Squid Game, parla un player: “Cibo immangiabile e colpi bassi, è tutto vero. Ma lo rifarei domani”

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Chi non ricorda “Squid Game”, la serie coreana, che nel 2021 ha battuto ogni record su Netflix? Nata dall’idea del regista Hwang Dong-hyuk, aveva una trama semplice quanto diabolica: un gruppo di 456 persone provenienti dal sottoproletariato in gravi difficoltà economiche, accetta di partecipare a un gioco mortale, per intrattenere dei potenti uomini d’affari. Gareggiando in una serie di sei tradizionali giochi per bambini, i giocatori mettono a rischio la propria vita, per vincere una somma incalcolabile di denaro. Prende quindi il via un survival drama che si distanzia nettamente dalle tinte patinate e rassicuranti di molte altre produzioni sudcoreane; l’occhiolino infatti è rivolto ad “As the Gods Will” (2014), lungometraggio giapponese che condivide molte delle atmosfere del prodotto seriale Netflix. Nel film del Sol Levante, Shun Takahata è uno studente delle superiori che conduce una vita noiosa, fino a quando un giorno è costretto a iniziare un gioco mortale con i suoi compagni di classe. La sua unica opzione è continuare a giocare e vincere per non morire.

Ma veniamo a noi: in questo momento, sempre su Netflix, è disponibile un reality, di produzione inglese, dove la storia prende vita e diventa realtà. Non c’è però da preoccuparsi, qui il gioco non è mortale e non si rischia la vita.

Squid Game – La Sfida” è ispirato alla nota serie coreana: 456 giocatori, persone in carne e ossa, si sfidano. Uno solo vince il montepremi: 4,56 milioni di dollari. Un cast di concorrenti dalle estrazioni più svariate viene vestito con la tipica tuta verde per poi essere immerso nei set che sono ripresi in tutto e per tutto dagli episodi diffusi su Netflix. Da Un, due, tre stella al gioco del Dalgona (il biscotto di caramello da intagliare senza romperlo), passando per il tiro alla fune e altre sfide all’ultimo brivido, ogni giocatore è sottoposto a uno stress molto elevato, deve cercare alleanze, ma anche guardarsi bene le spalle rispetto agli altri.

“Era tutto così reale, pensi di essere veramente in un gioco in cui rischi di morire”.

Il giocatore numero 161 è l’unico italiano del reality full-immersion. Lorenzo Nobilio ha 27 anni, vive a Londra e fino all’anno scorso lavorava come asset manager. Ci ha raccontato la sua esperienza all’interno del reality: dalle sfide alle strategie, fino alle mele che gli sono costate l’eliminazione.

Lorenzo Nobilio, il player che ha deciso di raccontare la sua esperienza.

Come sei arrivato a partecipare a Squid Game – La Sfida?

“Ci sono arrivato per due motivi direi,  il primo è che mi ero un po’ rotto della vita lavorativa che avevo in quel periodo, non è mai stata la mia passione, quindi, ho visto in questo un’opportunità per avere un sacco di soldi e per riuscire a cambiare la mia vita”.

Come viene fatta la selezione?

“Ho fatto richiesta mandando un modulo con una serie di domande, come “chi sei, cosa fai nella vita e perché vuoi partecipare”, e poi un video di un minuto. Dopo ho fatto diverse interviste in cui mi chiedevano, ad esempio, che tipo di persona fossi, che strategia avessi, ma anche il mio colore preferito”.

Quanto è durata la selezione?

“È stata abbastanza lunga, almeno tre mesi durante i quali mi hanno anche sottoposto ad una visita psichiatrica. A un certo punto ero stanco di tutto questo e mi sono rifiutato di fare altre interviste, tanto che ho pensato di essermi giocato la partecipazione, ho pensato di aver mandato tutto a puttane e invece poi mi hanno chiamato dicendomi che ero stato selezionato e che sarei entrato nel gioco.”

Perché ti hanno scelto secondo te?

“Soprattutto perché sono italiano, a Londra essere italiano aiuta. Ma c’era gente di tutto il mondo anche se prevalevano gli americani”.

Alcuni concorrenti hanno minacciato di fare causa a Netflix per mancata sicurezza nei giochi. Le condizioni erano davvero così estreme? 

