Oppenheimer e la rappresentazione del femminile

E’ stato sicuramente, assieme a “Barbie”, il fenomeno cinematografico dell’estate. Oppenheimer, il thriller storico di Chris Nolan, continua a far parlare di sé, non solo per la realizzazione magistrale, ma anche per i delicati temi affrontati. Oggi la nostra contributor Alessia Luzzi vuole fare un passo indietro ed analizzare il ruolo e la rappresentazione della donna e del femminile nella pellicola di Nolan, una tematica forse trattata in maniera semplicistica e superficiale…

Oppenheimer, Il thriller storico dal cast stellare, con un impeccabile Cillian Murphy a dirigere l’orchestra, compie un viaggio nella mente del suo ideatore e un’analisi del contesto socioeconomico in cui tale iniziativa è stata realizzata. Largo spazio è stato dato all’interno della pellicola alla rappresentazione del popolo americano e del loro approccio alla guerra, della fragilità e della  corruzione dell’animo umano in una escalation di colpi di scena che tiene incollato lo spettatore per ben 180 minuti. 

Nolan sembra aver prodotto l’ennesimo capolavoro cinematografico, anche se le critiche non sono  mancate. Un aspetto interessante che può essere evidenziato è la caratterizzazione di alcuni dei personaggi all’interno dei suoi film e il modo in cui il regista stesso è stato più volte criticato per il poco spazio dedicato alla rappresentazione del femminile. 

Se con Oppenheimer, in questo senso, Nolan compie un passo in avanti, il progresso sembra essere comunque ancora lontano. 

Il film si srotola su due livelli narrativi che assumono una forma indipendente l’uno dall’altro, dove la parte legata alle sperimentazioni scientifiche e al progetto Manhattan e, al conseguente  processo di Oppenheimer, viene narrata attraverso una visione sembrerebbe oggettiva dei fatti, e riprodotta in bianco e nero su pellicola, ben separata dalla percezione personale del protagonista che invece è a colori, filtro che ci consente di incarnare il suo punto di vista. Il focus è canalizzato sul dilemma morale del protagonista, eternamente combattuto tra la sua ambizione e il senso di  colpa che da tale esperimento deriva.

I due personaggi femminili a cui viene dato più spazio nel film sono Jean Tatlock, interpretata dalla straordinaria Florence Pugh, e Kitty, interpretata da Emily Blunt, tra le attrici britanniche più famose e amate dal grande pubblico. 

Due sono i punti che accomunano, e quindi definiscono, le donne appena citate: l’amore per  Oppenheimer e i gravi problemi emotivi e personali che le affliggono. La scrittura dei personaggi femminili non è sicuramente il punto forte della regia di Nolan, poiché le  donne all’interno dei suoi film o sono morte, come in Interstellar, o devono essere salvate, come in Tenent, e sono dunque sempre personaggi a cui non viene lasciato particolare margine d’azione. Nel caso di Oppenheimer, per quanto le premesse sembrano essere migliori, rimangono comunque delle zone d’ombra. 

Jean Tatlock è una donna instabile e ribelle, iscritta al partito comunista e che ha avuto per Robert Oppenheimer una grande importanza dal punto di vista emotivo, venendo considerata come il grande amore della sua vita. Jean non è una donna semplice, è capricciosa e problematica, ma da quel poco che viene mostrato sembra ricambiare, anche se in modo tossico, il sentimento nei  confronti di Oppenheimer. 

