LA MODA VA A MUSEO

Oscar Wilde sosteneva che “o si è un’opera d’arte o la si indossa” e, se esiste una certa riluttanza dell’arte propriamente detta a riconoscere una dignità alla moda, sempre più spesso essa esce dagli atelier, le boutique, le riviste e anima i musei, veri e propri templi sacri del mondo laico.

Come emergerà a più riprese in questa rubrica, gli anni 70′ e 80′ aprirono ad un continuo dialogo tra esperienze artistiche e mondo della moda. Quest’ultima scopre l’arte come un inedito veicolo promozionale per un sistema sempre al limite del collasso; gli artisti, dal canto loro, hanno modo di realizzare le proprie visioni spesso grazie al potere economico del fashion-system. Tuttavia non è solo l’arte, contemporanea e non, a penetrare gli spazi della moda, il fenomeno diviene gradualmente palindromo.

Dalla fine degli anni ’90 in poi, infatti, i musei, indiscusse cattedrali del sapere, aprono le loro porte ai designer. Tra i primi esperimenti in questo senso va necessariamente ricordato The Glory of Byzantium, retrospettiva che nel 1997  il Metropolitan Museum of New York dedica a Gianni Versace, “l’imperatore dei sogni”, proprio nell’anno della sua tragica scomparsa (15-07-1997).

 

<span style=font size 8pt font family montserrat>Gianni Versace Photo via trendstodayit<span>

 

A cavallo tra vecchio e nuovo millennio è la volta di Issey Miyake, ospitato dalla fondazione Cartier per poi migrare alla ACE Gallery (Manhattan) e, infine,  al Museo di arte contemporanea di Tokyo.

 

<span style=font size 8pt font family montserrat>issey miyake Photo via <a href=httpwwwdazencom target= blank rel=noopener>dazencom<a><span>

 

I primi mesi del 2000 segnano la prima volta anche per  il Guggenheim Museum di New York che ospita Armani con una mostra antologica. Di qui in poi è tutto un susseguirsi di mostre tematiche: gli Anni Ottanta e Yamamoto a Firenze, Schiapparelli a Parigi,  Viktor & Rolf a Londra e cosi via.

 

<span style=font size 8pt font family montserrat>Armani Guggenheim Photo via <a href=httpswwwartdexcom target= blank rel=noopener>artdexcom<a><span>

 

Dopo esattamente vent’anni da The Glory of Byzantium il trend della moda a museo è più consolidato che mai.

A fine maggio si è infatti aperta Balenciaga: Shaping Fashion. Grazie a più du 100 abiti, esposti presso il Victoria & Albert Museum di Londra, ai visitatori è permesso di addentrarsi in un viaggio che ripercorre le tappe fondamentali dell’iconico marchio spagnolo. La Maison non solo ultimamente gode di un ritrovato splendore grazie al genio e la sregolatezza di Demna Gvasalia, ma rappresenta un caso emblematico per la moda al museo.

<span style=font size 8pt font family montserrat>Alberta Tiburzi in balenciaga 1967 Phoyo via <a href=httpswwwwgsncomen target= blank rel=noopener>wgsncom<a><span>

Señor Cristoba Balenciaga è sempre stato legato a doppio filo all’arte: architetto di silhouette che resistevano imperturbabili movimento del corpo, scultore per la capacità di modellare i tessuti estremamente rigidi che privilegiava, seguace della pittura iberica alla quale s ‘ispirava anche nelle scelte cromatiche (nero e marrone come Goya e Velasquez).

Rifiutando l’impiego delle macchine, il couturier concepiva un’opera che diveniva un secondo corpo da abitare.

L’abito è un meraviglioso distillato delle sue idee e mostra la sua astrazione del corpo; è assolutamente moderno”, commenta la curatrice della mostra, Cassie Davies-Strodder che, grazie al contributo del’artista dei raggi-X Nick Veasey, penetra fino all’anima di questi capi.

<span style=font size 8pt font family montserrat>X ray photograph of La Tulipe evening dress gazar Balenciaga for EISA Spain 1965 Photo via <a href=httpss3 ap southeast 2amazonawscomnlm img prodvoguemediafile uploads259025928 1jpg target= blank rel=noopener>Vogue Australia<a><span>

“La venerazione che gli stilisti contemporanei nutrono nei confronti di Balenciaga non ha eguali”, aggiunge Davies-Strodder. “Aveva una visione talmente chiara da elevare la sartorialità ad arte”.

Oggi come ieri nelle creazioni Balenciaga techne e  concettualità si trovano a coincidere. Basti pensare al sapore Warholiano, se non addirittura Manzoniano, dell’ultima provocazione ad opera del brand: l’imitazione da 1700 euro di Frakta, mitica shopper di Ikea venduta a soli 60 centesimi.

 

Sempre in questa seconda metà del 2017 (27 agosto- 17 novembre) chi si trova nei pressi di Melbourne, Australia, potrà visitare The House of Dior: Seventy years of Haute Couture presso la National Gallery of Victoria.

 

 

Dal 1 Ottobre al 20 gennaio 2018 Il Moma di New York ospiterà invece Items: Is Fashion Modern? 900 capi iconici, dai levi’s 501 al tubino nero, saranno presentati nella triplice veste di stereotype, archetype, prototype. Osservando questi “pezzi” nelle tre dimensioni temporali di presente, passato e futuro, la designer e architetto Paola Antonelli si chiede: cosa sono stati e hanno rappresentato, cosa ne ha innescato la genesi, cosa potrebbero diventare.

La moda torna al Moma dopo la bellezza di 73 anni e per la seconda volta, lo fa ponendosi gli stessi interrogativi del 1944 con l’antisignana “Are Clothes Modern?” Come a dire che se la moda forse non può essere considerata arte strictu senso, essa è manifestazione tangibile di sogni, fobie, ricordi, proiezioni e, proprio come l’arte, tramite sapienti stimoli tattili e/o visivi è in grado di raccontarci molto di noi.

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