Sulla pelle di Paolo Maggis raccontata dallo stesso artista

Getting your Trinity Audio player ready...

Dal 24 novembre 2023 al 18 gennaio 2024, la galleria Fabbrica Eos a Milano, ospiterà Sulla pelle, mostra personale di Paolo Maggis. Artista poliedrico, Maggis racconta attraverso quest’esposizione una sintesi del suo lavoro pittorico degli ultimi anni e ce ne parla nel corso di un’intervista.

Grazie Paolo per averci concesso quest’intervista. Mi piacerebbe parlare del titolo della personale. Da dove nasce la scelta di Sulla pelle?

Il titolo della mostra nasce dall’idea che tutto quello che si muove all’interno della nostra persona, tutto quello che noi sentiamo e viviamo in termini di pensieri, di emozioni e di sentimenti faccia parte del nostro essere. Ogni sorta di esperienza sedimenta dentro di noi, accumulandosi in maniera più o meno inconscia e viene percepita dalle altre persone attraverso il contatto fisico, quindi sulla pelle, come succede ad esempio attraverso un abbraccio. Il contatto epidermico è una sorta di trasmissione di quello che siamo e una forma di accoglienza della meraviglia dell’altra persona. Si tratta di una vera e propria comunicazione non verbale.

Nelle tue opere in mostra, dal punto di vista estetico, ho forse ritrovato più il concetto di sublime che di bello. Sei d’accordo con questo punto di vista?

Si, la presenza del sublime è assolutamente conscia nel mio lavoro anche se non si tratta di una scelta intellettuale. Negli ultimi anni ho fatto uno studio su me stesso per capire chi sono e di cosa ho bisogno, in modo da rappresentarlo nella mia arte. Il concetto contemporaneo di bellezza è estremamente legato alla perfezione assoluta. Nei giorni nostri la diversità o la ferita sono quasi censurate dalla società ma il dolore fa parte della vita, non possiamo fingere che non ci sia, ed è comunque portatore di una sorta di bellezza, considerata chiaramente nella sua forma non canonica. La bellezza come la intendiamo oggi non mi appartiene. La mia attenzione si rivolge ad una forma attrattiva più vicina alla vita, che ha a che fare anche con il dolore e con la morte. È in questi termini che considero la mia arte legata al concetto di sublime, in quanto contempla l’essere umano in senso ampio e completo. Noi non siamo solo grazia e armonia ma siamo carichi di sfaccettature e credo che il sublime riesca a racchiudere i diversi aspetti dell’uomo, sia quelli più dolorosi che quelli belli in senso stretto. Per fare un parallelo con la vita di tutti i giorni, quando ti allontani da una persona cara quello che ti manca di più sono quei suoi aspetti che consideravi difetti e che quando eravate insieme ti davano fastidio, ti irritavano, ma nel momento in cui vengono a mancare ti accorgi di quanto in realtà ti piacessero e te la facessero apprezzare. I difetti sono le chiavi con cui sentiamo l’umanità delle persone

La mostra anticipa l’uscita del tuo prossimo libro TREMORE. Ce ne puoi parlare?

TREMORE è il titolo di una mostra che ha inaugurato da poco in Romagna ed è anche il titolo del libro che racchiude tutti i miei lavori del periodo post covid. Da quando ho ripreso a lavorare dopo la reclusione forzata per la pandemia, ho apportato un taglio radicale dalla mia produzione precedente. Da quel momento ogni cosa che faccio la realizzo come definitiva, nel senso che devo dare il massimo in ogni opera. Lavoro con l’idea che se muoio domani, oggi devo aver realizzato il quadro migliore della mia vita. Il titolo TREMORE si riferisce al tremore dell’anima che si genera dentro di noi quando assistiamo a qualcosa che ci smuove emotivamente, che ci cambia drasticamente. 

Nel 2005 ti trasferisci a Berlino e nel 2008 a Barcellona. Queste città hanno influenzato o modificato la tua arte? E se si in che modo?

Totalmente. Io ho sempre bisogno di nuovi stimoli e soprattutto di conoscere cose che in qualche modo mi mettano sempre in gioco, mettendo in dubbio le mie certezze. Sono andato a Berlino per scappare da Milano, perchè a un certo punto mi sentivo come come imprigionato, non avevo gli strumenti per capire chi ero, sentivo mancare un pezzo di me. A Berlino in realtà non volevo dipingere ma ho resistito poco, dopo due mesi ne sentivo come un bisogno fisico. Qua ho fatto una scoperta molto violenta e molto dura, mi sono cioè reso conto che il mio lavoro era molto debole e doveva ancora crescere tantissimo, me ne sono accorto anche guardando il lavoro degli altri artisti. Avevo ancora molto da imparare, mi sono quindi messo a studiare le tecniche pittoriche, l’uso del colore a olio, l’impaginazione di un quadro e molto altro, assorbendo nuovi elementi grammaticali pittorici e cromatici. Ho poi preso la decisione di lasciare anche Berlino perché nonostante stessi imparando molto, sentivo di perdere la mia natura, come se la mia espressione fosse limitata.