Quando Oppenheimer incontra Kitty, la donna è sposata e i due consumano un rapporto extraconiugale per il quale Kitty rimane incinta. Questo porta Robert a chiudere il rapporto instabile con Jean per sposare Kitty e metter su famiglia. Anche Kitty ha una vita complicata, un passato  turbolento alle spalle, è rimasta vedova e si è sposata di nuovo soltanto perché persa e in balia degli eventi. Anche lei sembra nutrire un forte sentimento per Oppenheimer ma, quando nasce il loro bambino, ecco che verranno mostrati ulteriori aspetti complessi del suo essere. Kitty ha forti problemi legati al materno, non è in grado di farsi carico del peso emotivo della nascita di suo figlio e non sembra essere capace di stabilire con lui un rapporto amorevole. La donna è sempre  piuttosto fredda e distaccata nei confronti del figlio, indifferente nei confronti dei suoi bisogni. Un altro aspetto chiave che emerge in seguito nel film è che Kitty è un’alcolista. 

Dunque, se contrariamente ad altri film di Nolan, alle donne viene lasciata maggiore libertà di azione, è comunque una caratterizzazione piuttosto problematica del femminile che sembra assumere forma soltanto nella misura in cui serva per forgiare il personaggio maschile principale. Si potrebbe ribattere a questa riflessione affermando che il focus del film è altrove e che si tratta di una rappresentazione storica di queste donne che, rispetto all’argomento trattato dalla pellicola ricoprono dei ruoli marginali. In questo caso però, lo stesso varrebbe per il modo in cui è stato descritto Albert Einstein, rappresentazione tutt’altro che fedele alla realtà storica del suo  personaggio. 

Per spezzare una lancia a favore di Nolan, è comunque giusto evidenziare il passo avanti compiuto nel raccontare i suoi personaggi femminili, discorso che vale soltanto a metà perché riguarda più che altro il personaggio di Kitty. La donna viene per gran parte del film rappresentata come caparbia e assertiva, si percepisce la sua voglia di libertà e d’indipendenza da alcuni stralci del suo  passato che vengono narrati senza però essere mai del tutto approfonditi, fornendo allo spettatore  una visuale soltanto parziale della sua personalità. Inoltre, la forza del suo carattere viene percepita in maniera negativa da parte della società che la bolla come una donna dalla personalità volubile. I buoni presupposti mirati ad un’evoluzione del femminile, anche se solo accennati,  sembrano esserci. 

Alla fine, Kitty trova il modo di far ascoltare la propria voce quando, testimone al processo di suo marito, riesce a dare prova della sua proprietà di linguaggio e del suo carisma, creando sgomento in chi la ascolta. 

Jean Tatlock è, invece, un altro paio di maniche. La donna è tutt’altro che caratterizzata in maniera positiva. Jean è stata oggetto di feroci critiche da parte dello spettatore, e le scene di nudo completo e di sesso sono un tassello chiave in questo. Jean Tatlock è innamorata di Robert ma il suo è un amore tossico che sfocia nella dipendenza, e quando Oppenheimer le dirà che non  potranno più continuare a vedersi poiché Katherine è incinta, come ultimo gesto estremo, Jean si  toglie la vita. 

A Jean non è stato dato modo di esprimersi né di rappresentarsi in maniera diversa: l’esito della triste vicenda vede una donna, l’ennesima nella storia del cinema e della letteratura, che si toglie la vita a causa dell’abbandono da parte di un uomo. La storicità del gesto estremo della donna è tuttora messa in discussione, il film non ha invece lasciato alcuno spazio al dibattito. Anche questo è un passaggio chiave che avrebbe potuto essere rappresentato in maniera  differente, più approfondita. Tatlock è sostanzialmente un satellite che ruota attorno al pianeta Oppenheimer, e che dunque perde del tutto la sua essenzialità. 

La trama della pellicola, incentrata su fatti storici ben precisi, non può occuparsi di ogni personaggio, ma in questo caso, salvo pochissime eccezioni, sembra ancora una volta che il tempo dedicato alla raffigurazione del femminile venga svuotato della sua anima, trasformato in un contenitore fatuo all’interno del quale a primeggiare è il protagonista maschile. Questo produce un esito devastante, riducendo le donne ad un mero escamotage narrativo attraverso cui spesso vengono giustificate le scelte di Oppenheimer, perdendo ancora una volta lo status di soggetto attivo. 

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