Pipino, il ladro filosofo che rubò un Vivarini a Palazzo Ducale

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In molti abbiamo fantasticato sulle “Avventure di Arsenio Lupin”, il mitico personaggio inventato dalla penna di Maurice Le Blanc; esiste un famigerato ladro Veneziano che ne rievoca le gesta. Il suo nome è Vincenzo Pipino, ed è conosciuto anche come il “ladro filosofo”. Ebbene sì, la sua arte è proprio quella del furto: Vincenzo Pipino ha reso i suoi furti di prestigiose opere d’arte delle imprese rocambolesche, uniche, avventurose, da raccontare poi, complice la distanza del tempo, come delle avventure romantiche, dal forte sapore letterario, o delle vere e proprie performance artistiche.
I suoi libri
Rubare ai ricchi non è peccato e Memorie di un ladro filosofo – Quando il furto diventa un’arte, entrambi editi dalla casa editrice Le Milieu, hanno suscitato interesse e un certo clamore, tant’è che diverse case di produzione cinematografiche si stanno contendendo la sua strabiliante storia di vita per portarla sullo schermo.

Abbiamo intervistato, in esclusiva per i lettori di Artuu, il leggendario “ladro filosofo” Vincenzo Pipino. Ecco la sua storia, tra aneddoti stupefacenti, trucchi e… segreti del mestiere.

Vincenzo Pipino (foto Federica Palmarin)

Come nasce la tua passione ossessione per l’arte?

Potrei dire che è nata per caso: avevo un amico che ormai è scomparso, che considero come il mio mentore, eravamo entrambi detenuti e ubicati nella stessa cella. Io all’epoca avevo 18 anni, non avevo frequentato le scuole, a parte un paio di mesi in prima elementare. Lui invece aveva 22 di anni e aveva frequentato le scuole dai preti, che all’epoca erano a pagamento. 

Era un ragazzo intelligente e culturalmente straordinario: mi recitava Shakespeare, al punto tale che quando imparai a leggere e scrivere, divorai tutte le opere di Shakespeare. Questo era “My Bob”: l’ho chiamato affettuosamente per tutta la vita con questo epiteto.

“My Bob” aveva una passione per la pittura, dipingeva donne con un ombrello sotto la pioggia, e mi chiedeva: “Cosa ti sembrano?”. Risposi: “a me sembrano delle lucciole”. “Bravo”, esclamò, “sono delle prostitute sotto la pioggia in attesa di qualche marinaio americano”. All’epoca, a Venezia, avevamo molte navi da guerra ormeggiate sulla Riva degli Schiavoni. Una curiosità: una volta “My Bob” mi donò alcuni suoi dipinti ma, durante una perquisizione a casa mia, la polizia li sequestrò tutti, pensando forse che fossero dei capolavori di qualche artista di provenienza.. illecita. Invece erano i dipinti di “My Bob”.

Vincenzo Pipino su un ponte di Venezia (foto Federica Palmarin)

Quando sei diventato un ladro di opere d’arte?

Molto presto: quando frequentavo la biblioteca Marciana di Venezia, dove, oltre che studiare i miei furti, ammiravo con straordinaria curiosità libri di pittori molto famosi, in particolare esponenti del Settecento veneziano. Da lì nasce la mia filosofia, definita da me stesso come una larvata excusatio non petita: pensavo che la pittura dei grandi artisti appartenesse alla cultura del mondo, e che non potesse essere nascosta tra le pareti dei palazzi della nobiltà veneziana, che, a mio parere, accumulava capolavori unicamente per motivi venali. Ma ripeto, era solo una mia filosofia sballata. 

Vincenzo Pipino a Palazzo Ducale, che indica la Madonna con bambino del Vivarini che trafugò nel 1991 (foto Federica Palmarin).

Alcuni tuoi furti sono entrati nell’immaginario comune, così come la tua incredibile fuga dal carcere di massima sicurezza in Svizzera. Ci puoi raccontare come andò?

Il furto che ha fatto storia nell’immaginario a Venezia è stato quello della Madonna con il bambino del Vivarini, nella sala dei Censori del Palazzo Ducale di Venezia:io fui il primo ladro a violare quel luogo sacro veneziano. In realtà l’azione fu dettata da una necessità: ero stato contattato da un sodale di Felice Maniero (noto bandito della famigerata “mafia del Brenta”, ndr), il quale aveva chiesto che io mi interessassi all’organizzazione di una rapina da compiersi al Museo del settecento veneziano di Ca’ Rezzonico. Gli serviva un eventuale “bottino” di opere d’arte per proporre allo Stato uno scambio in modo da liberare un suo cugino detenuto. Naturalmente rifiutai l’offerta: figuratevi cosa sarebbe successo se avessimo fatto una rapina a mano armata al museo del Settecento veneziano!

Alloira mi venne un’idea, e mi offrii di fargli un “regalo”, che avrebbe avuto un notevole eco a Venezia, e che avrebbe senza meno ottenuto lo stesso risultato. Pensavo appunto alla Madonna con il bambino del Vivarini. Non fu facile rubare quel dipinto, era quasi impossibile entrare nel Palazzo Ducale di notte. Così studiai uno stratagemma pensando di entrare dalle carceri. 

Una veduta dell’interno di Palazzo Ducale, Venezia.

Se entrare in un carcere, infatti, è quasi impossibile, evadere da un carcere è già più facile. Così sono entrato a Palazzo Ducale come un turista, durante il giro del museo, e, mentre una guida illustrava ai turisti la storia delle prigioni, io rimasi indietro, giusto il tempo per nascondermi in una cella buia. Fu così che presi il dipinto ed “evasi” con il dipinto ben serbato tra le mani.

