Si può definire “monumentale” una collettiva composta da “soli” 37 artisti, dedicata a un tema tanto complesso e iper-storicizzato come la guerra, ospitata in uno spazio post-industriale restituito da poco alla città come gres art 671? In teoria, no. Eppure, lo è. “de bello. notes on war and peace” non è solo una mostra bella da vedere, intelligente e ben costruita: è un viaggio che affronta un tema complesso come la guerra attraversando il tempo, lo spazio e l’animo umano senza cadere mai nella retorica del sentimentalismo di facciata. Un’esposizione che non si limita a documentare, ma che vuole comprendere, interrogare, scuotere. Un racconto necessario in un mondo dove la guerra sembra tornare ciclicamente a bussare alle porte della storia e l’arte si fa testimone, rifugio, protesta, memoria. E mostra come, tra le rovine, possa nascere qualcosa di nuovo.

Ma procediamo con ordine. La mostra è la prima collettiva di gres art 671, polo multiculturale inaugurato a Bergamo per la Capitale della Cultura 2023 con una personale di Marina Abramovic, presente anche in questa mostra con uno dei suoi lavori più iconici. Nata da un’idea di Salvatore Garzillo, cronista e artista, e del fotogiornalista Gabriele Micalizzi, la mostra è curata da Francesca Acquati, direttrice di gres art 671 e da Studio 2050+, che ha realizzato anche il suggestivo allestimento che merita un approfondimento a sé.
La scelta nel titolo “de bello. notes on war and peace” della doppia lingua latino-inglese vuole sottolineare proprio come la guerra sia un elemento trans-storico che caratterizza ogni epoca. Di mostre che affrontano questo tema ne sono esistite a centinaia, ma l’unicità di questa esposizione sta nella scelta di non soffermarsi su uno specifico conflitto, ma provare ad ampliare il discorso in senso universale, a raccontare la guerra in una chiave “umanistica” più che documentaristica includendo nella storia anche il vissuto di chi subisce queste atrocità. “Viviamo in tempi difficili”, ci spiega Erica Petrillo di 2050+,”Siamo costantemente bombardati dalle immagini della guerra, anche si tratta di un bombardamento metaforico e non letterale. Siamo, dunque, consapevoli della nostra condizione di privilegio e, al tempo stesso, della nostra responsabilità. Il tema è qui trattato con un taglio universale, cioè di guerra come condizione culturale umana, con una prospettiva trans-storica e trans-geografica, con particolare attenzione alle storie degli invisibili, come le donne, i bambini, gli adolescenti, ma anche la flora e la fauna che subiscono di rimando le conseguenze dei conflitti”.

GLI ARTISTI COINVOLTI
37 sono gli artisti coinvolti (tra gli altri, Alberto Burri, Claire Fontaine, Anselm Kiefer, Lawrence Abu Hamdan, Joseph Beuys, Marina Abramović, Cristina Lucas, Maja Bajevic, Boris Mikhailov, Arcangelo Sassolino, Monira Al Qadiri, Mohamed Choucair, Masbedo e Total Refusal) provenienti da contesti geografici, storici e linguistici differenti, ma legati da un’esperienza comune, ineludibile: la guerra, vissuta direttamente o narrata attraverso la memoria, la ricerca, l’eredità culturale.
Le opere in mostra coprono sette secoli di storia – la più antica è una tela di Jacopo Ripanda la «Battaglia tra i Troiani e la vergine Camilla» datata 1496 – ed aree geografiche molto diverse. Il percorso espositivo si sviluppa attraverso cinque nuclei tematici — pace apparente, allarme, guerra, macerie, resistenza — organizzati secondo un climax emotivo che spazia dal passato al contemporaneo attraverso molteplici linguaggi: videoarte, installazioni, pittura, fotografia, scultura.
Grande è la presenza di arte tessile, tradizionalmente legata all’idea di riparazione, di ricostruzione ed è qui rappresentata da molte artiste donne. L’esposizione non si esaurisce in una narrazione storica o cronologica. Si dilata nello spazio — ovunque nel mondo ci sia un conflitto, una ferita aperta, un’eco lontana— e si confronta con la contemporaneità senza edulcorazioni. Ogni opera è un tassello di un mosaico globale, una lente su come la guerra cambi i corpi, le città, le memorie, i simboli.

