Pittura italiana, una storia in movimento

di Federico Rui

Ho iniziato a lavorare nel mondo dell’arte nel 1995, anni di grande trasformazione politica e culturale anche in campo artistico. Negli anni Ottanta, definiti da Umberto Eco “il decennio degli effetti speciali”, avevano preso vita diversi movimenti pittorici, come il Pastificio Cerere, la Brown Boveri, la scuola di Lazzaro Palazzi, i Nuovi-Nuovi, la Pittura Colta e soprattutto la Transavanguardia, una delle ultime correnti esportate a livello internazionale. Quest’ultima, fondata da Achille Bonito Oliva, segnava un ritorno alla pittura in opposizione ai dettami culturali del concettualismo e dell’arte povera (movimenti non ancora protagonisti a livello commerciale, dato che i capolavori di Fontana e Manzoni raggiungevano a stento i 100mila euro, mentre Castellani e Boetti si potevano comprare tra i mille e i duemila euro…). Accanto a loro si muovevano Vedova, Mario Schifano, Gino De Dominicis, Salvo, Valerio Adami, Mimmo Rotella e Aldo Mondino. 

Il dibattito sulla pittura, come testimoniato dalla serie di tre mostre curate da Danilo Eccher alla Gam di Bologna tra il 1997 e il 1998 (“Pittura Iconica”, “Pittura Aniconica”, “Materiali Anomali”), era incentrato su chi era in difesa della figurazione e chi sosteneva invece l’astrattismo. 

Achille Bonito Oliva nel suo studio a Roma 2021 Foto Carolyn Christov Bakargie

Le fiere come le conosciamo oggi non esistevano: sia Artissima che Miart nasceranno nel 1994 (quest’ultima ospitata per due edizioni negli angusti spazi di Novegro). 

In questo contesto (a cui sto dedicando la stesura di un libro dal 1995 ai giorni nostri) nascono diversi gruppi artistici spontanei, non propriamente riconducibili a delle correnti specifiche. Gli artisti che operano in questo periodo sono seguiti a Roma da Gianluca Marziani e da Maurizio Fagiolo dell’Arco, il quale delinea una Nuova Metafisica. Accanto a loro hanno un ruolo trainante anche le gallerie Sperone, L’Attico e il Polittico. Sempre nel contesto romano si fanno strada gli esordienti Cristiano Pintaldi e Federico Pietrella, mentre a Bologna la scena è occupata da Enrico Lombardi, Marco Neri, Andrea Chiesi, Antonella Mazzoni, Omar Galliani e il capostipite (almeno anagraficamente) Gianmarco Montesano. A Torino, grazie alle gallerie di Guido Carbone, In Arco e Alberto Peola si muovono Pierluigi Pusole, Bruno Zanichelli, Daniele Galliano, spesso sotto la regia di Luca Beatrice. La Sicilia vede il riconoscimento della Scuola di Scicli prima e della scuola di Palermo dopo. A Milano nasce l’Officina Milanese, che presto si allargherà ad altri pittori più giovani che praticano una pittura di nuove idee e fermenti, seguiti dalle gallerie Marieschi, Cannaviello, Appiani 32, Forni e Antonia Jannone. Alessandro Papetti, Marco Cingolani, Luca Pancrazzi, Federico Guida, Barbara Nahmad, Alessandro Busci e Nicola Verlato sono seguiti da Alessandro Riva e Maurizio Sciaccaluga. La commistione di pittura e i nuovi linguaggi dei mezzi di comunicazione sono teorizzati da Gabriele Perretta nel “Medialismo”. E così a Firenze, Venezia, Napoli si creano movimenti spesso non teorizzati o sostenuti da impianti critici. 

In questo sta la forza dell’arte italiana, e in particolare della pittura. Nella sua multiforme veste che assume a seconda delle sensibilità territoriali.  È difficile identificare una “scuola di”, o una corrente specifica come avviene invece negli altri paesi europei. L’Italia nasce storicamente dai Comuni, da una divisione in piccoli stati che hanno permesso lo sviluppo di identità decentrate e la nascita di numerose Accademie sul territorio.

