Premio Strega, i 12 finalisti giudicati dalle copertine

Chi lo dice che i libri non si possano giudicare dalla copertina? Adagio antichissimo, in realtà il “non giudicare dalla copertina” (che un tempo stava a significare “non giudicare dalle apparenze”) è oggi, nella società dell’apparenza, un motto più che mai obsoleto. Non solo: appare sempre più sorpassato e anacronistico a maggior ragione oggi, dopo le polemiche suscitate da questa edizione del Premio Strega, in cui la prima selezione è stata fatta sulla bellezza di 82 libri candidati, per un totale (il calcolo è di Mow magazine) di 20.500 pagine da leggere, per i giurati, in soli due mesi; e dopo che Geppi Cucciari ha sbeffeggiato in diretta TV nientemeno che il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, reo di aver ammesso di non aver “proprio” letto tutti i finalisti, nonostante il suo status di giurato (“proverà a leggerli?”, ha chiesto la Cucciari al Ministro, chiosando: “Andando oltre la copertina, intendo”).

Per sfatare questo mito, che i libri non si possano “giudicare dalla copertina”, noi di Artuu abbiamo deciso di ripartire proprio dalle copertine, per provare a raccontare i 12 libri arrivati in finale al Premio Strega, tra i quali il 4 giugno si deciderà il vincitore.

Ecco dunque, in rigoroso ordine alfabetico, la critica, in poche righe, di ogni libro visto dalla sua copertina. Con buona pace di Geppi Cucciari e del Ministro.

Sonia Aggio, Nella stanza dell’imperatore (Fazi editore)

Una bella copertina, pulita, luminosa e sintetica, che ci fa sperare possa essere tale anche lo stile del romanzo (definito “raffinato ed elegante” da Simona Cives, che l’ha presentato come finalista). Raffinata lo è senz’altro l’illustrazione, realizzata da Richard Brown, che ritrae, con mano ferma e uno stile lineare e semplice, un imperatore e una principessa bizantina dell’VIII secolo. Bella, dunque, ma un po’ statica e del tutto priva di guizzi: una copertina perfetta per un saggio sui costumi della nobiltà di corte nel periodo bizantino; un po’ meno, invece, per un romanzone storico che si presuppone (o per lo meno si spera) sia ricco di suspence e di colpi di scena. Non invoglia l’acquisto. Voto: 6 meno meno.

Adrián N. Bravi, Adelaida (Nutrimenti)

La foto di un volto in primo piano, in bianco e nero, sovrapposto a una scrittura minuta e nervosa. È (scopriamo dalla quarta di copertina, che senza quasi volerlo abbiamo letto per superare l’indecifrabilità dalla foto in copertina) il volto di Adelaida Gigli, protagonista di questa biografia. Italiana di nascita, naturalizzata argentina, pittrice, intellettuale e militante antifascista, mamma di due figli desaparecidos, Adelaida ci guarda, col suo volto ancora giovane, dalla copertina del romanzo biografico di Adrián N. Bravi. Lo sguardo, intenso e con un sottofondo di disperazione, sembra voglia comunicarci la vitalità di una donna creativa, intelligente, combattente, che ha molto sofferto. Un po’ statica, ossessiva e quasi ipnotica, asciutta e senza fronzoli, l’immagine ci colpisce con una certa durezza e anche un po’ di fastidio. Invoglia all’acquisto? Difficile dirlo. In ogni caso non passa certo inosservata. Voto: 6 e ½.

Paolo Di Paolo, Romanzo senza umani (Feltrinelli)

Copertina apparentemente ossimorica. Il titolo è Romanzo senza umani, ma la cover mostra squarci di umanità, tratti da un quadro di Bruegel il vecchio, Cacciatori nella neve. Piccoli umani persi in mezzo al blu dipinto di blu. Una copertina che richiama l’idea, cara al poeta John Donne (ma ripresa da Hemingway), che “nessun uomo è un’isola”, perché “ogni uomo è un pezzo del continente, / una parte del tutto”. Elegante, significativa, feltrinelliana doc. Invoglia alla lettura? Tutto sommato sì. Voto: 7 e ½.

Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile (Einaudi)

La foto in bianco e nero e un po’ sfuocata di una ragazza, lo sguardo incerto e intenso, che guarda nel vuoto. L’autrice dello scatto (scopriamo dalla quarta di copertina) è della fotografa ucraina Diana Lyovkina, architetta di Odessa con la passione per le immagini di giovani donne dallo sguardo sempre perso nel vuoto (nelle quali forse identifica la se stessa teenager), le atmosfere rarefatte e un gusto un po’ fané, buono per palati malinconici tardo-adolescenziali. Coerente col titolo del romanzo, L’età fragile, di cui non ci azzardiamo a leggere, non diciamo l’incipit, ma neanche la quarta di copertina. Ci basta quest’immagine. Suggestiva, elegantemente einaudiana, la cover, come di dice, “acchiappa” e pare coerentissima con titolo e (immaginiamo) contenuto del romanzo. Voto: 8.

Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica (minimum fax)

Già il titolo, pur di non immediata comprensione (Autobiogrammatica?), induce a una discreta curiosità, per chi non cerca banali romanzetti d’intrattenimento. L’illustrazione in copertina, che la quarta ci dice essere di mano dello stesso autore, induce qualche curiosità ulteriore. Un po’ patafisica e un po’ cocteauiana (alla Jean Cocteau per intenderci), richiama alla mente esercizi di auto-riflessione, ginnastiche mentali, ripiegamenti sul sé e una malinconia sottile, tenuta saldamente ferma da un forte ego, seppur stretto in una morsa di discreta sofferenza del mondo, come dimostra la posa schiacciata di quello che, dal titolo, immaginiamo essere un autoritratto dell’autore, forse schiacciato dalla presenza ingombrante e vociante del mondo. Rispecchierà il testo, a noi misterioso, dell’autore? Verrebbe da pensare di sì, dato il titolo tutt’altro che scontato, già debitore di per sé di un bel neologismo. Bella, in continuità con lo stile Minimum Fax, la grafica, ridotta a tre soli colori, il bianco, il nero e il verde, azzeccatissima l’idea di far rientrare il logo della casa editrice come corpo integrante del disegno dell’autore, quasi a richiamare un piccolo ma sferzante guizzo erotico che, dalle parti basse del protagonista disegnato, si volge verso l’esterno. Voto: 8 e ½.

Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano (Einaudi)

Le Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi lasciano, fin dal titolo, molto spazio all’immaginazione. L’immagine di copertina, ben inquadrata nel bianco einaudiano, del fotografo israeliano (ma di base a Londra) Daniel Jackont, stilosissimo fotografo di moda con la passione per il cinema della New Wave francese e le atmosfere malinconiche di Godard e di Rohmer, lascia anch’essa spazio a voli pindarici che ben si adattano all’evocativo titolo. Cosa nasconde, la protagonista, sotto le acque da cui spunta quello che il lettore immagina essere il suo volto? Ci si immagina una storia fatta di non-detti, di segreti mai rivelati, di inquietudini nascoste sotto la pelle della quotidianità. Voto: 7 e ½.

Valentina Mira, Dalla stessa parte mi troverai (SEM)

La copertina, di per sé, avrebbe una sua indubbia efficacia. Non è un caso che l’autore, ci informa la quarta, sia un illustratore bravo e conosciuto per numerose altre cover, Marco Ventura, che (ci informa invece internet) “dipinge con i colori ad olio, come i pittori dei secoli passati” (anche i pittori di oggi però, va detto per completezza, lo fanno spesso). L’illustrazione, che rappresenta il close up del busto di una ragazza in camicetta verde, ha un vago richiamo alla pittura di Domenico Gnoli. L’allacciatura della camicetta, però, che è chiusa male, lascia scoperta un’asola, introducendo un elemento di discontinuità e di disturbo. È qua la “crepa” dell’immagine. E la grafica della collana Italian Tabloid di SEM, con il suo strappo alla base che richiama il noir, contribuisce all’atmosfera sospesa da thriller. Purtroppo ci è caduto l’occhio sulla quarta (lo so, dovremmo fermarci alla copertina, ma l’abitudine è una brutta bestia). Di cosa parla dunque Dalla stessa parte mi troverai? Di un vecchio omicidio politico, di resa dei conti tra generazioni, di anni di Piombo richiamati alla mente da ricordi lontani. Bella, dunque, ma a prima vista un po’ sviante. Poco o nulla, nella copertina, sembra lasciar presagire il contenuto del romanzo. Incongruente. Voto: 5 e ½.

Melissa Panarello, Storia dei miei soldi (Bompiani)

Per ammiccare, ammicca. La cover dell’ultimo libro di Melissa Panarello (autrice del celebre Cento colpi di spazzola scritto da adolescente) ci parla di solitudine, di crescita, di giovinezza, di eros adolescenziale vissuto al chiuso di una classica stanzetta da ragazzina. In linea col retaggio letterario dell’autrice, che a quanto pare fatica (o non vuole?) staccarsi dal personaggio che l’ha resa famosa. L’autore dello scatto è Justin Pumfrey, fotografo americano che, a parte qualche immagine un po’ più paracula e pruriginosa, come questa, di solito sembra privilegiare foto di natura di straordinaria intensità (la fotografia, per lui, è “come una pratica spirituale”, un canale “per vedere il mondo rivelato, nudo e nuovo, sia nel tempo, sia oltre esso”). Che dire di questa copertina? Ha una sua immediatezza, presumiamo coerente col romanzo (il cui titolo però pare sviare rispetto alle attese, ma non si mai: l’associazione sessualità / sensualità e soldi crea in noi, maschi o femmine che siamo, un cortocircuito mentale e uno strano, involontario prurito al basso ventre unito a un vago senso di colpa). Facile, ma in fondo convincente. Voto: 7.

