Damien Hirst apre le porte della sua Newport Street Gallery a Londra per una mostra, stavolta sì, unica nel suo genere. Triple Trouble riunisce tre figure simboliche della cultura visiva degli ultimi decenni: Shepard Fairey (Obey), Invader e lo stesso Hirst, in un dialogo che mette in tensione la street art e le pratiche museali, l’irriverenza urbana e il formalismo istituzionale.
La mostra, curata da Connor Hirst in collaborazione con HENI, occuperà tutti e sei gli spazi espositivi della galleria dal 10 ottobre 2025 al 29 marzo 2026, con un’anteprima aperta al pubblico il 9 ottobre. L’ingresso sarà gratuito, confermando l’intento di rendere l’esperienza accessibile a un pubblico ampio e diversificato.

L’idea non è quella di una semplice esposizione collettiva: Triple Trouble punta a mettere in scena una contaminazione reale tra i linguaggi dei tre artisti. Fairey porta la forza grafica dei suoi manifesti e la simbologia politica di Obey Giant; Invader introduce le sue iconiche installazioni a mosaico che trasformano lo spazio urbano in un campo di gioco pixelato; Hirst aggiunge il peso della sua ricerca sul collezionismo, la morte, il feticismo dell’oggetto. Ma non si tratta solo di giustapposizione: i tre universi si intrecciano in opere collaborative inedite, create appositamente per la mostra.
Il titolo Triple Trouble evoca sia la complicità che il rischio di conflitto. I tre artisti provengono da contesti diversi: Fairey dalla street culture americana e dalle proteste sociali, Invader dalla tradizione europea della guerrilla art digitale, Hirst dal cuore del sistema dell’arte britannica. Metterli insieme significa provocare una frizione, ma anche suggerire che i confini tra “arte alta” e “arte di strada” sono sempre più permeabili.
Le opere annunciate spaziano tra installazioni su larga scala, mosaici, sculture e interventi pittorici, in un mix volutamente ibrido. I visitatori si troveranno davanti a scenari che mettono in collisione loghi, pattern urbani e reliquari contemporanei, con l’obiettivo di generare nuove forme di immaginario collettivo. Se i cabinet di Hirst o i suoi motivi medici dialogheranno con i pixel di Invader e le grafiche politiche di Fairey, l’effetto sarà quello di una vera e propria sovrapposizione di codici.

C’è un aspetto interessante nel contesto: la Newport Street Gallery non è una galleria neutrale. È lo spazio fondato e posseduto da Hirst, che negli anni ha alternato mostre dedicate alla sua collezione personale a esposizioni di artisti internazionali. Questo significa che la cornice stessa della mostra fa parte dell’operazione: Triple Trouble non è solo un dialogo tra tre artisti, ma anche un autoritratto di Hirst come figura capace di orchestrare contaminazioni e di ri-legittimare la street art all’interno di uno spazio museale privato.
Il rischio, come sempre in operazioni di questo genere, è che il progetto venga letto come un evento mediatico più che come un’esposizione rigorosa. Tre nomi forti, un allestimento spettacolare, una comunicazione che punta sull’effetto crossover: la formula potrebbe apparire studiata più per attrarre pubblico che per produrre un vero pensiero critico. Tuttavia, il successo dipenderà dalla capacità di trasformare l’incontro in un terreno di tensione reale, non in una semplice collezione di stili.

Dal punto di vista critico, la mostra si inserisce in un momento in cui l’arte urbana e la street culture vengono assorbite con sempre maggiore frequenza dal sistema istituzionale. La presenza di Fairey e Invader accanto a Hirst rende esplicita questa dinamica: la ribellione grafica e il mosaico urbano trovano un posto dentro un white cube di proprietà di uno degli artisti più noti e controversi del contemporaneo. È un gesto che può essere letto sia come appropriazione che come legittimazione.
In definitiva, Triple Trouble promette di essere un laboratorio visivo e concettuale: un campo di forze in cui il linguaggio politico, il gioco urbano e la riflessione esistenziale si intrecciano.



