Jamie Reid: amori, segreti e passioni del grafico che inventò l’estetica del punk

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“Punk is dead”, cantavano provocatoriamente i Crass, il gruppo più radicale mai apparso sulla scena musicale, nel 1978. Per decenni, a contrastare quest’idea, è dilagato anche un altro slogan: “Punk is not dead”, a testimonianza di come lo spirito ribelle e anti-sistema, che a partire dalla seconda metà degli anni Settanta ha costruito e modellato un’intera generazione e con lei anche un periodo storico e culturale, rimanesse vivo sotto le sue ceneri. Oggi, però, uno dei protagonisti storici di quella stagione, Jamie Reid, artista e grafico non convenzionale che creò le indimenticabili copertine dei Sex Pistols, è morto l’8 agosto di quest’anno all’età di 76 anni.

Jamie Reid. Photograph: John Marchant Gallery

Una perdita per coloro che hanno amato e ancora amano la musica selvaggia, radicale ed estrema di uno dei generi più controversi che siano mai apparsi sulla scena internazionale, e con lei anche le immagini crude e innovative sulle copertine di molti loro dischi. La sua morte è stata confermata dal suo gallerista londinese, John Marchant, che lo ha definito come un “artista, iconoclasta, anarchico, punk, hippie, ribelle e romantico”. Ma Reid non era solo un ribelle e il grafico del punk: era anche un artista a tutto tondo, e non è un caso se alcune delle sue opere sono oggi esposte nel Museum of Modern Art di New York, al Tate Britain e al Victoria and Albert Museum a Londra.

Classe 1947, Reid è nato a Londra e cresciuto a Croydon. I suoi genitori, Jack e Nora Reid, erano entrambi socialisti. Il padre, redattore del “Daily Sketch”, un tabloid scandalistico, lo portava fin da piccolo a partecipare alle marce per il disarmo nucleare. Da giovane, Jamie si iscrisse prima alla Wimbledon School of Art (ora Wimbledon College of Arts), per poi trasferirsi al Croydon College of Art dove conoscerà Malcolm McLaren, futuro “creatore” dei Sex Pistols. Dopo il college, contribuì a fondare nella sua città natale una rivista autoprodotta e fortemente politica, chiamata “Suburban Press”. Lì sviluppò il suo stile iconico che contribuì all’estetica del punk, con uno stile che si ispirava alle “ransom letters”, le lettere con cui i rapitori chiedevano un riscatto ai parenti delle loro vittime. Uno stile tanto semplice quanto efficace e particolare, che utilizzava le lettere tratte dai titoli dei giornali. “In termini di design grafico, probabilmente ho imparato di più dalla macchina da stampa che alla scuola d’arte”, dichiarerà in seguito Reid in un’intervista.

Reid, trasferitosi poi nelle Ebridi scozzesi insieme a degli amici con cui stava mandando avanti una piccola fattoria, ricevette un telegramma spedita da McLaren – che parallelamente gestiva a Londra una storica boutique in King’s Road che vendeva abiti fetish –, in cui spiegava di una possibile collaborazione con una piccola band sconosciuta, i Sex Pistols. “Vivevo in mezzo a montagne e laghi e, all’improvviso – boom! – ho iniziato a lavorare con i Sex Pistols”, raccontò ancora Jamie.

Fu così che creò la copertina del primo e unico album del gruppo registrato in studio, Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols. Oggetto di polemiche per il titolo provocatorio (“Bollock” significa “coglione” in slang), la copertina divenne uno dei simboli principali della band. Reid affermò in seguito che voleva che “l’album fosse visto come un prodotto (commerciale), ma allo stesso tempo prendesse in giro il medesimo prodotto”.

Un’altra copertina che creò scandalo fu quella del singolo God Save the Queen, pubblicato nel 1977, in parallelo alla preparazione del Giubileo d’argento della Regina Elisabetta II. La Monarca, tratta dalla foto di Peter Grugeon, era stata coperta negli occhi e nella bocca dal titolo della canzone e dal nome della band britannica, scritta sempre a mo’ di lettera di riscatto. Provocatoria per la sua ideologia antimonarchica, la cover divenne lo stemma della band. Altri importanti cover create dall’artista, tutte caratterizzate dal suo inconfondibile stile, con le lettere ritagliate e pochissimi colori (quasi sempre solo il bianco e nero), sono Anarchy in the UK, Pretty Vacant e Holidays in the Sun.

Dopo lo scioglimento dei Sex Pistols e la fine dell’epoca d’oro del punk, anche le visioni e la dialettica di Reid voltarono altrove, con una grande attenzione nei confronti della politica e dell’attualità. Di recente, ha sostenuto la causa, ancora viva e forte, delle Pussy Riots, che combattono tutt’oggi contro il regime russo e la sua deriva dispotica e autoritaria, creando un’immagine di Putin con il passamontagna con scritto “Free Pussy Riots”, e di Donald Trump, immaginato nei panni del cowboy John Wayne, o ancora immagine e campagne contro le grandi catene di junk food come McDonald’s.

Ma è stato sempre molto forte anche il suo interesse per la spiritualità: in particolare, per il druidismo, che lo portò a creare una serie di dipinti per ogni giorno dell’anno intitolata The Eight Fold Year. Grandemente influenzato dalle ideologie di suo prozio, George Watson MacGregor Reid, che fondò l’Antico Ordine dei Druidi, Reid rimase un convinto sostenitore di una sorta di ritorno alla natura, alla spiritualità e a uno stato primordiale del pianeta, pre-industriale. “Sono cresciuto con una sorta di tradizione druidica e non era molto più di un amore totale per la natura e il pianeta”, dichiarerà in un’intervista. Reid, ha detto il suo gallerista, era “un uomo convinto e saggio, in possesso di un’ampia gamma di conoscenze che comprendevano la politica sociale, la spiritualità esoterica, l’astronomia, il free jazz”. Un uomo che utilizzava l’arte non come mezzo per emergere o fare soldi, ma per conoscere se stessi e per diventare migliori: “Ho sperimentato e studiato come usare il colore per star meglio e come usare il suono per guarire. E ci sono tutti questi campi che ancora non conosciamo. E a un livello quasi spaventoso, tutto questo si collega a quella quasi totale mancanza di rispetto per la natura. Guarda quante parole che hanno a che fare con la natura stanno scomparendo dal dizionario adesso. Come la nostra analisi dell’orticoltura e dell’agricoltura: che cos’è un fiore e cos’è un’erbaccia? La maggior parte delle cose che definiamo erbacce, sono in realtà erbe curative, piante utilizzate per la guarigione”.

Forse anche la sua arte, dopotutto, era solo un tentativo di salvezza e di guarigione dal cinismo della società contemporanea.

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