Si tratta della rivisitazione del pittore franco-cinese esposta a Palazzo Strozzi.
Alzi la mano chi ha subito pensato a quanto accaduto nel dicembre del 1913: la Monnalisa, quella originale si intende, venne ritrovata sotto ad un letto dell’allora Albergo Tripoli, a pochi passi da Piazza del Duomo. Vincenzo Peruggia l’aveva nascosta dopo averla trafugata, due anni prima, dal Museo del Louvre. Eppure, nonostante si sostenga che i malfattori tornino sempre sul luogo del misfatto, questa volta di ben altro si tratta. L’autore dell’omaggio a Leonardo è Yan Pei Ming, protagonista della più grande retrospettiva italiana a lui dedicata, visitabile fino al 3 settembre a Palazzo Strozzi. Un progetto che rientra nel più ampio ciclo “Palazzo Strozzi Future Art”, sviluppato con la Fondazione Hillary Merkus Recordati.
In realtà Yan Pei Ming ha già dei solidi rapporti con l’Italia: una delle gallerie che promuovono le sue opere è la Massimo De Carlo affiancata, a livello internazionale, da Thaddaeus Ropac.
Ma chi è il creativo che il titolo dell’esposizione definisce “pittore di storie”?
Classe 1960, nato a Shanghai, Yan Pei Ming cresce nel pieno della cosiddetta rivoluzione culturale cinese. Così le sue prime sperimentazioni, in ambito artistico, avvengo sui ritratti di Mao Zedong. Molte sono le ombre che si addensano sul potere ufficiale e che il giovane artista prova sulla propria pelle.
Una su tutte?
La sua famiglia è improvvisamente costretta a lasciare l’abitazione in cui vive perché destinata ad un uso differente dall’amministrazione locale. A 18 anni tenta di entrare all’Accademia di Arte e Design di Shanghai, ma la domanda viene respinta: un punto di svolta sia per la sua vita privata che per la carriera artistica. Ming decide, infatti, di trasferirsi in Francia, iscrivendosi all’École Nationale Supérieure des Beaux Arts di Digione. Oggi il suo studio si trova in un’ex-fabbrica a Ivry-sur-Seine.
Il successo non tarda ad arrivare e, per ironia della sorte, grazie ai ritratti monocromi di Mao Zedong. L’abilità del giovane artista sta nel mixare sapientemente elementi tradizionali cinesi ed attributi stilistici occidentali. Tutte le sue opere hanno titoli in francese. In breve tempo viene soprannominato “pittore d’assalto”: Yan Pei Ming aggredisce le tele con pennellate vigorose, senza disegni preparatori, amando in particolar modo i formati di notevoli dimensioni. L’olio su tela è il suo compagno di avventure in una tavolozza che, quasi sempre, è nera, bianca, rossa o blu. I soggetti sono macchie di colore che acquisiscono nitidezza solo da lontano. Ma la vera particolarità che lo caratterizza, e che nel 2003 lo porterà alla Biennale di Venezia, sono le tematiche scelte: un confronto continuo con la storia, non solo dell’arte.
Come si può ben notare dalle oltre 30 opere esposte a Palazzo Strozzi, in un percorso di visita curato da Arturo Galansino. L’espressività di Yan Pei Ming vive di continui dialoghi tra paesaggi, vita privata, accadimenti universalmente noti e icone delle culture occidentali ed orientali. Una sorta di eterna partita a scacchi o a ping-pong, come ama ribadire l’artista, che ben si esplicita quando nel 2009 il Museo del Louvre lo chiama a confrontarsi con il capolavoro di Leonardo già citato. Yan Pei Ming decide di ampliare il paesaggio alle spalle di Monnalisa aggiungendovi altre due tele e, soprattutto, di porre il neonato trittico in dialogo con ulteriori due composizioni: una raffigura il padre dell’artista in un letto di ospedale, l’altra inscena le esequie di Yan Pei Ming stesso. Non a caso l’installazione così concertata prende il nome di “Les Funérailles de Monna Lisa” e invita lo spettatore a riflettere non solo sulla caducità dell’esistenza, ma anche sul rapporto padre-figlio e su quanto la vita possa porti di fronte ad atti contro la stessa natura umana.
Il confronto con i grandi maestri della storia dell’arte non si esaurisce però con Leonardo: nel 2019, in occasione del bicentenario della nascita di Gustave Courbet, Yan Pei-Ming dialoga con il pittore in due mostre, allestite al Musée Courbet di Ornans e al Musée du Petit Palais di Parigi. Contemporaneamente realizza, al Musée d’Orsay, “Un enterrement à Shanghai (Montagne céleste, Ma mère, L’adieu)”: un trittico monumentale omaggio alla madre scomparsa.
E poi la lista di celebri studi si allunga con “Papa Innocenzo X” di Velasquez, strizzando l’occhio a Francis Bacon, “La morte di Marat” di Jacques-Louis David, “Il 3 maggio 1808” di Goya e non solo.
Attraversando le 8 sale che compongono “Yan Pei Ming. Pittore di storie” a Palazzo Strozzi, il visitatore si trova di fronte al ritrovamento di Aldo Moro nella tristemente celebre Renault 4, al corpo senza vita di Pasolini all’idroscalo di Ostia, in un climax ascendente che conduce a Piazzale Loreto nel 1945 con i corpi di Benito Mussoli e Claretta Petacci appesi a testa in giù. Yan Pei Ming conosce bene l’Italia, essendo stato borsista della prestigiosa Accademia di Francia a Villa Medici nel 1993-1994.
Il suo proposito è quello di essere un “attore del proprio tempo”: una sorta di moderno Virgilio che ci accompagna alla scoperta visiva della cronaca passata e presente che, un giorno, diventerà pittura di storia. Fino ad arrivare alla riproposizione delle copertine del “Time” dedicate, nel 2008, al presidente russo Vladimir Putin e, nel 2022, all’ucraino Volodymyr Zelensky.
Ogni tanto, procedendo nella visita della mostra, la tensione viene smorzata e lo sguardo riprende a “respirare” posandosi su ritratti di Bruce Lee o sulla rappresentazione di una tigre: anelli di congiunzione tra Ovest e Est, Hollywood e Hong Kong. Brevi attimi che spazzano via l’inquietudine, senza però dimenticare che “la peinture n’est pas une caresse»: la pittura non è una carezza, come l’artista ama ripetere spesso.
Così il compito dell’arte si conferma sempre uno solo: portarci a riflettere sul significato dell’esistenza.