Finalmente l’Alba: il lato oscuro del cinema

Getting your Trinity Audio player ready...

Saverio Costanzo torna sul grande schermo con Finalmente l’Alba, un film ambizioso che vuole ripercorrere il periodo d’oro di Cinecittà sullo sfondo di un’Italia del dopoguerra, una Roma degli anni Cinquanta incantata dal fascino del cinema d’oro con un decennio di produzioni cinematografiche immense che sono passate alla storia. 

Un esercizio stilistico che ha reso l’ultimo film di Costanzo un ottimo candidato alla mostra del Cinema di Venezia del 2023. 

È attorno a questo, dunque, che ruota la trama di Finalmente l’Alba, con Artisti, sceneggiatori e produttori provenienti da Hollywood e la rappresentazione del potere esercitato dagli americani sull’Italia di quel periodo storico (seppur con qualche licenza artistica) e sull’espressione della settima arte. Si tratta di una rappresentazione cinematografica sul mondo del cinema stesso, che mette in mostra, in una sorta di denuncia sociale, il suo lato oscuro fatto di perversioni, ossessioni e passioni raccontate attraverso il filtro delle emozioni ed esperienze umane. 

Mimosa (interpretata da Rebecca Antonaci) è la protagonista del film, una giovane romana che decide di accompagnare sua sorella Iris ad un provino a Cinecittà per fare la comparsa e ritagliarsi quindi un posticino nel mondo satinato dello spettacolo. Una volta che iniziano i provini però, Iris viene scelta per fare la comparsa mentre Mimosa viene scartata poiché si rifiuta di spogliarsi. Inizia così la ricerca della protagonista che, come in un sogno ad occhi aperti, tenta di raggiungere invano prima sua sorella e poi sua madre senza mai riuscirci. Durante questo breve passaggio, Mimosa viene notata dalla diva di Hollywood protagonista del Peplum che stanno girando e da lì per lei iniziano i guai. 

Lo spettatore inizia così il viaggio insieme a Mimosa che, come una moderna Alice, viene trascinata nella tana del Bianconiglio senza avere la possibilità di capire cosa le stia davvero accadendo e come, quando e se riuscirà a tornare a casa. Un film meta-cinematografico, dunque, che ha il sapore di un racconto di formazione con la rappresentazione di un cammino introspettivo che porterà Mimosa a compiere il passaggio cruciale da ragazza a donna nell’arco temporale di una sola, lunga, insolita notte.

La storia narra una giornata tipo a Cinecittà e il mondo artefatto vissuto dalle star di Hollywood e chiede un sacrificio a Mimosa: quello di rinunciare alla sua quotidianità, ai suoi valori e ai suoi principi, ignorare il fatto che ha una vita rispettabile (seppur monotona) ad attenderla a casa ed è già stata promessa in sposa ad un uomo qualunque. Ma anche se Mimosa non comprende a pieno le regole del gioco ne è talmente affascinata che decide di darsi una chance, mettendosi a volte in pericolo. 

Mimosa notata da Josephine Esperanto, (interpretata da Lily James) diventa il passatempo per quella serata, il diversivo che la diva utilizza per uscire dalla monotonia lussuosa della sua vita. Trascinata prima ad una cena, poi ad un party, Mimosa si trasforma davvero in un’altra persona e lo sdoppiamento della sua personalità qui trova suo il culmine: Josephine la presenta come Sandy, una poetessa svedese che suscita l’interesse di tutti nello star-system.

Mimosa rappresenta, in un certo senso, una sorta di foglio bianco, vergine, sul quale ogni persona che incontra può disegnarci sopra ciò che desidera. Il rapporto tra le due si inclina però quando il suo co-protagonista, interpretato da Joe Keery, star di Stranger Things, inizia a corteggiare Mimosa facendo decadere le attenzioni nei confronti di Josephine e ribaltando completamente il “rapporto” tra le due. Un altro personaggio principale è il critico d’arte italoamericano Rufo Priori, interpretato da Willem Dafoe.