Un grave errore di Felice Maniero, che pensò che quel quadro donato da me era per evitare di non fare una rapina a un museo del settecento veneziano, di conseguenza decise di saccheggiare il mento di Sant’Antonio di Padova, non raggiungendo il suo scopo iniziale.

Per quanto riguarda la fuga del carcere di massima sicurezza in Svizzera, fu una vera astuzia voluta tra stratagemmi incredibili, perché anche alle guardie del carcere era noto che mi stavo preparando per la grande fuga. Consiglierei di leggere il mio libro “Rubare ai Ricchi non è peccato” e leggere solamente il capitolo di quella rocambolesca fuga. 

Qual è la tua opinione sulle carceri italiane?

Questo è un argomento purtroppo tragico che la società rigetta  per disinformazione per le composite e impunite violazioni, non solo di diritto costituzionale, ma anche morali e quasi torturanti.

Purtroppo le “voci” al di fuori delle mura non riportano informazioni esatte e, per assurdo, sviliscono pure il quotidiano. Che il problema delle carceri italiane sia cronico e che stia assumendo dimensioni sempre più preoccupanti, anche per la vita dei reclusi, dal 2000 oggi ben 1277 suicidi e ben 3.431 morti nelle carceri in totale indifferenza istituzionale, ne è l’esempio più impietoso che la maggior parte di morti siano sulla soglia di 40anni, con istituti penitenziari sempre più sovraffollati all’inverosimile e con condizioni detentive sempre meno degne di un Paese civile, lo sanno anche le pietre!

Vincenzo Pipino (foto Federica Palmarin).

Qual è la tua filosofia di ladro?

Non è un caso se ho scritto un libro intitolato Storia di un ladro filosofo. Nella mia “batteria” (la banda, ndr) formata da quattro lazzaroni ingegnosi nell’arte sovrana del furto mi sono imposto un’etica morale che prevedeva: rubare ai ricchi-ricchi, coloro che magari hanno rubato prima di noi, non usare nessuna violenza ai derubati, dare a costoro la possibilità di proteggere i loro beni, non usare armi di nessun genere, nemmeno sfiorare con una mano un derubato, altrimenti il furto o tentato si trasformava in rapina impropria.

Scegliere le persone: non rubare a medici, in tutte le branche, né ad avvocati, giudici e poliziotti; e soprattutto ai poveri: se le prime categorie sono utili alla società, l’ultima, quella dei poveri, è fondamentale perché i poveri vanno aiutati.

Mi vanto in questo mio scritto per la prima volta di aver ricevuto una specie di diploma, non scolastico. “A te Vincenzo Pipino, che con la tua generosità hai contribuito a ridare un futuro ai tanti bambini che soffrono a causa della malnutrizione GRAZIE! UNICEF”(Francesco Samengo presidente UNICEF).

Quali sono le tue letture preferite, da cosa sei stato ispirato?

La Bibbia, William Shakespeare, Socrate, Platone, Dante Alighieri, Pinocchio, dov’è finito? I ragazzi della via Pal, Fëdor Michajlovič Dostoevskij con I fratelli Karamazov, mi è piaciuta questa frase: “Se Dio non esiste, tutto è permesso”. Il giocatoreDelitto e castigo e altri classici.

Mi racconti di quando hai liberato un gorilla dallo Zoo di Roma?

Eravamo allo zoo, in una gabbia c’era un bellissimo gorilla, aveva due occhi meravigliosi ma molto tristi, ci guardava in un modo strano, ma gentile, a una ragazza, vedendolo, sono venute le lacrime agli occhi. Appena usciti io e il mio amico ci siamo guardati, pensi anche tu quello che penso io? Sì! Ebbene questa notte lo liberiamo. Fu anche una stramberia perché poteva finire male, ma fu preso con tranquillità: gli abbiamo concesso un’ora d’aria come ai detenuti!

Qual è l’opera d’arte che hai rubato che ti ha emozionato di più?

Il Fonteghetto della Farina del Canaletto, rubato in casa di Falk.

Il Fonteghetto della Farina del Canaletto, rubato da Pipino in casa di Falk nel 1998.

Quali sono le tue sensazioni quando rubi un’opera?

Le sensazioni e/o emozioni sono parte della mia adrenalina. Il furto è un’avventura emozionante, è segreto e scoperta, in definitiva uno svelamento: un palazzo violato è, per me, una vergine che si concede al migliore dei campioni.

Il furto è poesia in libertà, rispetto dell’opera, amore, passione e soprattutto, rispetto per il derubato: lasciandogli sempre la possibilità di difendere le proprie ricchezze senza usare nessuna violenza.

L’amore per il furto è come l’amore che si fa in piedi o seduti, da malati o da sani: l’atto conserva tutta la fantasia dell’essere “altro” dal quotidiano.

La bellezza e il mistero degli oggetti, di quelli che ho rubato, intendo, non possono mai vivere agganciati a una parete o “imprigionati” nei forzieri; bisogna amarli, farli uscire dai loro scrigni e portarli in giro nelle nostre avventure, anche se dalla maggior parte dei loro viaggi sono dovuti tornare, alla fine, dov’erano prima, dissepolti e malinconici: obliati per decenni da un possesso rapace, liberati poi e fatti respirare in qualche ora di libertà, di quelle che si concedono anche ai detenuti, sono tutti ritornati nelle loro celle.

Queste sono state le mie sensazioni!

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