Claudia De Luca in mostra al Polo del ‘900 a Torino

Getting your Trinity Audio player ready...

Si conclude oggi la mostra “Il giorno dopo la Rivoluzione” di Claudia De Luca al Polo del ‘900 a Torino. In questa intervista per comprendere le rivoluzioni fallite e il loro impatto.

IL GIORNO DOPO LA RIVOLUZIONE: LA MOSTRA

La mostra, a cura di Elisabetta Mero, ha ottenuto un grande successo di pubblico che durante questo mese ha affollato la Sala Voltoni del Polo del ‘900 a Torino per ammirare le opere esposte.

Nove gruppi di opere che si riferiscono, ognuno, ad un singolo atto rivoluzionario.

Ogni gruppo di opere fa infatti riferimento ad una rivoluzione fallita, un momento della storia in cui tutto sarebbe stato possibile, ma che, “il giorno dopo”, si è spento in un magma indistinto e silenzioso. Le rivoluzioni fallite, però, nella loro caduta aprono comunque un orizzonte nuovo, perché è proprio dal fallimento che una diversa parola politica (e rivoluzionaria) può essere riscritta e praticata.

Claudia De Luca in mostra al Polo del '900 a Torino

LA FILOSOFIA DI ENGELS

L’esposizione prende spunto dalla frase di F. Engels: “Coloro che si sono vantati di aver fatto una rivoluzione hanno sempre visto, il giorno dopo, che non sapevano quel che facevano, che la rivoluzione che avevano fatto non assomigliava per nulla a quella che avrebbero voluto fare“. Questa riflessione è il punto di partenza del progetto di Claudia De Luca che in qualità di artista e docente di storia e filosofia, riflette sulla condizione di salute della parola politica. Parola che misura molto spesso la sua capacità di esistenza nel fallimento del suo potere rivoluzionario.

OPERE COME MANIFESTI

Le opere in mostra, sono create come dei manifesti su cui la parola politica è rappresentata come un’improvvisa macchia di colore che emerge dal buio della storia. L’artista è stata supportata dall’Anonima impressori, studio grafico e stamperia artigianale di Bologna, per la realizzazione di didascalie/ manifesto che accompagnano le opere in mostra. Su ogni didascalia è infatti descritta una rivoluzione e i font scelti sono quelli che andavano in uso in quel periodo storico. 

Claudia De Luca in mostra al Polo del '900 a Torino

INTERVISTA ALL’ARTISTA CLAUDIA DE LUCA

Nella mostra si parla di rivoluzioni fallite. Che valore ha oggi, nello stato contemporaneo, la parola RIVOLUZIONE?

Credo sia una parola sbiadita che ha abdicato alla forza prorompente del cambiamento. Oggi assistiamo a singhiozzi rivoluzionari, momenti di contestazione che si assorbono presto e facilmente. La carica utopica e destabilizzante di una rivoluzione si è affievolita perché non c’è più la compassione del gesto rivoluzionario e quando parlo di compassione intendo quel cum-partecipare universale ad una causa o ad un progetto. Un compromesso silenzioso è sceso nel nostro agire politico; ci troviamo a passeggiare dentro un’agorà senza demos dove la dimensione individuale ha preso il posto di quella collettiva. Ho sempre temuto la massa, sia chiaro, ma credo nella partecipazione intesa come responsabilità, nella quale la dimensione etica del singolo possa essere radice comune e non solitaria.

Ogni opera esposta diventa un manifesto per una rivoluzione mancata nelle sue volontà. Ma l’arte può ancora essere rivoluzionaria?

Anche l’arte ha subito un processo di anestetizzazione, o meglio, di semplificazione del messaggio. E questo è un problema che non investe solo l’arte, ma la cultura in generale. Quando ti rivolgi ad un pubblico e svolgi un ruolo così importante hai il dovere di essere intransigente, radicale ed onesto. Non sono tollerabili azioni ruffiane, anche se purtroppo quello che vedo è molto spesso un ludico affare di marketing. L’arte oltre ad osservare l’abisso del tempo deve saper porre problemi e non masticare una retorica facile ed accessibile. Credo che la portata rivoluzionaria dell’arte (così come della filosofia, del teatro o del cinema), risieda nell’onestà di trattare il proprio interlocutore con dignità, non addomesticandolo, ma permettendogli quello sforzo critico necessario alla comprensione. Si possono trattare tanti temi con linguaggi diversi e modalità artistiche differenti. Quello che deve rimanere comune, però, è la radicalità dell’intento. Dico sempre ai miei studenti che la rivoluzione parte dalle pagine di un libro, dalle parole difficili, dalla complessità di un concetto. Le vie semplici non hanno mai portato alle rivoluzioni. Essere scomodi intellettualmente, è l’unico modo per produrre mutamenti significativi.

Questa mostra accompagna il visitatore in una riflessione molto profonda sul concetto di rivoluzione e di politica: che cosa porta via con sé?

Inizialmente credo che la sensazione che si avverte sia quella di una nostalgia sfumata, come di un approdo perduto o mai raggiunto. Le rivoluzioni che ho analizzato però, hanno solcato un tempo importante e forse è proprio nel fallimento la radice più autentica e significativa. L’averci provato, l’essere caduti, l’aver mancato un obiettivo non toglie forza all’idea, anzi la rende più forte. Mi piacerebbe che i visitatori portassero con sé la possibilità di un orizzonte nuovo, il pensiero che una parola politica diversa da quella attuale sia postulabile. Dal nero dei miei sfondi esce sempre un colore denso ed intenso, come di una di una promessa luminosa che rischiara e infonde coraggio.

Immagine di copertina: Courtesy Eleonora Conti

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu consiglia

Iscriviti alla Artuu Newsletter

Il Meglio di Artuu

Ti potrebbero interessare

Seguici su Instagram ogni giorno