Il film è stato scritto da Costanzo Saverio stesso e da lui più volte è stato puntualizzato come i modelli del passato abbiano ispirato la sua opera nello stesso modo e con lo stesso sguardo di un allievo nei confronti dei propri maestri, primi fra tutti Fellini e Pietrangeli, in cui riconosciamo una certa somiglianza anche con la costruzione della protagonista: Mimosa infatti riflette aspetti comuni sia con Anita che con Adriana, mostrando in qualche modo l’incertezza del modello di Costanzo combattuto tra “La dolce vita” e “Io la conoscevo bene”. 

Lo scopo del film è duplice e l’operazione ambiziosa: se da un lato vi è la volontà di rappresentare sotto una lente di ingrandimento quella che è stata la classe borghese dell’epoca d’oro del cinema italiano, dall’altro la pellicola e la sua narrazione assumono quasi la forma di una denuncia sociale. 

In Finalmente l’Alba, il film più che essere visto si “vive” e ne sono una dimostrazione alcune scene centrali, come ad esempio il momento in cui Mimosa è costretta da Josephine a dare mostra delle proprie qualità di poetessa. Il silenzio che da tale umiliazione ne deriva è percepito come una forma poetica sublime e deliziosa che spinge i presenti a dare un senso artistico a qualcosa che non comprendono.

Un altro tassello chiave della narrazione di Costanzo è il modo in cui il cinema da sogno rappresentato in esso può trasformarsi in un incubo, e una prova esemplare di questo è il caso di Wilma Montesi. Nel film, Saverio Costanzo conduce un richiamo esplicito alla ragazza che venne trovata morta per annegamento sulla spiaggia di Torvaianica nel 1953. Del caso fu sospettato il musicista Piero Piccioni, all’epoca fidanzato con Alida Valli e figlio di un importante esponente della Democrazia Cristiana. Sia Piero Piccioni che Alida Valli sono rappresentati nel film, tra gli ospiti della festa sfrenata a cui Mimosa prende parte e in cui nessuno sembra turbato dalla tragica morte della ragazza.

Nella narrazione di Costanzo vi è la volontà di creare uno scarto narrativo: sulla tragedia di Wilma Montesi viene costruito il personaggio di Mimosa che, nonostante sia in qualche modo sovrapposto alla ragazza (anche in una scena specifica all’inizio del film in cui i corpi delle due sono sovrapposti nella ripresa) il cui destino però si dispiega in modo differente. 

Saverio Costanzo ha preso dunque profonda ispirazione dal cold-case di Wilma Montesi per la costruzione della sua pellicola affermando che dall’epoca in cui la ragazza venne ritrovata morta ad oggi non siano avvenuti molti progressi. Da allora, quando si verificò appunto il primo “femminicidio-omicidio” mediatico della storia italiana, Wilma è stata più volte giudicata come “una che se l’era andata a cercare” e che è un giudizio che, come afferma il regista, ancora oggi si sente spesso in casi di cronaca come questo. Costanzo continua affermando come lo stesso Fellini avesse studiato in maniera approfondita l’omicidio Montesi giungendo alla conclusione che quell’evento abbia segnato un turning-point nell’opinione pubblica italiana, che ha perso con esso la sua “innocenza.”

Nonostante questa sovrapposizione sia abbastanza evidente se si analizza il film modo più approfondito, Costanzo non fa mai davvero capire quale donna italiana Mimosa rappresenti, a quale parabola si riferisca a pieno lasciando non pochi dubbi sulla questione che lo stesso regista non vuole dissipare, convinto che spetti al pubblico fornire una propria interpretazione del film.

Dal punto di vista tecnico, Finalmente l’Alba è un film molto buono: la regia e la fotografia tendono infatti a non intralciare più di tanto la narrazione, scelta stilistica che si può spiegare con la volontà da parte del regista di centrare come focus primario la rappresentazione realistica di Cinecittà. Si tratta dunque di una rappresentazione di una “dolce vita” che, come viene mostrata, allo stesso tempo viene decostruita, mettendo in luce piuttosto gli aspetti oscuri che il cinema e la vita delle star può celare a chi non guarda oltre l’obiettivo della cinepresa.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu consiglia

Iscriviti alla Artuu Newsletter

Il Meglio di Artuu

Ti potrebbero interessare

Seguici su Instagram ogni giorno