La mostra si apre con il video Propaganda Theater di Jonas Staal, collocato nell’atrio dello spazio e, dunque, al di fuori del percorso espositivo vero e proprio, che richiama immediatamente l’attenzione dei visitatori su un’insidia tanto sottile quanto potente: la seduzione della propaganda, la narrazione come arma, utilizzata dal potere per convincere le persone che guerra possa essere una scelta sensata. In mostra sono molte le opere che si interrogano sul linguaggio e sulla comunicazione della guerra: dai documenti sonori di Lawrence Abu Hamdan agli oggetti di Claire Fontaine, tutto è messaggio, tutto è veicolo. “Le opere esposte appartengono ad una dimensione polidisciplinare”, ci racconta Ippolito Pestellini Laparelli di 2050+, “I mass-media rappresentano un punto focale all’interno della mostra per il ruolo giocato all’interno delle dinamiche di potere”. Il climax emotivo si raggiunge con la sezione Macerie, dove il trauma si fa presenza fisica. Qui troviamo le fotografie di Gabriele Micalizzi da Mosul, Gaza, Il Cairo, Mariupol.
I suoi scatti abitano la “sala degli arazzi”, dove pixel e fili si intrecciano trasformando memorie digitali in tessuti fisici. Le fotografie nei conflitti hanno avuto da sempre un ruolo insostituibile nel contribuire all’informazione dei fatti in presa diretta, alla riflessione su questioni connesse alla verità effettuale e alla rappresentazione della realtà. Arazzi giganteschi raffigurano persone a grandezza naturale, circondate da un silenzio che pesa quanto la storia. “Siamo piccoli di fronte alla Storia”, sembra suggerire il percorso. Ogni opera, ogni voce racconta un frammento della complessità della guerra, offrendo prospettive spesso invisibili, marginali, dimenticate. Dall’Ucraina al Medio Oriente, dal Sud America all’Italia risorgimentale: il conflitto come costante dell’esperienza umana. Non mancano i videogiochi – una delle sorprese più potenti della mostra – che ribaltano la logica della guerra performativa, trasformandola in atto critico, in resistenza. Anche il sonoro gioca un ruolo fondamentale: molte opere includono paesaggi uditivi che accompagnano il visitatore in un’esperienza immersiva, emotiva, corporea.

Particolarmente suggestivo è l’allestimento curato da 2050+ che ricorda un bunker o l’archetipo di una casa sospesa tra distruzione e ricostruzione. È un ambiente dominato dall’assenza di colore, dal grigio, che è la nuance a cui rimandano sempre le immagini di guerra che ci giungono attraverso i mass media, a tratti compresso. È realizzato in un unico materiale, mattoni prefabbricati in cemento, in totale monocromia. I muri che definiscono lo spazio espositivo non solo evocano ambienti domestici smembrati, ma suggeriscono anche la possibilità di ricostruzione: un’allusione visiva potente alla resilienza umana. In questa mostra l’exhibition design diventa opera nell’opera e gioca un ruolo fondamentale nell’accompagnare il visitatore in un’esperienza espositiva ancora più coinvolgente.
LO SPAZIO
Un tempo fabbrica, oggi fucina di idee. Promosso su iniziativa del Gruppo Italmobiliare con Fondazione Pesenti, Gres Art 671 sorge in un’ex area industriale di oltre 3.000 mq, restituita alla città con l’intento di conservarne la memoria produttiva e trasformarla in uno spazio di produzione culturale. Gres Art 671 è molto più di un semplice centro espositivo, ma un vero e proprio ecosistema creativo: mostre, incontri, concerti, performance, attività formative e laboratoriali si intrecciano in una programmazione multidisciplinare, accessibile e inclusiva. Un luogo vivo, un simbolo concreto di rigenerazione urbana ed un punto di riferimento per la comunità che qui può scoprire, sperimentare, divertirsi, trascorrere del tempo. La riqualificazione dell’area, curata dallo studio De8_Architetti con la direzione di Mauro Piantelli, e l’interior design firmato da Locatelli Partners, ha dato vita a un ambiente che coniuga estetica e funzionalità, accoglienza e innovazione. Un progetto ambizioso che affonda le sue radici nella storia del territorio, ma guarda con decisione al futuro.