Daniele Rielli, Il fuoco invisibile – Storia umana di un disastro naturale (Rizzoli)

Sul fatto che il protagonista sia l’albero, ci sono pochi dubbi. Un ulivo, presumibilmente secolare, sotto cui siede riparato un bambino. Un po’ retorica e scontata, l’immagine (anonima: fa parte degli stock di immagini che si acquistano sul web) ha comunque un suo perché, e in libreria bene o male si fa notare. Il titolo, Il fuoco invisibile – Storia umana di un disastro naturale, induce a qualche ulteriore curiosità. La terra rossa, arsa, in primo piano, fa pensare, in linea con il sottotitolo, a cambiamenti climatici, emergenze, epidemie, o altri drammi ecologico-ambientali. Per gli amanti del genere, assolve dopotutto la sua funzione. Senza infamia e senza lode, arriva al pelo alla sufficienza. Voto: 6 meno meno.

Raffaella Romagnolo, Aggiustare l’universo (Mondadori)

Un pastiche, va detto subito, ben riuscito, ricco di retorica, buoni sentimenti e nostalgia: la bambina che, nel suo cappottino elegante e nelle sue scarpette blu a due occhi, tipiche di un’infanzia delle bambine-bene degli anni Sessanta e Settanta (le jeunes filles rangées di beauvoiriana memoria), si muove con giocosa e agile eleganza su un muro mezzo sbreccato, frutto di uno scatto del fotografo americano Mark Owen, è unito, dalla creatività di Mara Scanavino, graphic designer ed ex art-director Baldini & Castoldi, a un gatto che, saltando, sembra seguirla, proveniente da una foto realizzata, questa volta, dalla fotografa francese, nonché appassionata cat watcher, Louise Legresley. Un’immagine inventata, dunque, dall’unione di due fotografie diverse, di fin troppo facile presa ma anche, come abbiamo detto all’inizio, di buon impatto. Non sono, in fondo, anche le opere di Banksy, idolo delle folle e dei giovani di tutto il mondo, a dispetto del suo ostentato radicalismo, infarcite di retorica, buoni sentimenti, e persino di nostalgia? Se questo sia coerente con il romanzo di Raffaella Romagnoli, non lo sappiamo: ma col titolo ci calza a pennello. Perché anche il titolo, Aggiustare l’universo, è dopotutto un concentrato di retorica e buoni sentimenti. Tout se tiens. Voto: 8 e ½.

Chiara Valerio, Chi dice e chi tace (Sellerio)

Chiara Valerio ci racconta – almeno a giudicare dalla copertina – una storia di donne, di intimità, di autoriflessione, di cura di sé: a dircelo, coi colori, è Erika Lee Sears, pittrice americana dalla mano decisa, i toni forti e i tratti quasi cézanniani, il cui quadro scelto da Sellerio a illustrare il romanzo della scrittrice laziale si intitola, non per niente, Self Care. Rappresenta una donna nella vasca da bagno, di cui s’intravedono solo gambe e piedi, in placida contemplazione (così ce la immaginiamo noi) della propria vita, dei propri affetti, dei propri amori e delle proprie delusioni. Forse, un perfetto viatico per la scrittura di Chiara Valerio, per le sue storie in bilico tra intimismo e memoria collettiva. Ps: Sbirciando la quarta di copertina, scopriamo però che la vasca da bagno che Erika Lee Sears ci presenta come luogo del relax e dell’intimità diventa, nella finzione romanzesca, luogo di un dramma, o forse di un omicidio. Morale: non tutto è ciò che sembra. Voto: 7 e ½.

Dario Voltolini, Invernale (La nave di Teseo)

Ci voleva la figura centrale del grande e straordinario Polittico di Gand di Jan Van Eyck (detto anche, mica per niente, Polittico dell’agnello mistico), per rappresentare simbolicamente il dolore del giovane protagonista del romanzo di Voltolini per la malattia del padre, macellaio di professione a sua volta finito vittima del suo mestiere di indefesso sezionatore di carni. Se non ci fossimo portati, spinti da curiosità, a leggere la quarta di copertina, tuttavia, nulla conosceremmo di questo Invernale, se non il volto e lo sguardo dell’agnello, l’agnello mistico appunto, simbolo di dolore, di sacrificio e di redenzione. Intenso, asciutto, impeccabilmente rivelatore, stagliantesi su uno sfondo rosso sangue che ricorda quello del recente ritratto ufficiale di Re Carlo, lo sguardo dell’agnello ci strega e ci ipnotizza inesorabilmente. Voto: 9.

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