Trame Mediterranee: intessere dialoghi tra popoli e culture ad Agrigento

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“Come una delle città invisibili di Italo Calvino, Agrigento depone all’ombra certi suoi tesori. Li occulta alla vista e insieme li preserva; li fa dimenticare e poi se ne riappropria come fossero inviolati e nuovi. Così accade per le fabbriche dell’antico complesso edificato nel XIV secolo da Federico Chiaramonte” afferma Beniamino Biondi, direttore del nuovo spazio espositivo Le Fabbriche. Nuovo centro culturale, aspirante polo artistico dei nuovi linguaggi della contemporaneità, Le Fabbriche, sono state inaugurate lo scorso 7 dicembre. Esse riprendono quello spazio che fino al 2017 ha ospitato le ex Fabbriche Chiaramontane (FAM), area espositiva gestita dall’Associazione Amici della pittura Siciliana dell’Ottocento, fondata nel 2009.

Stalker e Antonio de Luca
La Biblioteca Arabo Sicula,2002 
Installazione brani documentari, 
luce di wood, serigrafie su cristallo
Collezione Fondazione Orestiadi

È così che, il complesso architettonico delle ex Fabbriche rivive ripresentandosi al pubblico grazie alla Fondazione Orestiadi di Gibellina, presieduta da Calogero Pumilia. Tramite una convenzione tra il Parco archeologico della Valle dei templi e la Fondazione Orestiadi rivive un luogo adibito a fungere da fulcro artistico e centro di produzione culturale. L’obiettivo del nuovo spazio agrigentino non è dunque una pura e semplice attività di esposizione culturale dell’arte contemporanea, ma fucina di idee artistiche e luogo ricettivo di ferventi stimoli coevi. Le Fabbriche tentano di proseguire lo scopo della Fondazione Orestiadi, che è da sempre, infatti, un centrale polo culturale operante nel settore delle arti contemporanee sul territorio siciliano, nazionale e internazionale. “La Fondazione” afferma Pumilia “dopo Palermo, arriva anche ad Agrigento. È un’iniziativa che ha il senso di un’offerta culturale alla città della provincia nel settore del contemporaneo.» Il nuovo spazio espositivo che si offre come un fervido avamposto culturale e artistico mira a riattivare l’interesse nei confronti della contemporaneità e dell’arte specie in vista di Agrigento Capitale della cultura 2025. Trame Mediterranee è la mostra manifesto con cui la Fondazione Orestiadi si presenta in città. Visitabile fino al 25 febbraio, l’esposizione è curata da Enzo Fiammetta, direttore del Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina istituito nel 1996 e premiato da ICOM (International Council of Museums) nel 2011 per la miglior mediazione culturale. La mostra Trame Mediterranee presenta un nucleo di opere provenienti dalla collezione permanente della Fondazione di Gibellina, nata nel 1992 da Ludovico Corrao, responsabile della rigenerazione, anche culturale, della città dopo il sisma del 1968. “La mostra che si inaugura è in un certo modo la presentazione della vita e della storia della Fondazione” afferma Enzo Fiammetta. Per mezzo dell’ampio e arioso cortile interno, si accede all’area espositiva. Lo spettatore si trova immediatamente alle spalle, affisso, lungo la parete d’ingresso, un grande arazzo dalle cromie blu e bianche. In mostra, dunque, un simbolo della città siciliana di Gibellina: i prisenti, ovvero lunghi drappi ricamati legati al rituale religioso della processione in onore del patrono della città, San Rocco.

È un’usanza, questa, che probabilmente risale a un’antica tradizione islamica. Si respira, dunque, un connubio di culture, di trame, di dialoghi, di voci e lingue sussurrate in uno spazio le cui lontananze fisiche e culturali si azzerano in un discorso unisono. Uno spazio polifonico che però sembra confluire in un armonico concerto. In mostra l’arazzo realizzato da Nja Mahdaoui, ma numerosi sono i prisenti custoditi nella collezione permanente del Museo Civico di Gibellina, tra cui quelli di Pietro Consagra, Alighiero Boetti, Carla Accardi e Isabella Ducrot. Due teche di vetro contengono vasi in ceramica, una delle quali espone due lavori contemporanei della celebre pittrice astratta Carla Accardi, esponente del neo-femminismo italiano e coofondatrice del gruppo Forma 1. L’altra teca presenta le ceramiche smaltate di Pietro Consagra, autore tra l’altro della mastodontica Porta del Belice. Camminando si incorre in piatti di ceramica smaltata ancora di Consagra e Arnaldo Pomodoro; nei bestiari in grafite ritraenti delle scimmie di Alighiero Boetti del 1984 per Ludovico Corrao, firmato Alighiero e Boetti dopo la “duplicazione identitaria” già sperimentata nel 1968 con il fotomontaggio Gemelli.

