca della tecnologia, espone illustrazioni creative e strabilianti ottenute per mezzo di moderne tecniche e tecnologie come la risonanza magnetica, la spettrometria di massa, o tramite l’utilizzo di erbari digitalizzati per lo studio della qualità dell’aria e della misura della biodiversità forestale. L’applicazione delle nuove tecnologie per lo studio delle biodiversità vegetale e della qualità degli ambienti consente di restituire una piena centralità e dignità a questi organismi inanimati, permettendo di riconsiderarli in quanto esseri complessi e certamente indispensabili.

Le fotografie e i ritratti spettrografici di artisti-scienziati contemporanei tra cui Craig, Burrows, Kesseler, Martinek raccontano una natura caleidoscopica e astratta ai limiti dell’artificio.

La mostra è una rivoluzione silenziosa delle piante, quegli organismi silenti, inerti, discreti che spesso un po’ distratti dalla vita di tutti i giorni, lasciamo appassire o peggio morire. A tal proposito Renato Bruni, direttore scientifico dell’Orto Botanico della città di Parma scrive: «Si usa l’espressione plant blindness per indicare la nostra scarsa capacità di notare le piante nella vita di tutti i giorni». Impronte è una rivalsa, un modo «per evidenziare come invece studiosi e ricercatori abbiano sviluppato nei secoli una grandissima capacità di osservazione verso questi organismi, scoprendone gradualmente caratteristiche e peculiarità». L’esposizione si introduce nel mondo delle arti visive come un connubio riuscito tra scienza e creatività, tra natura e artificio. È un album di famiglia della natura stessa, che lo spettatore è invitato a sfogliare e rivivere. «Il racconto delle nostre relazioni è fatto di impronte visive. Seguirne le tracce ci aiuta a rivivere emozioni, a fare ordine dei nostri rapporti col mondo, a raccontare l’evoluzione di valori, mode e convenzioni. È stato ed è così anche tra noi e le piante».

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