Mi sono trasferito così a Barcellona, città originaria di mia moglie. Questa scelta doveva essere una parentesi nella mia vita, invece si è rivelata la decisione giusta, motivo per cui vivo ancora qui. Questa città mi ha dato tantissimo. Innanzitutto è un territorio ancora abbastanza vergine in merito all’arte contemporanea, quindi gli artisti hanno una libertà assoluta senza influenze importanti. Inoltre l’arte qui è generalmente intellettualizzata e molto legata al sociale, quasi didascalica. Barcellona mi ha permesso di sperimentare tantissimo e di spaziare tra varie discipline artistiche. 

La mia prossima domanda è proprio legata a questa tua multidisciplinarietà. Nasci come pittore in seguito agli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera ma in realtà sei un artista estremamente poliedrico. Oltre a dipingere scrivi per blog e giornali, hai pubblicato un libro di poesie, registri brani musicali e quest’anno hai presentato il tuo primo progetto scenografico al Castello Sforzesco a Milano. In che modo le varie discipline si relazionano nella tua arte? Sono legate da un fil rouge o ogni progetto è a sé stante?

Sono tutte legate, nel senso che io ho sempre amato tante cose contemporaneamente, ad esempio amo tantissimo leggere e ascolto musica perennemente. Tutto questo è sempre stato dentro la mia vita e ha sempre nutrito la mia anima. Io non riesco a pensare all’arte senza la filosofia, senza la letteratura, la poesia o la musica. Naturalmente esiste un ambito che forse sento più mio, perchè mi ci trovo più comodo e in cui riesco a isolarmi completamente dalla realtà ed è proprio quello della pittura. Quando dipingo c’è sempre un momento in cui perdo completamente la concezione di quello che sto facendo a livello conscio, è come se il lavoro andasse avanti da solo. In questa circostanza scompari tu come persona e ti senti veramente in completa armonia con quello che stai facendo. Questa situazione mi porta alla creazione di un linguaggio molto più completo di quello che userebbe la mia coscienza. Io riesco a pensare a quel momento solo come ad un istante di felicità pura.

Definiresti la tua arte appartenente ad una specifica corrente artistica? O comunque ci sono dei movimenti in cui ti rispecchi o con cui trovi dei parallelismi?

Io mi sento vicino a tutto e lontano da tutto. Non ho mai compreso il concetto di corrente artistica sia per le forme d’arte del passato e soprattutto per l’arte contemporanea, in cui c’è un dialogo profondo tra le diverse discipline e una strettissima connessione. La catalogazione di un’opera all’interno di una corrente artistica mi sembra solo una forma di semplificazione di quella stessa creazione e la riduzione estrema di una narrazione molto più ampia. Io non voglio la semplificazione della mia arte, voglio che si racconti la verità nel suo complesso, la cultura non è semplificazione. Il nostro cervello è una macchina complessissima che assorbe ogni input che gli arriva dall’esterno e proprio per questo è impossibile essere influenzati solo da determinati aspetti della vita. La stessa cosa succede per l’arte. La mia pittura, per esempio, alcune volte la sento vicino alla fotografia, altre volte mi sembra vicina all’arte concettuale ma le mie opere non sono solo quello, si tratta anche di immagini figurative. Inoltre, ogni sorta di categorizzazione tende al non contraddittorio ma noi in quanto esseri umani siamo una contraddizione vivente, è inevitabile ed è bello che sia così. 

E se invece dovessi trovare delle parole chiave o dei concetti che esprimano il fondamento del tuo pensiero critico in merito alla tua produzione artistica, quali potrebbero essere?

Il primo è sicuramnete quello della libertà di creazione in ogni sua forma, il secondo concetto è senza dubbio la ricerca del sublime. Con questo intendo che quando guardo un’opera d’arte mi deve smuovere qualcosa dentro, devo provare un cambiamento interiore, mi deve far generare un pensiero anche diverso da quello di cui ero convinto. L’arte mi deve cambiare la vita, non mi interessa che sia bella o meno.

Tornando alla personale Sulla pelle, si tratta di una raccolta parziale dei tuoi lavori degli ultimi anni. Ti chiedo quindi, in che modo è stata fatta la selezione delle opere da esporre?

La mia scelta si basa su una questione prettamente visiva, cerco cioè di creare un percorso in cui inserisco le opere sulla base della loro varietà. Non mi piace esporre opere troppo simili ma voglio invece creare una sorta di alternanza attraverso opere diverse che quindi creino un ritmo incalzante. Per me le opere sono degli elementi singoli con la loro individualità ma che devono necessariamnete convivere insieme nell’esposizione e quindi il loro accostamento deve essere piacevole. Non c’è dietro chissà quale ragione concettuale, devono semplicemente dialogare bene tra loro. 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu consiglia

Iscriviti alla Artuu Newsletter

Il Meglio di Artuu

Ti potrebbero interessare

Seguici su Instagram ogni giorno