In questo senso sono state organizzate numerose mostre di “mappatura” dell’arte (oltre a quella già citata di Danilo Eccher), da “Officina Italia”, curata da Renato Barilli alla Gam di Bologna nel 1997 (replicata poi nel 2011), a “Sui Generis” al Pac di Milano curata da Alessandro Riva nel 2000; dalla Quadriennale di Roma del 2004, divisa in due Anteprime (Napoli e Torino) e affidata a dieci curatori, a “Arte Italiana 1968/2007”, organizzata da Vittorio Sgarbi a Palazzo Reale di Milano, poi declinata in “Nuovi Pittori della Realtà” al Pac di Milano per ricordare la figura di Maurizio Sciaccaluga. Senza dimenticare l’immensa (per quantità di opere) Biennale di Venezia del 2011, che coinvolge le regioni italiane chiamandole a organizzare i “Padiglioni Regionali della Biennale”, a cui partecipano oltre 1.000 artisti. Di nuovo la Quadriennale del 2016, in cui undici curatori invitano 99 artisti suddivisi in dieci sezioni tematiche. Per certi versi analoghe sono “Ennesima, una mostra di sette mostre sull’arte italiana”, che intende esplorare in sette percorsi gli ultimi cinquant’anni di arte italiana (e dove in particolare la sesta sala ospitava una mappatura della produzione degli artisti nati tra la metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta), e “Imago Mundi”, iniziativa di Luciano Benetton con la volontà di realizzare un catalogo enciclopedico della produzione artistica contemporanea internazionale, con oltre 420 opere di artisti italiani (esposti la prima volta come evento collaterale della 55. Biennale di Venezia alla Fondazione Querini Stampalia nel 2013).

Tra le tante mostre in difesa della pittura, anche per il titolo provocatorio e il tentativo di restituire una visione d’insieme, possono anche essere citate “Don’t shoot the Painter”, a cura di Francesco Bonami alla Gam di Milano nel 2015, e “Painting is back”, a cura di Luca Massimo Barbero alle Gallerie d’Italia nel 2021, entrambe conferma che la pittura non è mai tramontata. 

Su questa scia, la Triennale di Milano ospita fino all’11 febbraio la mostra “Pittura Italiana Oggi”, che vuole fornire una “mappatura intergenerazionale come restituzione prismatica delle plurime sfaccettature del fare pittura oggi” (come recita una nota della Triennale). I troppi nomi esclusi rischiano però di rendere la mostra incompleta, se si parte dall’obiettivo dichiarato di restituire la ricchezza e la complessità della pittura contemporanea italiana. 

È comunque una dichiarazione di intenti importante che delimita la ricerca alla pittura, differenziandosi così da “Fuori tutto”, mostra concepita dal Maxxi di Roma come sorta di deposito aperto per presentare la vitalità e la pluralità della ricerca artistica italiana in tutte le sue forme.

La cosa importante, e di questo Damiano Gullì ne è testimone, è che la pittura è più che mai viva, e anche se non è sempre amata dai curatori ed esclusa spesso dalle grandi manifestazioni pubbliche internazionali, come ebbe a notare Philip Taaffe in una tavola rotonda organizzata da “Flash Art” negli anni Ottanta, esiste e non puoi farne a meno (“You can’t kill painting”). 

In questo senso “Pittura Italiana Oggi” è un riconoscimento e un amore dichiarato verso quella pittura che oggi più che mai dimostra una propria vitalità, ed è sbagliato considerarla obsoleta pensando che tutto sia già stato fatto. In occasione della presentazione del libro Archetypes and Historicity / Painting and Other Radical Forms 1995-2007 e della relativa mostra alla Collezione Maramotti (2012), Bob Nickas conversando con Mario Diacono afferma che “c’è un sentimento di fondo nei confronti della pittura, la gelosia, perché la pittura è una forma artistica promiscua, più di qualsiasi altra forma d’arte. La pittura può infatti essere astratta o figurativa, riguardare la struttura e lo spazio, la performance, la scrittura, il cinema. Le altre forme d’arte sembrano invece più inquadrate all’interno del loro medium, invece la pittura consente un’ibridazione maggiore”.Suonano così sempre attuali le parole provocatorie di Jerry Saltz del 2009: “If anyone can prove that painting is dead, I will give them a $10,000”.

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