Ugo La Pietra 
Mediterraneo unito, 2007
Acrilico su tela e terrecotte dipinte
Collezione Fondazione Orestiadi

Lo spettatore è libero di attraversare le culture in mostra e carpirne i significati e le simbologie. Il Mediterraneo, teatro storico, e purtroppo attuale di conflitti, è il fil rouge dei lavori presentati. Ci si imbatte nelle opere di Alfonso Leto (Muezzin, 1990), Vito Bongiorno (Mare nostrum, 2020), Francesco Impellizzeri (Un pop-up algerino, 1992), Innocente (Senza scopo di lucro, 2002), Alfredo Romano (Feritoie, 2004), Giusto Sucato (Scudo, 2000). È un’esposizione significativa, specie in un momento storico come l’attuale, un Mediterraneo arena di tragiche migrazioni, violente contrapposizioni culturali e cruenti scontri politici e umani. La mostra, nel suo piccolo, mira a suggerire un ideale di convivenza pacifica, e lo fa con i colori brucianti di Mario Schifano in Blu scuro del 1984, tramite forme, immagini, cromie che rimandano ad un altro personale, ma collettivo. In quei colori che, nel caso di Schifano, suggeriscono un’idea di Sicilia che splendidamente descrisse a suo tempo Renato Guttuso in Discorsi di gioventù nel 1971: «Tinte forti, perché in Sicilia la luce è così forte che brucia i colori. Se li vuoi far vedere, li devi rinforzare. […] La terra rossa, il giallo dei limoni, ecco i colori che mi sono rimasti nel sangue, nel sentimento. Colori, sensazioni, sono cose che si portano dentro: il mare ovunque lo dipingi è sempre quel mare».

Il fulcro spaziale della mostra è rappresentato dall’installazione del gruppo romano Stalker e dell’artista pugliese De Luca: la Biblioteca arabo-sicula. In uno spazio quadrato cupo, buio che lo spettatore può attraversare, illuminate da luci di wood, sono sospese serigrafie su cristalli che raccontano i luoghi e le tradizioni della Sicilia musulmana, ispirata al volume Biblioteca siculo-araba dell’orientalista Michele Amari edito nel 1857. Attorno alla suddetta installazione ruotano straordinari capolavori di artisti contemporanei: le opere di Lisa Seror, Khaled Ben Slimane, Meyra Yedidsion, degli algerini Hakim Abbaci, Amar Briki e Khoraichi. Si aggiungono le installazioni video di Mustafa Sabbagh http 502: bad gateway e Tierra sin Males dell’americana Susan Kleinberg che riflettono sul fenomeno attuale delle migrazioni. In particolare, quest’ultima proiezione mostra un’immagine quasi ipnotica di una sfera, sembrerebbe fragile come cristallo, che ruota febbrile girando su stessa. “L’immagine si distorce, si contorce, sembra primordiale e allo stesso tempo futuristica” scrive il curatore. Risulta interessante la dichiarazione dell’artista: l’immagine al centro della sfera, è un riflesso di un cartello stradale al confine tra Messico e Usa che avverte gli automobilisti di non travolgere le famiglie che percorrono quella strada per fuggire. La fuga, le migrazioni, la terra, i confini, tutte tematiche centrali che trovano spazio e ascolto ne Le Fabbriche, che sognano quel Mediterraneo unito oggetto artistico del lavoro di Ugo La Pietra nel 2007. Un’installazione, questa, che consta di un grande vaso di terracotta rovesciato e molteplici vasi più piccoli con su scritti i nomi dei paesi bagnati dal Mar Mediterraneo, un’opera perno dell’esposizione insieme alla Biblioteca siculo-araba.  

Nja Mahdaoui ( Tunisia) 
Prisente,1993 
Tecnica mista su tela
Collezione Museo Civico “ Ludovico Corrao”

Tutte le opere in mostra, sono prodotti di quel legame necessario che la Fondazione Orestiadi ha voluto intessere negli anni con i popoli, le culture e le voci del Mediterraneo. È presente, inoltre, un bozzetto del manifesto eseguito da Mimmo Paladino per lo spettacolo realizzato al Cretto di Burri nel 1990 per La sposa di Messina, emblema del teatro, dell’arte come straordinaria modalità di sopravvivenza e di rigenerazione urbana e culturale. La scelta di Agrigento da parte della Fondazione Orestiadi come sede di un nuovo spazio culturale sembra un mirato incentivo a un risveglio artistico della città, ancorata allo straordinario, patrimonio culturale rappresentato dalla Valle dei Templi, ma restia all’intessere quei necessari scambi con i nuovi linguaggi dell’arte contemporanea. L’obiettivo della Fondazione è la rigenerazione urbana, culturale e artistica di Agrigento, non intesa come recupero, ma come necessità di aprirsi al contemporaneo, agli influssi brucianti dei nuovi linguaggi, alle nuove idee. L’invito è quello di non rimanere indietro, alla contemplazione di un paesaggio architettonico, culturale e letterario immenso, quale quello in cui viviamo, ma immobile, fermo, sordo al grido dell’arte coeva e dei messaggi che essa deve continuare a trasmettere.

È dunque certamente necessario riconoscere la grandezza immane del patrimonio ereditato, preservarlo e valorizzarlo, ma è necessario un incentivo: quello di continuare a edificare, creare e sperimentare, dialogare per mezzo dei legami con l’arte e la cultura contemporanea, siciliana, nazionale e internazionale. Che sia un inizio per la contemporaneità ad Agrigento con la consapevolezza che l’arte è un vitale elemento, come scrive Fiammetta, “per la ricostruzione della città e di riedificazione dello spirito, luogo di riflessione e rappresentazione delle contraddizioni del nostro tempo, terreno su cui potersi confrontare fuori da ogni conflitto”.

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