“La prima prova (Un, due, tre, stella) è stata forse la più difficile, ho terminato il percorso in sette ore, ma alcuni concorrenti hanno impiegato anche nove ore e quel giorno faceva veramente freddo la temperatura era -2°.  Detto questo, si chiama La sfida quindi se uno pensa di andare lì a fare una vacanza, ha sbagliato, comunque se la cosa fosse diventata ingestibile si sarebbe potuto sempre uscire dal gioco”.

Qual è stata la prova più dura?

“Sicuramente quella del biscotto, non si vede magari in camera, ma pensi veramente di essere in un gioco in cui rischi di morire. Le riprese sono durate due settimane in totale, per me otto giorni”.

Cosa ti faceva più paura?

“Stare in quella stanza con le guardie, senza orologi e percezione del tempo, con così tanta gente ti viene un po’ l’ansia”.

Da vero italiano, ti sei subito fatto notare per il cibo, lo hai anche “rubato”, ma era veramente poco e immangiabile?

“Era il cibo delle peggiori prigioni di Caracas, ma a parte gli scherzi mangiare per quasi due settimane, senza sale, senza pepe, un pollo bollito come in ospedale è la cosa che ti ricordi di più, inoltre erano porzioni minime e per questo con altri concorrenti ci siamo organizzati per “rubare” porzioni in più che poi ci dividevamo. Quando finalmente assaggi cibo vero hai un orgasmo di sapori”.

Mi incuriosisce sapere se avevate un copione da seguire, delle indicazioni.

“Quello che si vede da casa è quello che è accaduto sul set. Non c’erano indicazioni dalla regia né attori, eravamo tutti lì a fare noi stessi, io avrei voluto ci fossero, perché questo creava anche un clima d’ansia pazzesco”.

La tua uscita è stata voluta dalla giocatrice 302, perché non hai accettato le mele che aveva preparato e questa decisione ti è costata l’eliminazione. Te ne sei pentito?

“Ho pensato che con le mele non finisce mai bene, guarda Adamo ed Eva o Biancaneve. La giocatrice 302 insieme a un’altra sono arrivate con un cesto di mele, dicendo che ce ne era anche una rossa, che non avevano tagliato e che non si è vista nel montaggio finale. Io avevo paura e, in modo simpatico, ho detto ‘le mele non le voglio, sono pericolose’. Non era un attacco personale verso la signora. Avevano appena fatto una chiamata in cui un giocatore era stato eliminato”.


Qual è stata la reazione del pubblico alla tua partecipazione?

“Ho avuto commenti controversi, chi mi ha adulato e chi mi ha messo alla gogna, ha influito anche molto la mia uscita a causa della giocatrice 302. Andare contro una donna bianca, americana, cristiana accompagnata dal figlio mi ha attirato gli strali dei benpensanti”.

E la tua apparizione vestito da fiorellino?

“Volevo essere come un vaso di fiori. Questo era il mio desiderio e un po’ lo sembravo davvero, il vestito era stato disegnato da me e realizzato da mia sorella Linda che una maga dell’uncinetto. Naturalmente i commenti omofobi non sono mancati, con foto di Mussolini sotti i post, e scritte del tipo: “ric***one”, “fro**o di mer*a”, “fai schifo”.  Però penso che avrei attirato commenti malevoli, comunque, a meno che non fossi stato un cristiano americano allora sarei stato salvo da ogni malignità. Quello che ho notato è che i commenti peggiori sono arrivati dai miei connazionali, non prendo le cose a livello personale, però forse dovrebbero ringraziare che c’ero io a rappresentare l’Italia in uno dei reality più grandi della storia”.

Senza fare spoiler, chi ha vinto, lo ha meritato?

“Sì, credo che se lo sia meritato, perché sicuramente è stato il migliore, che piaccia o no. Il vincitore se lo merita sempre”.

Cosa ti rimane di questa esperienza?

“Pensandoci adesso, sono molto contento di averlo fatto. Ho conosciuto tanta gente, è stato difficile, è stato emozionante, è stato anche pauroso. È un’esperienza che racconterò ai miei nipoti. Io rifarei tutto uguale, accade tutto per un motivo”.

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