C’è una certa coerenza nel fatto che i CryptoPunks, gli archetipi dell’arte generativa su blockchain, tornino oggi a essere custoditi da una fondazione no-profit. È come se dopo anni di turbolenze speculative, di collezionismo esasperato e di narrazioni gonfiate all’inverosimile, queste icone a 8 bit decidessero di rallentare. Di respirare. Di cercare casa in un luogo dove l’arte torna a essere memoria, e non solo investimento. Il 13 maggio 2025, Yuga Labs ha annunciato la cessione della proprietà intellettuale dei CryptoPunks alla Infinite Node Foundation. Non è un semplice passaggio di consegne, è un atto politico. O meglio: è un gesto culturale in una fase storica in cui anche il digitale ha bisogno di musei, di archivi, di luoghi di ascolto.
Yuga, colosso nato sull’onda lunga del successo dei Bored Ape Yacht Club, chiude così un cerchio iniziato nel 2022, quando aveva acquistato i CryptoPunks da Larva Labs. Un’acquisizione allora letta come un colpo di mercato, come la mossa definitiva per colonizzare anche la storia dell’arte digitale. Eppure oggi sembra chiaro che il senso di quell’operazione non fosse solo finanziario. C’era l’idea di proteggere, di dare un futuro che adesso passa nelle mani di NODE, un’organizzazione che non promette rendimenti, ma visione.
La fondazione, con sede a Palo Alto, ospiterà l’intera collezione da 10.000 Punks e punta a trasformarla in un bene pubblico, in una sorta di patrimonio condiviso del web. Non solo esposizione permanente, ma anche collaborazione con musei, istituzioni culturali, accademie. Un tentativo, forse uno dei primi concreti, di inserire l’estetica NFT nel tessuto dell’arte contemporanea, non come outsider ma come soggetto legittimato a partecipare. Una sfida non banale, perché ancora oggi il mondo dell’arte tradizionale guarda con sospetto questi artefatti digitali nati su Ethereum. Ma l’arte, come sempre, si gioca nei gesti lenti, non nelle fiammate.
La struttura che governerà questa transizione non è improvvisata. Dentro NODE c’è un comitato consultivo che sa bene cosa sta facendo: Matt Hall e John Watkinson (i creatori originali dei Punks), Wylie Aronow (co-fondatore di Yuga Labs), Erick Calderon (fondatore di Art Blocks). Un gruppo che unisce memoria e avanguardia, che conosce i codici, i limiti, ma anche le potenzialità di questo linguaggio. Insieme, guideranno un progetto che non ha l’urgenza di vendere, ma quella — molto più rara — di restituire senso.
Il fatto che Yuga Labs abbia accompagnato la cessione con una donazione di 25 milioni di dollari non è solo un gesto filantropico. È un’indicazione chiara: crediamo che questi oggetti abbiano un valore che va oltre il prezzo di mercato. È come se, per una volta, l’economia dell’attenzione cedesse il passo all’economia della conservazione. Non è nostalgia, è responsabilità. Perché in un tempo in cui tutto scorre e si perde, ogni archivio è un atto di resistenza.
I CryptoPunks, nel 2021, erano diventati un simbolo. Di un’estetica nuova, di una cultura emergente, di un’idea di identità digitale radicalmente diversa da qualsiasi rappresentazione precedente. Ora tornano a essere qualcosa di più semplice, e forse più profondo: una traccia, una prova che qualcosa è successo. Che una comunità globale ha creduto, per un attimo, che il web potesse produrre arte, comunità, appartenenza.
Questo gesto di Yuga Labs non è la fine di un ciclo, ma l’inizio di un’altra fase, che forse non avrà la stessa visibilità della corsa all’oro degli NFT, ma che sarà decisiva per la loro sopravvivenza. Perché alla fine è sempre così: quello che resta non è quello che fa rumore, ma quello che sa trovare il tempo giusto per farsi ascoltare. E i Punks, oggi più che mai, sembrano pronti a farlo.