Destinazione Unesco: il viaggio senza fine della musica della memoria

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Nel periodo più tragico del sec. XX il genere umano avviò i meccanismi più evoluti della conservazione del pensiero e dell’immaginario scatenando una esplosione di creatività, producendo un Testamento dell’intelletto e del cuore.

Si legge questo, nella pagina, scritta dal maestro Francesco Lotoro, che ha come argomento la ricostruzione della biblioteca di Alessandria. Facciamo un salto indietro. Ci troviamo in uno dei periodi più bui della storia umana del secolo scorso, tra il 1933 e 1953. Siamo negli anni della deportazione e dell’orrore, emarginati, puniti, sputati in faccia solo perché non facenti parte della “razza pura”, buona, così perfetta da autoproclamarsi tale. Esclusi, gettati in treni merci, picchiati, ammucchiati peggio delle bestie, trasportati in campi da cui la maggior parte dei deportati non avrebbe fatto ritorno. Siamo in Germania, in Polonia, siamo anche in Italia.

Respiriamo l’angoscia, ma tiriamo un sospiro di sollievo. Per fortuna non siamo stati noi. Partito dall’idea di voler recuperare la produzione artistica di quegli anni terribili e le ultime parole, che spesso gli internati, ormai senza speranza, hanno affidato alla carta, Francesco Lotoro ha portato avanti il suo progetto di ricerca durante trent’anni.

Intervistato per il TGR Puglia, il maestro Lotoro, originario di Barletta, presidente della Fondazione Istituto di letteratura musicale concentrazionaria, dice: “In ogni nazione o spazio occupato nasceva un campo. In un campo si può stare certi che il 50% della popolazione di deportati era musicista, amatoriale o professionista”.

Barletta, grazie all’opera di ricerca e custodia del maestro, oggi ospita una biblioteca musicale. Dal centro della Puglia, le partiture si sono mosse, arrivando fino alla sede Unesco a Parigi, per un concerto commemorativo sulla Shoa, il 25 gennaio. Due giorni dopo, in occasione della Giornata della Memoria, il conservatorio Nicolò Piccinni di Bari ospiterà le stesse partiture, ma in una chiave diversa. Il concerto comprenderà musica scritta da ebrei e da internati militari italiani, con doppia finalità civile e militare.

Per una accurata definizione di “musica concentrazionaria” viene in soccorso l’Enciclopedia Treccani. È considerata concentrazionaria tutta quella musica che è stata creata “nei campi di prigionia, transito, internamento civile, lavori forzati, concentramento, sterminio, penitenziari per detenzione civile o internamento militare” e l’elenco continua, dal 1933 al 1953, “da musicisti di qualsiasi estrazione artistica provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale e religioso che abbiano subìto limitazioni o perdite della libertà individuale, persecuzioni, ingiusta detenzione, discriminazioni su basi pseudo-razziali o ideologiche o sociali o inerenti scelte sessuali o riguardanti disabilità fisiche e che siano stati deportati, uccisi o che siano sopravvissuti”.

La definizione toglie il fiato, molte virgole, nessun punto, parentesi e incisi, per non escludere nessuno e includere tutto il male. È forse possibile?

La ricerca musicale concentrazionaria del maestro Lotoro è animata dall’ambizione di “trasformare una immane catastrofe nella più grande possibilità che l’uomo ha per migliorare l’arte, la musica, le emozioni più profonde e insondabili dell’intelletto”. Ad oggi, si stima che, nel ventennio considerato, ci fossero circa 130.000 persone, musicisti a vari livelli, che hanno composto in cattività, e si contano 8.000 partiture ritrovate, dalle meno elaborate, come quella del francese Émile Goué che stese in partitura l’oratorio-mimo-opera Renaissance, alle più complesse, anche di cinque atti, fino alle cantate per voce narrante, solisti, coro e orchestra.

In luoghi, come i lager e i gulag – i cui suoni, duri a pronunciarli, non sono neanche paragonabili alla durezza di ciò che rappresentano – isolati dal mondo, alla ricerca di una salvezza o di Dio, la musica era forse uno dei pochi conforti a cui affidarsi, terapia al dolore e alla sofferenza, “strategia individuale e collettiva di salvezza e resistenza” in cui riconoscersi uomini, donne, individui dotati di forza estrema, dignità e, nonostante tutto, enorme fantasia.

È per restituire la possibilità a un artista di comporre per farsi ascoltare, di cui nei campi di concentramento i detenuti erano privati, che Francesco Lotoro ha mosso la sua indagine, fino a rendere possibile non solo la costituzione di una biblioteca, ma anche la mobilitazione delle partiture raccolte fino alla sede parigina dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

“Bisogna recuperare e riparare questo patrimonio musicale affinché sia restituito all’Umanità e riacquisti il posto che gli spetta nella storia della musica” diceva Lotoro. Quest’anno, un altro piccolo passo in questo senso è stato fatto.

Il futuro è il nostro vero passato che attende di essere vissuto poiché esso non può essere cambiato ma può guarire e questa musica è terapia e guarigione, medico e medicina, linguaggio e testo.

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